Un abbraccio nel sangue, una stretta tenera mentre attorno aleggia la morte. Anche quella della propria figlia Basak che era con loro, Izettin e Hatice, e che per la disperazione della madre e lo sconforto del padre ormai giaceva accanto cadavere. Tutto dopo lo scoppio assassino di Ankara dove i morti accertati sono novantasette, ma un’altra trentina di nomi mancano all’appello. Dopo alcune ore da quell’abbraccio, per le ferite che Izettin aveva ma non sentiva, anche lui ha chiuso per sempre gli occhi, che nel momento dello scatto del fotografo della Reuters Berkin, erano fissi nel vuoto. Forse osservavano la desolazione che aveva preso il posto della gioia di partecipare presente fino a pochi istanti prima; un sentimento passionale e cosciente delle difficoltà della propria esistenza e di quella di milioni di persone nell’attuale Turchia. Compiere un gesto normale in un Paese democratico come manifestare diventa rischiosissimo per la libertà e per la stessa vita. Izettin, insegnante, lo sapeva. Veniva da Suruç, cittadina sul confine siriano, diventata martire per un massacro simile nello scorso luglio. Ma Izettin, di cui raccontano gli ideali e il cuore, aveva preso per mano moglie e figlia, ricordando che l’impegno civile gli chiedeva una presenza nella grande manifestazione per la pace.
Perché nell’odierna Turchia che deve darsi un nuovo Parlamento e un governo c’è una guerra in corso, neppure tanto piccola, se aerei da combattimento sorvolano le province del sud-est, abitate dalla comunità kurda, sganciando bombe. Perché in opposizione a questa pratica di eccidio, i militanti del Partito dei Lavoratori Kurdo attaccano soldati e caserme con agguati mortali. Cento e più morti fra le divise, duemila in seno all’etnìa dei kurdi, colpita secondo l’esercito turco nelle sue milizie considerate terroriste, ma di fatto privata di suoi abitanti, anche di bambini che assieme ad altri abitanti finiscono sotto il fuoco indiscriminato della repressione. Tutto ciò sta accadendo da tre mesi e nel mondo solo gli addetti ai lavori della geopolitica se ne occupano. La pace presunta è a parole obiettivo di tanti, compresi i leader di ogni fazione, che la promettono, ne parlano finanche in tavoli di trattative pubblici o segreti. La pace concreta, che travalica gli accordi, è di solito inseguita dalla gente normale, cosciente e coraggiosa – come Izettin, Hatice, Basak – persone capaci di vivere e morire inseguendo ideali. Per dare senso e linfa a quel viaggio, più o meno lungo, che è la vita. Anche contro chi ha deciso di reciderla.
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