Negli ultimi giorni c’è stata una raffica di articoli “strani” sulla stampa statunitense. Il 1 novembre un lungo articolo di Simon Shuster su Time, dedicato a Zelensky; nello stesso giorno un’intervista a Zaluzhny sull’Economist; e ieri un articolo su NBC News che affronta un tema finora tabù, il negoziato.
Non intendo riassumerli, però ci sono alcune cose molto interessanti.
L’articolo di Time, a opera dello stesso giornalista che un anno fa aveva nominato Zelensky “persona dell’anno”, fornisce un ritratto abbastanza impietoso, e a tratti preoccupante, del presidente ucraino secondo il quale “nessuno crede alla vittoria ucraina” come lui.
Nell’articolo si notano le perdite ucraine (“decine di migliaia“, una cifra lontana dalla realtà ma anche da quelle precedentemente fornite), il sostegno decrescente dell’Occidente e la perdita di interesse dell’opinione pubblica (“non posso guardare per la decima volta questa replica“).
Da una serie di domande poste ai cuoi collaboratori, si capisce che la situazione sta diventando grave. Zelensky, dicono i suoi (non si sa chi, ovviamente) è “arrabbiato“. Si sente tradito dall’Occidente che non gli fornisce i mezzi per vincere la guerra (l’autore non affronta la questione della reale possibilità di vincerla, una guerra per procura), ha perso il suo solito spirito e il suo senso dell’umorismo, e la sua ostinata sicurezza nella vittoria finale, definita “messianica“, inizia a preoccupare chi gli sta intorno (“si illude. Non abbiamo più opzioni. Non stiamo vincendo. Ma prova a dirglielo“) perché gli impedisce di cercare “una nuova strategia, un nuovo messaggio“.
Quale debba essere, questa nuova strategia, l’articolo non lo specifica, ma è chiaro che si tratta del tabù cui accennavo prima: i negoziati. Ci torneremo.
L’articolo continua paragonando il benvenuto ricevuto a Washington un anno fa e l’ultima volta, le difficoltà della controffensiva, e “la mancanza di personale“, espressione molto blanda per indicare le perite subite dall’esercito, che obbligano i reclutatori ad alzare sempre di più l’età media dei richiamati, che ora è arrivata a 45 anni. E poi la corruzione, gli scandali. Insomma, un quadro molto cupo.
L’intervista a Zaluzhny è ‘strana’: non mi viene in mente nessun’altra definizione. È incentrata sul fatto che al fronte si è creato uno stallo, e che non ci sarà nessuno sfondamento. E già questa ammissione, dopo mesi di biglietti venduti per il Crimea Summer Beach Party, è interessante.
Per risolvere lo stallo ci sono alcune richieste: serve un nuovo esercito, con nuovi mezzi ed equipaggiamenti. Facendo un rapido conto, è il quarto: quello iniziale, quello della controffensiva dell’estate-autunno 2022, quello della controffensiva dell’estate 2023, e ora quello che serve per il futuro. La fine che hanno fatto i primi tre è inutile ricordarla, e Zaluzhny ovviamente non ne parla.
Servono un centinaio di F-16, munizioni, tecnologie per distruggere i droni russi (qui Zaluzhny parla di droni equipaggiati con reti, con luci stroboscopiche, con sistemi elettronici per confondere i droni russi.
Queste cose non ci sono, e le reti e le luci stroboscopiche sono, francamente, un delirio), tecnologie di sminamento (altro delirio: ipotizza robottini armati di cannoni al plasma che scavino sotto il terreno), munizioni di artiglieria e sistemi di guerra elettronica: perché i russi – vi ricordate i russi ‘incapaci’, con ‘armamenti degli anni ’50’, col ‘morale a pezzi’ e pronti a morire congelati ai primi freddi? Proprio quei russi – hanno una quantità enorme di questi sistemi, che disorientano i droni ucraini e le munizioni “intelligenti” tipo gli Excalibur, costringendo gli HIMARS non a fare quello che dovevano.
Cioè scompaginare le linee logistiche russe, ma a dedicarsi al fuoco di controbatteria – con risultati nemmeno eccelsi – mentre gli ucraini non hanno mezzi per opporsi ai droni russi che diventano sempre più perfezionati e hanno un raggio d’azione sempre più elevato.
