Anche i gerarchi fascisti italici, una volta accantonato il periodo più nero delle stragi di operai e contadini che cercavano di resistere alle distruzioni di Case del popolo e Camere del lavoro, una volta “pacificata” l’Italia a suon di assassinii e di bastonature, amavano presentarsi come gente rispettabile, amante delle sagre e delle virtù patriarcali e, in questa veste non riuscivano proprio a non coprirsi di ridicolo.
Nell’Ucraina di oggi, mentre il compito di terrorizzare la popolazione – non solo quella del Donbass – è tutt’ora riservato agli squadristi dei battaglioni neonazisti, l’esclusiva di intrattenere il mondo con battute estemporanee rimane appannaggio dei “politici”, ci si passi il termine.
Non ha ancora finito, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, di dire (e non era nemmeno lontano: era a Kiev, lo si doveva pur udire) che di ingresso dell’Ucraina nella Nato, per ora, non se ne parla neanche ed ecco che, pronto, il “premier” Arsenij Jatsenjuk (ah, se si potesse rendere in italiano la storpiatura del suo nome con cui i russi lo definiscono) saluta l’esterrefatto Stoltenberg, dicendogli arrivederci al 2016 al vertice Nato in Polonia. Per quella data, avrà pensato Arsenij, vi avrò ben fatto vedere che l’adeguamento agli standard Nato di cui ora lamentate l’assenza in Ucraina, saranno stati più che raggiunti.
Intanto, cominciamo con l’adeguamento al folklore del vecchio west; in Ucraina arriva lo sceriffo, ha decretato Arsenij: più standard Nato di questo! I presupposti per il ritorno del vecchio Wyatt Earp nella sua Tombstone, effettivamente, non mancano: da un anno e mezzo gli squadristi della Guardia nazionale e i battaglioni neonazisti prima hanno terrorizzato il Donbass e ora, data la brutta figura fatta far loro dalle milizie popolari, si danno a manganellare il resto dell’Ucraina – si veda anche l’assalto odierno di 200 squadristi del battaglione Azov al municipio di Kharkov – dunque, come “Pietra tombale-Tombstone”, a quanto pare, ci siamo. Nelle piccole città e nei villaggi – il vecchio mito della frontiera, che tanto faceva infervorare il giovanissimo Arsenij – i nuclei locali della polizia saranno capeggiati dallo sceriffo. Da diversi mesi si erano adeguate le uniformi della polizia ucraina a quelle dei “Cop” newyorkesi; ora, dice Arsenij, si forniranno loro anche “nuove auto, nuovo addestramento, nuova filosofia” (da non credere!) e vedrete che gli standard Nato, se non ancora l’esercito – gli istruttori USA al poligono di Javorov hanno dichiarato di dover insegnare l’ABC alle reclute ucraine: ad esempio a non mettersi in tasca le bombe a mano inesplose – almeno i “piedipiatti” lo raggiungeranno e l’Ucraina fornirà all’Alleanza Atlantica la polizia, standardizzata.
Per non essere da meno, quanto a spiritosaggine e cambiamenti “a fin di bene”, ecco che sul sito web del presidente Porošenko è apparsa una petizione per cambiar nome alla Crimea: dovrà chiamarsi Repubblica Autonoma dei Tatari di Crimea. Per quanti sforzi si facciano: blocchi stradali dei prodotti alimentari (che fanno intascare fior di bustarelle ai picciotti di Pravy sektor, pronti a lasciar transitare i TIR disposti a sborsare), minacce di tagliar la corrente, non c’è verso di ridare alla penisola quella khruščeviana parvenza di ucrainicità: i crimeani non ne vogliono sapere! E allora, qualche buontempone ha creduto di risolvere la “vexata quaestio” della statualità della penisola: con il primo nome è russa; con il secondo nome… beh, è russa lo stesso, dato che i Tatari, in Crimea, sono cittadini russi.
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