In Siria non ci sono “ribelli moderati”. E semmai ci sono stati – c’è da dubitarne, in effetti – non esistono più. A dirlo è stato lo stesso Barack Obama, presidente degli Stati Uniti. Oddio, non ha detto proprio questa frase, anzi non ne ha parlato affatto. Ma ha preso una decisione operativa che dice molto più di tanti discorsi: ha eliminato il fondo da 500 milioni per addestrare e armare, appunto, i “ribelli siriani moderati”.
Questi fondi erano sul bilancio del Pentagono e fin qui erano serviti veramente a poco. Dovevano costruire milizie locali forti dell’appoggio finanziario e militare statunitense, grazie alla copertura aerea e alle forniture di armi moderne; milizie in grado di fronteggiare e sconfiggere l’esercito di Assad e contemporaneamente tenere a bada l’Isis.
Nulla di tutto questo è mai avvenuto. I pochi miliziani addestrati direttamente dal Pentagono sono stati sbaragliati sul campo, oppure sono passati armi e bagagli all’Isis.
Questa decisione semplifica di molto l’interpretazione dello scontro in atto da quattro anni sul territorio siriano: ci sono solo due parti in conflitto, il regime di Assad (supportato ora da un’alleanza sciita composta da Iran, Hezbollah e Iraq) e Isis-Al Qaeda (sostenuti e finanziati da Arabia Saudit e Qatar, in primo luogo). Poi ci sono i curdi, che da sempre e comprensibilmente, giocano la partita dell’indipendenza da quasi un secolo e non sono mai assimilabili a nessuna delle due parti.
Questa constatazione sbugiarda le narrazioni che i media di regime occidentali hanno propalato per quattro anni, condivise persino da alcuni “antagonisti” del Vecchio Continente a corto di categorie interpretative. Ma soprattutto lascia gli Stati Uniti senza una strategia “vendibile” rispetto al conflitto siriano e mediorientale in genere.
Una volta deciso e ribadito che “assad deve essere abbattuto”, infatti, l’unica alternativa reale sul terreno è sostituita dall’integralismo sunnita (Isis – Al Qaeda) contro cui gli stessi Stati Uniti e l’Unione Europea si considerano ufficialmente “in guerra”. Qualsiasi cosa faccia, insomma, l’imperialismo occidentale si deve dare la zappa sui piedi.
Ciò nonostante, il Pentagono si sforzerà di creare e sostenere una piccola collezione di tribù sunnite nelle provincia di Idlib (che va dal confine turco nei pressi di Antiochia fin quasi a ridosso della base navale di Tartus, sede operativa delle truppe russe, non a caso) chiamata già ora la Syrian Arab Coalition, sperando che in futuro possano diventare un alleato dei curdi (che non hanno molti motivi per sostenere Assad, ma ancor meno per allearsi – di fatto – con lesercito turco che li massacra), gli unici fin qui a contenere l’Isis in campo aperto. «Il Dipartimento della Difesa fornirà ora equipaggiamento e armi a un selezionato e verificato numero di leader e alle loro unità in modo che nel tempo possano organizzare un’offensiva in territori ancora controllati da Isis». Una scelta di ripiego, minimalista, che fa degli Stati uniti l0aviazione della provincia di Idlib… La speranza, e solo quella, è che anche queste tribù, fin qui isolate dal resto del paese, non finiscano per allearsi invece con l’integralismo sunnita.
Questo – ribadiamo per la millesima volta – è un giudizio obiettivo, non uno “schieramento” sul campo. Ma invitiamo ancora una volta tutti a prendere atto che progressisti e comunisti mediorientali hanno deciso da tempo qual’è il loro “nemico principale”. Sia i comunisti libanesi che i curdi, infatti, sono non da ora impegnati nel respingere l’Isis e affini. Una ragione non ideologica ci deve essere. Basta farsi due ragionamenti in testa.
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