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“Tsipras 2”, un governo targato Pasok. Viceministro contestato, si dimette

Non sono passate neanche 12 ore dal giuramento del nuovo governo presieduto da Alexis Tsipras – molto simile al precedente, tranne che per l’assenza totale di esponenti della sinistra di Syriza – che l’esecutivo ha già perso uno dei suoi membri. Si tratta da Dimitris Kammenos – dello stesso partito di Panos Kammenos con il quale però non vanta alcuna parentela – che aveva giurato davanti al presidente della Repubblica Prokopios Pavlopoulos in qualità di viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e che a fine giornata si è dovuto dimettere sull’onda di una pesante contestazione proveniente da più parti. Sacrificato dallo stesso leader della sua formazione, i nazionalisti di destra di Anel, Dimitris Kammenos si è fatto da parte dopo che sui social network e su alcuni media ellenici hanno cominciato a rimbalzare alcuni dei suoi post su Facebook e su Twitter e alcune sue dichiarazioni ritenute dai contestatori di stampo omofobico, razzista e antisemita. 

Kammenos, durante il braccio di ferro con Bruxelles dei mesi e degli anni scorsi, aveva paragonato il piano di ‘salvataggio’ imposto alla Grecia dalla troika al campo di concentramento di Auschwitz e aveva poi postato su Facebook una foto che mostrava l’ingresso del lager con la scritta “Restiamo in Europa” al posto di quella originale “Arbeit macht frei”. Un accostamento che aveva già all’epoca fatto infuriare la comunità ebraica greca. Ma Kammenos era finito più volte nel mirino anche per le sue tesi ritenute complottistiche rispetto agli attacchi dell’11 settembre del 2001 contro le Torri Gemelle negli Stati Uniti e per i suoi apprezzamenti poco simpatetici nei confronti dei gay, delle minoranze e della sinistra. D’altronde l’esponente della destra di Nuova Democrazia confluito nella creatura politica creata dal più noto Panos pochi anni fa in apparente rottura con la subalternità del partito nei confronti dei diktat della Troika, non ha mai nascosto la sua identità e le sue opinioni, che non sono poi molto diverse da quelle dei suoi colleghi di Anel scelti per far parte del precedente e dell’attuale esecutivo.
Il 49enne esponente politico ha prima cercato di difendersi – aggravando in realtà la sua posizione – affermando che i post incriminati erano stati manipolati o addirittura pubblicati sui suoi profili da presunti hacker ma poi, una volta scaricato anche dal suo leader, ha annunciato le proprie dimissioni per permettere “il buon funzionamento del nuovo governo” e in nome “dell’interesse del Paese”.
Fattosi da parte, Dimitris Kammenos ha comunque aggiunto che si rivolgerà alla magistratura per far luce sul complotto ordito dagli hacker contro di lui “in modo che la verità risplenderà un giorno”. 
Ma il sacrificio dello sprovveduto viceministro non ha placato l’ondata di critiche che sta montando contro un esecutivo che, contrariamente all’immagine nuovista e discontinuista che lo stesso premier tenta di dargli, in realtà appare in buona parte espressione del vecchio personale politico e dei partiti dell’establishment, per quanto riciclati e presentati sotto una nuova veste. 
A ben vedere non solo praticamente tutti gli esponenti di Anel provengono da Nuova Democrazia, in cui hanno militato ricoprendo posti di responsabilità almeno fino a tre anni fa, ma anche la pattuglia dei rappresentanti di Syriza è pesantemente infiltrata da ex dirigenti del Pasok, alcuni dei quali sfilatisi dalla formazione filo-troika all’ultimo momento dopo aver condiviso scelte scellerate. I socialisti scelti per guidare i ministeri e i dipartimenti sono numerosissimi, anche più che nella precedente versione del governo, grazie anche dell’epurazione degli esponenti della sinistra di Syriza che o hanno abbandonato il partito per formare Unità Popolare o che pur rimanendo in minoranza nella formazione sono stati sistematicamente messi da parte. 
Niente male per un partito che ha promesso, dopo aver abbandonato per forza maggiore i vecchi slogan radicali contro debito e austerity, almeno di portare a un ricambio delle classi dirigenti e di spazzare via l’establishment corrotto e inamovibile che si era impossessato delle istituzioni. Vista la composizione dell’esecutivo, è davvero difficile attendersi che dopo la rinuncia alla rivoluzione sociale l’accoppiata Syriza-Anel si faccia almeno promotrice di quella civile…
Per ora l’unico proposito che sembra animare la squadra di governo – composta da 32 tra ministri e ministri aggiunti e da 12 viceministri – sembra essere la riduzione del danno: «Ini­ziare a lavo­rare imme­dia­ta­mente per appli­care il Memo­ran­dum in modo equo e per rico­struire la società avendo cura degli strati più deboli».
Riconfermati nell’esecutivo molti dei ministri precedenti: Efkli­dis Tsa­ka­lo­tos con­ti­nuerà a gui­dare le Finanze, affiancato dal responsabile dell’Economia Jorgos Stathakis e dal ministro aggiunto Giorgos Choularakis. Supervisionati dal vicepremier Jan­nis Dra­ga­sa­kis saranno loro a dover applicare i vari provvedimenti lacrime e sangue accettati a luglio dal “Tsipras 1” e quelli che la Troika imporrà nei prossimi mesi, strada facendo. Riconfermati agli esteri Nikos Kotzias, allo sviluppo Panos Skourletis e Panos Kammenos alla Difesa, a guidare il parlamento al posto della ribelle Zoe Kon­stan­to­pou­lou è andato l’ex ministro degli interni, il fedelissimo Nikos Voutsis.
Intanto altri scogli sembrano profilarsi all’orizzonte del “Tsipras 2”: a parte le proteste delle isole contro la decisione del governo di aumentare le tasse anche nei territori più disagiati e isolati, e quelle degli agricoltori e degli allevatori che contestano la rimozione delle agevolazioni fiscali finora concesse, anche sul fronte delle privatizzazioni la strada potrebbe essere irta di ostacoli assai più del previsto. Nelle ultime settimane infatti ben quattro amministrazioni – Corfù, Aktion, Cefa­lo­nia e Zante – hanno annunciato l’intenzione di indire altrettanti referendum popolari per permettere alle popolazioni locali di pronunciarsi sulla svendita alla multinazionale tedesca Fraport degli aeroporti. Ma si sa, in Grecia come d’altronde in Italia i risultati dei referendum valgono davvero poco…

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