E poi, ancora e sempre, il problema del reclutamento. Non ci sono uomini: la legge, dice sempre Zaluzhny, consente “scappatoie” e l’addestramento è difficile, tanto che si è deciso di mandare le unità appena formate immediatamente al fronte, affiancando i reparti di veterani – anche qui le conseguenze sono quelle che stiamo vedendo da mesi.
Insomma, non ci sono armi, non ci sono munizioni, non ci sono droni, non ci sono sistemi antidrone, non ci sono proiettili, non ci sono uomini, e le tattiche NATO non hanno dato i frutti sperati (incredibile…) mentre i russi hanno tutte queste cose e molte di più, e non sono – sorpresa delle sorprese… – per niente sul punto di collassare, che poi è stata la speranza che ha informato ogni tattica NATO-ucraina di questo conflitto.
Che si fa, dunque? Si arriva al punto del terzo articolo. Con molta calma, molta delicatezza, sia da parte statunitense che europea si sta introducendo il tema dei negoziati, arrivando per la prima volta a ipotizzare che, restando nel campo delle cose incredibili, è possibile che l’Ucraina debba addirittura fare delle CONCESSIONI alla Russia per chiudere il conflitto: “membri dell’amministrazione Biden sono preoccupati del fatto che l’Ucraina stia esaurendo le forze, mentre la Russia ha apparentemente riserve infinite“.
Pare addirittura che non sia certo che l’Ucraina sarà in grado di condurre una nuova controffensiva, mentre invece, sempre molto delicatamente, si comincia a introdurre l’idea che forse lo stato delle forze armate russe, e soprattutto delle capacità produttive del paese, sia un po’ diverso da quello che si era detto finora.
Il problema, però, è che non c’è nessuno “stallo” sul fronte, c’è una guerra d’attrito che sta provocando all’Ucraina perdite mostruose, ammesse ormai apertamente anche in questi tre articoli.
Il problema è che è l’Ucraina che ha ora bisogno di negoziati, non la Russia: che sarebbe dispostissima a negoziare e i suoi ministri lo dicono in continuazione. Ma alle sue condizioni, non certo a quelle del piano-Zelensky, cioè la resa incondizionata, il ritiro dai territori occupati, Crimea inclusa, il pagamento di tutte le spese di guerra e l’arresto dell’intera leadership civile e militare.
Se si negozia, lo si farà secondo le richieste russe. Ma non si sa più quali siano, queste richieste, dopo che quelle di prima della guerra e quelle del marzo-aprile 2022 sono state ignorate.
Prima della guerra bastavano la neutralità dell’Ucraina, la Crimea e la fine delle sanzioni; a guerra iniziata si è aggiunto il Donbas; ora ci sono altre quattro regioni più, probabilmente, altre cose.
La Russia non verrà a negoziare per limitare i danni, perché la controffensiva è fallita in maniera miserabile; non verrà a negoziare su un piano di parità, perché la situazione, nonostante in tutti e tre gli articoli ci si affanni a dire che “entrambe le parti sono in difficoltà“, non è per niente su un piano di parità.
Verrà a negoziare la resa della controparte, alla quale probabilmente accorderà ottimi termini, ma sempre resa sarà. Il tempo dei negoziati in cui entrambi avevano da guadagnarci è finito, quindi la guerra continuerà.
Tutto questo è molto triste, soprattutto perché era perfettamente evitabile. Ma come dice un grande poeta italiano, “bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà“.
P.s. Ovviamente, visto il rumore che si è scatenato, la leadership ucraina è corsa ai ripari: Zaluzhny ha fatto male a parlare, e la linea è sempre che non esiste la possibilità di negoziare su posizioni diverse da quelle dichiarate in precedenza (cioè la resa della Russia).
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Mara
Zelenski ha fatto molto male a consegnare tutto nelle mani dei burocrati europei, di un ex impero coloniale britannico nostalgico del suo passato e ad un presidente America no sul viale del tramonto.
Bernardino Marconi
Zelensky con la sua ostilità è causa responsabile di altri morti inutili e altre distruzioni dell’apparato ucraino non riconoscendo il fallimento evidente della controffensiva e la superiorità delle forze armare russe, l’operazione speciale continuerà.