La pace sarà firmata al più tardi entro sei mesi: con queste parole il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha annunciato ieri il raggiungimento di un accordo tra il governo di Bogotà e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) per porre fine a un conflitto che dura ormai da mezzo secolo. “Tra 6 mesi esatti staremo dando l’addio definitivo all’ultima e alla più lunga guerra combattuta non solo in Colombia ma un tutta America. È un passo enorme” ha aggiunto il presidente dopo aver stretto la mano, un gesto che passerà alla storia, al numero uno della guerriglia marxista Timoleon Jimenez, noto come ‘Timochenko’, durante una cerimonia all’Avana alla presenza di Raul Castro.
Che il negoziato avviato ormai quasi tre anni fa grazie alla importante mediazione di Cuba fosse ad una svolta lo si era capito nelle ultime ore quando ieri, per la prima volta dall’inizio delle trattative, il presidente colombiano Santos era partito alla volta di Cuba per sedersi personalmente al tavolo delle trattative.
Secondo quanto riportato in un comunicato diffuso dai paesi mediatori e garanti – Cuba e Norvegia, affiancati anche dai rappresentanti di Venezuela e Cile – le due parti hanno raggiunto un’intesa sulla delicata questione delle conseguenze giudiziarie del conflitto, uno dei principali nodi su cui si era più volte arenata la mediazione.
L’accordo siglato prevede la creazione di una “giurisdizione speciale per la pace” – formata da magistrati colombiani, ma con l’assistenza di giuristi stranieri – con il compito di “mettere fine all’impunità, ottenere la verità, stabilire le indennità per le vittime, giudicare e applicare sanzioni contro i responsabili dei gravi crimini commessi durante il conflitto”. Tra questi, crimini contro l’umanità, genocidio, crimini di guerra e tortura. Il testo concordato prevede la creazione di una Giurisdizione Speciale per la Pace per giudicare i crimini commessi nell’ambito del conflitto interno. La giurisdizione consiste in un tribunale speciale e in alcune aule di giustizia che indagheranno, giudicheranno e imporranno sanzioni per i crimini di guerra, prevedendo pene tra i 5 e gli 8 anni per gli attori del conflitto che riconoscano i propri delitti. Per coloro che li occultano, invece, la pena prevista è di 20 anni. Per i delitti politici o connessi, invece, è stata annunciata un’amnistia la cui portata sarà definita da una legge ad hoc.
Il testo firmato dalle due parti afferma che “le sanzioni che il Tribunale imporrà avranno lo scopo essenziale di soddisfare i diritti delle vittime e di consolidare la pace e dovranno avere la maggiore funzione restauratrice e riparatrice del danno causato”.
Su questo punto, il comandante Timoshenko ha sottolineato che i magistrati dovranno occuparsi ovviamente non solo delle attività della guerriglia, ma anche degli altri protagonisti degli scontri violenti, come le forze di sicurezza e le organizzazioni paramilitari.
L’accordo di oggi chiude una trattativa che negli ultimi anni aveva portato il governo e le Farc ad accordarsi su altri temi delicati – alcuni dei quali alla base dell’insorgenza popolare che ha poi dato vita alla guerriglia – come la riforma agraria, la riabilitazione dei guerriglieri e il loro inserimento nella società e nella politica, lo stop della produzione e della commercializzazione dell’oppio. Le due parti hanno stabilito delle regole anche per lo sminamento dei territori interessati dal conflitto.
“Per la prima volta nella storia un governo e un gruppo armato creano un sistema di questo tipo, dentro al proprio sistema giudiziario nazionale”, ha detto Santos, sottolineando che comunque l’accordo sarà sottoposto alla volontà degli elettori colombiani.
L’accordo contempla anche che la “trasformazione delle FARC-EP in un movimento politico legale è un obiettivo condiviso, che conterà su tutto l’appoggio del Governo nei termini che saranno stabiliti”.
I prossimi passi sono il disarmo della guerriglia e il cessate il fuoco definitivo. Se il presidente Santos, dopo i voltafaccia dei mesi scorsi che avevano portato ad una improvvisa interruzione dei negoziati e a duri scontri tra esercito e guerriglia, sembra aver scelto la via della soluzione politica, altrettanto non si può dire per gli ambienti reazionari vicini all’ex presidente Uribe e molto presenti all’interno delle Forze Armate, della Polizia, della Magistratura e dei Servizi Segreti, oltre che all’interno dell’amministrazione civile. Sostenuti dagli Stati Uniti e dall’oligarchia locale – in stretto collegamento anche con la destra golpista venezuelana – questi ambienti potrebbero tentare di minare il raggiungimento dell’accordo finale: la posta in gioco è il mantenimento di un regime politico autoritario e liberista, a tratti feudale, che di fatto da più di mezzo secolo impedisce la partecipazione delle classi popolari alla vita politica e concede mano libera agli industriali, ai latifondisti e alle multinazionali straniere.
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