La fonte è più che autorevole: il Times di Londra. La notizia è agghiacciante: oltre 400.000 migranti entrati nell’Unione europea nei primi sei mesi del 2015 e la cui richiesta di asilo è stata respinta saranno espulsi e rimpatriati nei loro Paesi d’origine entro le prossime settimane.
Ma non ci sono soltanto i numeri. Il “piano segreto” dell’Unione Europea precede anche la minaccia ai paesi d’origine: blocco degli aiuti e degli scambi commericiali per chi – come Niger ed Eritrea – si rifiuterà di riprendere i “propri” profughi.
Ciliegina sulla torta: campi di concentramento in cui rinchiudere i profughi in attesa di rimpatrio, al fine esplicito di impedirne la fuga.
La bozza di accordo tra i paesi europei, che sembra scritta da Salvini e Le Pen in un momento di ebbrezza, sarà discussa oggi al vertice dei ministri degli Interni sull’immigrazione.
E fa seguito, a 24 ore di distanza, all’accordo siglato con Ankara per la “costruzione di sei centri di accoglienza” per profughi in fuga dall’Isis (quindi da Siria e Iraq). Altri campi di concentramento che, oltretutto, la Turchia di Erdogan vorrebbe “costruire” oltre i propri confini, preferibilmente in Siria, in modo da avere agibilità militare all’interno di quel paese. E non sembra un dettaglio che la striscia settentrionale della Siria, al confine con Ankara, sia in prevalenza terrotorio curdo.
L’Unione Europea, dunque, dismette i panni umanitari e tira fuori l’anima segregazionista, pronta al più grande esodo forzato in tempo di pace che un “paese civile” abbia mai realizzato.
Mancano dettagli sul “come” rimpatriare una massa di umanità di queste dimensioni. Chiaramente non per via aerea, più probabilmente via mare, con navi militari o militarizzate, perché sembra prevedibile che ci sarà una qualche forma di disperata resistenza da parte di persone che hanno sfidato la morte e investito (inutilmente) ogni proprio avere per costruirsi una vita altrove.
Questa follia paranazista arriva paradossalmente a poche ore di distanza dalla pubblicazione di un rapporto della Fondazione Migrantes – relativa soltanto all’Italia – che spiega come la realtà sia esattamente opposta a quella che i media stanno veicolando da anni. Nel 2014, per ogni straniero arrivato in questo paese, 3 italiani sono emigrati altrove.
La cosiddetta “invasione”, insomma, non riesce neppure lontanamente a compensare la diminuzione di popolazione che si sta verificando per motivi decisamente strutturali. Tra parentesi, sta a significare che come “paradiso delle opportunità”, l’Italia è assai meno attrattiva di altri paesi europei.
Tra l’altro, la composizione sociale dei “profughi economici” italiani coincide quasi al millimetro con quella degli africani o mediorientali che arrivano sui barconi: diplomati e laureati “in uscita” costituiscono una percentuale più alta di quanto non vi sia nelle terre di partenza. Segno certo di mancanza di prospettive di sviluppo, che obbligano i “ceti medi” (o aspiranti tali) a cercare l’occasione altrove.
I dati raccolti da Migrantes sono molto significativi: a fine 2014, infatti, risultano iscritte all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) 4.636.647 persone, con un incremento del 49,3% rispetto al 2005 (prima dell’esplosione della crisi). Sono in maggioranza uomini (56%), celibi (59,1%), d’età compresa tra i 18 e i 34 anni (35,8%). La maggior parte di loro, ma di poco, è ancora d’origine meridionale (51,4%), ma Lombardia e Veneto sono al secondo e terzo posto – dopo la Sicilia – tra le regioni che danno il maggior “contributo” al fenomeno. Segno non solo di stasi nello sviluppo, ma anche di precedenti esperienze: «Una parte di questa migrazione deriva da una precedente migrazione interna Sud-Nord, gente che spostandosi si era sistemata ma non abbastanza da reggere alla crisi».
L’altro elemento decisivo, in questa migrazione del 2000, sta nelle destinazioni: paesi più sviluppati o con migliori prospettive del nostro. È una differenza non da poco rispetto all’emigrazione di un secolo fa, che in grande percentuale si dirigeva là dove c’era “spazio da conquistare” (l’Argentina, soprattutto, ma anche gli Stati Uniti). Somiglia insomma di più all’emigrazione interna degli anni ’50 e ’60, da Sud a Nord (e in Francia, Belgio, Germania, Svizzera), ovvero verso il benessere raggiunto.
Proprio come gli emigrati da altri continenti che arrivano ora qui e che ci si prepara a “ributtare a mare” a centinaia di migliaia.
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