Politicamente deboli, i governanti francesi sono soliti esprimere le proprie rivendicazioni egemoniche, dentro e fuori l’Unione Europea, a suon di interventi militari. E’ sempre stato così negli ultimi anni. Mentre la borghesia tedesca costruiva l’architettura istituzionale ed economica – ordoliberismo, lo chiamano – di una Unione Europea sempre più blindata e autoritaria, Parigi si è impegnata a rivendicare il proprio ruolo e il proprio spazio nel progetto imperialista europeo guidando o più spesso ancora realizzando in solitaria vari interventi militari, in particolare nel continente africano, ma anche in Medio Oriente.
Mentre Matteo Renzi – questa volta spalleggiato da Berlino – affermava che occorre evitare di ripetere una ‘nuova Libia’, lo scenario si è ripetuto quando alcuni caccia francesi sono decollati da una base segreta e si sono diretti verso la Siria orientale dove hanno bombardato e distrutto un campo d’addestramento delle milizie dello Stato Islamico. Il socialista Hollande ha giustificato l’operazione militare, per altro annunciata in pompa magna nei giorni scorsi, con la necessità di “proteggere la sicurezza nazionale francese”. Secondo il presidente si è trattato di ‘legittima difesa’ in quanto i terroristi che si stavano addestrando nella postazione colpita dalle bombe sganciate dai Rafale a Deir-ez-Zoz si preparavano a colpire obiettivi francesi.
Una scelta che, dicono alcuni sondaggi, sarebbe sostenuta dalla maggioranza dei cittadini francesi. Anzi, a detta di un sondaggio realizzato dall’Ifop, i francesi sarebbero addirittura favorevoli alla partecipazione di Parigi ad un intervento di terra contro le postazioni dell’Isis in Siria. Dice l’istituto demoscopico che il 56% dei sondati sostiene l’invio di truppe terrestri in Medio Oriente, contro un 40% che sarebbe invece contrario alla rischiosa avventura militare.
In realtà l’amministrazione francese, che non ha escluso nuovi bombardamenti nei prossimi giorni, esclude la prospettiva di un intervento di terra che considera, ha spiegato lo stesso Hollande, del tutto ‘irrealistica’.
Nel frattempo ha scatenato numerose polemiche la scelta autonoma di tre deputati, appartenenti anche alla maggioranza socialista – Gérard Bapt, Christian Hutin e Jerome Lambert – di partire proprio in questi giorni per la Siria. “Abbiamo un nemico comune, lo Stato islamico. Sarebbe dunque piuttosto intelligente fare fronte comune con Assad”, ha detto Lambert, suscitando l’ira del Partito Socialista e di tutte quelle formazioni che fanno dell’eliminazione del governo Assad la propria priorità.
Ma sull’intervento diretto francese in Siria anche la sinistra radicale d’oltralpe si è divisa. Mentre certi ambienti del Partito Comunista Francese non sembrano particolarmente ostili alla decisione da parte del governo di lanciare raid sul suolo siriano senza il consenso del governo del paese e senza neanche uno straccio di copertura da parte dell’Onu, alcuni dirigenti e militanti che fanno riferimento alla corrente “Faire vivre le PCF” (“far vivere il Partito Comunista Francese”) hanno lanciato un appello a contrastare la politica guerrafondaia di Parigi in quanto non mirerebbe affatto a sconfiggere ed eliminare lo Stato Islamico ma a causare il rovesciamento del governo di Damasco. “Nel conflitto – scrivono i militanti comunisti – la Francia porta già una parte di responsabilità. Come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Turchia e i paesi del Golfo, la Francia ha preferito il sostegno finanziario e militare agli islamisti. Ha operato ingerenze negli affari interni di un paese sovrano al fine di rovesciare il regime siriano. (…) Conosciamo le conseguenze di queste ingerenze. I movimenti islamisti, pesantemente armati, intervengono in Iraq quanto in Siria. I civili sono obbligati a fuggire dalle zone di combattimento e si ammassano nei campi, aspettando tempi migliori. L’ultimo paese laico della regione, un paese sviluppato, si dirige verso il caos. Come la Libia, come l’Afghanistan, come l’Iraq. Ovunque le ingerenze imperialiste producono gli stessi effetti”.
Inoltre l’appello mette in evidenza, non a torto, che “questo intervento sarà fatto nell’ambiguità degli obiettivi di guerra, che sarebbero quelli di fare arretrare lo Stato Islamico e allo stesso tempo di impedire la vittoria militare del regime siriano. Non è che l’intervento della Francia è mosso dalla paura del ruolo della Russia in Siria, più che dall’avanzata degli islamisti?”.
Che la domanda di un settore del PCF che sembra più determinato rispetto ai propri compagni partito non sia peregrina lo dimostra la dura reazione di Mosca ai raid francesi sulla Siria. Il Ministero degli esteri russo ha reagito immediatamente al bombardamento dei Rafale. La portavoce Marija Zakharova ha scritto su facebook che l’azione francese contraddice il diritto internazionale. Il bombardamento, effettuato senza consultazione con Damasco o mandato dell’ONU, scrive Zakharova, non può essere considerato un atto di “necessaria autodifesa”. “Mi piacerebbe conoscere dettagliatamente tale concezione di autodifesa sotto forma di bombardamento aereo sul territorio di uno stato non attaccante, senza il suo consenso e anche come tale concezione corrisponda al diritto internazionale. Sono davvero bizzarri: il referendum in Crimea è annessione, mentre i bombardamenti senza mandato del Consiglio di sicurezza e consenso del governo, sono autodifesa” ha affermato Zakharova che poi ha aggiunto “Chiaro che lo stato islamico è una minaccia per il mondo intero, ma, signori: in primo luogo, esso è una creatura di chi? In secondo luogo, con quale fondamento voi agite sul territorio di uno stato sovrano, aggirando il governo legittimo che non solo non sostiene, ma combatte con abnegazione con quello stesso stato islamico? Questo non è assolutamente “diritto internazionale, è la sua demolizione sotto gli occhi della comunità internazionale sconvolta”.
Intanto Vladimir Putin, in un’intervista ai canali americani CBS e PBS, ha anticipato alcuni dei tempi dell’intervento che sta realizzando, mentre scriviamo, alla 70° assemblea generale dell’ONU. A proposito della Siria, Putin ha affermato che nel paese c’è un solo esercito legittimo ed è quello del presidente Bashar Assad. Putin ha menzionato non a caso le recenti audizioni al Senato USA, in cui i rappresentanti del Pentagono hanno ammesso che avrebbero voluto istruire 5-6mila combattenti dell’opposizione, che poi erano saliti a 12mila ma alla fine si sono rivelati essere solo 60: tutti gli altri, con le armi fornite loro dal Pentagono, sono passati all’Isis o ad Al Qaeda o si sono squagliati come neve al sole.
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