Mentre a Vienna continua il negoziato/braccio di ferro tra le potenze mondiali e regionali protagoniste del conflitto che incendia la Siria ormai dal 2011, Washington continua a tentare di recuperare un ruolo di primo piano in Medio Oriente. Nelle ultime ore il presidente degli Stati Uniti ha annunciando, confermato le indiscrezioni di stampa dei giorni scorsi, che manderà un numero imprecisato di consiglieri militari e di membri delle forze speciali – per ora si parla di “alcune decine” – in territorio siriano per sostenere e coordinare i gruppi di ribelli ‘moderati’ che combattono contro i jihadisti dello Stato Islamico e soprattutto contro le forze leali al governo di Damasco. Secondo fonti del congresso statunitense, il contingente pronto a partire consisterebbe in circa 60 unità dei reparti scelti, che avranno compiti di consulenza e assistenza alla logistica per i gruppi armati che si oppongono ad Assad e allo Stato islamico.
“La strategia statunitense in Siria non è cambiata” ha cercato di spiegare Josh Earnest, il portavoce della Casa Bianca, aggiungendo che “le forze speciali non saranno impegnate in missioni di combattimento”.
Ma si tratta – è più che evidente – di un consistente cambiamento di rotta per Obama che ha più volte ripetuto che i soldati di Washington non avrebbero mai poggiato “gli scarponi sul terreno” in Siria. Pressato dagli ambienti militari e da alcuni settori dello stesso Partito Democratico, Obama ha prima formato una ‘coalizione internazionale’ che dall’estate dello scorso anno conduce blitz – dall’incerto effetto sui jihadisti – contro le postazioni di Daesh in Siria e Iraq, ed ora ha aperto la strada ad un intervento militare diretto delle forze armate di Washington sul terreno. Ciò dopo l’evidente fallimento della strategia tesa negli ultimi anni a formare milizie ai suoi diretti ordini, che spesso si sono o squagliate completamente o si sono integrate – armi e finanziamenti inclusi – nello Stato Islamico o nel Fronte Al-Nusra oppure sono state attaccate e annichilite dai gruppi più estremisti. Poche settimane fa per ordine della Casa Bianca il Pentagono ha interrotto un programma da ben 500 milioni di dollari che puntava a formare migliaia di fedeli combattenti ma che dopo mesi di evidenti difficoltà era riuscito a tirar su poche decine di miliziani. Quei fondi sono ora destinati soprattutto al sostegno al fronte delle Forze Democratiche Siriane, formato recentemente dalle unità curde siriane insieme ad alcune brigate autonome dell’Esercito Siriano Libero e ad alcune milizie volontarie turcomanne e assire formatesi nel nord della Siria per respingere i jihadisti.
La “lotta ai jihadisti” sarà inoltre rafforzata anche su altri fronti. Al esempio su quello iracheno, dove il Pentagono ha portato avanti in questo periodo “consultazioni” con il primo ministro Haider al Abadi per mettere in piedi una task force incaricata delle operazioni speciali, con un numero imprecisato di forze statunitensi che “rafforzeranno la capacità irachena di colpire i capi e le reti dello Stato islamico” lungo il confine tra Siria e Iraq, come hanno riferito fonti militari al Guardian. Una mossa che segue lo stabilimento a Baghdad del centro di coordinamento dell’intervento militare russo in Siria e in Iraq, insieme a Iran, forze lealiste siriane ed Hezbollah.
Le forze in questione saranno appoggiate da un aumentato schieramento di caccia e aerei da combattimento A-10 e F-15S nella base aerea della Nato di Incirlik, in Turchia, aumentando considerevolmente il dispiegamento delle forze militari statunitensi nell’area.
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