Il ‘sultano’ Erdogan non ammette critiche e della libertà di stampa se ne frega. E lo dà a vedere, senza grandi problemi, mettendo in galera chiunque lo contraddica. Il che non sembra costituire un particolare problema per l’Unione Europea che continua a considerare Erdogan e il suo governo un partner fondamentale nelle politiche di contenimento e controllo dell’immigrazione diretta nel continente, un compito che Ankara assolve sparando sui profughi come è accaduto pochi giorni fa ai confini con la Siria.
In manette, ieri, sono finiti il rappresentante di Reporters Sans Frontières in Turchia, Erol Önderoglu, la professoressa universitaria e presidente della Fondazione Turca dei Diritti Umani (Tihv) Sebnem Korur Fincanci e lo scrittore Ahmet Nesin, figlio del famoso scrittore Ali Nesin.
Per i tre un tribunale di Istanbul ha dettato addirittura l’arresto preventivo e la custodia cautelare in carcere con l’accusa di “propaganda terroristica” – la stessa che ha già portato in carcere centinaia tra giornalisti, intellettuali, dissidenti politici – scattata a seguito della partecipazione dei tre, nel mese di maggio, ad una campagna di solidarietà nei confronti del quotidiano curdo Ozgur Gundem. Infatti facendo a turno, per un giorno rispettivamente Önderoglu, Nesin e Fincanci avevano simbolicamente assunto la direzione del giornale, da anni nel mirino della censura e della repressione del regime di Ankara: edizioni sequestrate, giornalisti arrestati o addirittura assassinati, minacce continue.
Ai tre l’iniziativa è costata un’accusa di propaganda terroristica a favore del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, soprattutto a causa di tre articoli dedicati alle faide in corso tra le diverse componenti dei servizi di sicurezza turchi e alla selvaggia repressione militare che da mesi vede molte città della zona a maggioranza curda bombardate e rastrellate con centinaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati. Come se non bastasse, altri 37 dei 44 giornalisti e intellettuali che hanno partecipato alla campagna di solidarietà nei confronti di Ozgur Gundem sono oggetto di un’inchiesta penale da parte della magistratura e alcuni di loro sono già stati interrogati, e quindi non è da escludere che l’ennesimo giro di vite possa portare a nuovi arresti e licenziamenti.
Secondo un documento pubblicato dallo stesso Önderoglu, attualmente dietro le sbarre in Turchia ci sono 28 giornalisti (la cifra in realtà è più alta visto che alcuni operatori dell’informazione non vengono riconosciuti come tali dalle autorità), per la maggior parte di sinistra o curdi. Gli ultimi ad essere duramente colpiti sono stati Can Dundar e Erdem Gul, direttore e caporedattore del quotidiano Cumhuriyet arrestati e processati per aver rivelato i legami tra i servizi segreti di Ankara e i jihadisti che combattono in Siria, riforniti di armi da parte del Mit.
Un altro caso eclatante è stato recentemente quello della giornalista Arzu Yildiz, condannata a venti mesi di prigione e, incredibilmente, alla perdita della patria potestà sui suoi figli (prevista da un articolo specifico del codice penale turco) perché nel maggio del 2015 ha pubblicato un video sul processo intentato contro quattro magistrati che avevano ordinato la perquisizione di un camion dei servizi segreti turchi diretto in Siria nel 2014.
Sempre secondo il report, circa 2000 giornalisti sono stati licenziati per ordine delle autorità politiche dal 2013 ad oggi, e molti media – giornali, tv, radio – sono state letteralmente sequestrate dal governo che ne ha commissariato la gestione per togliere di mezzo voci critiche nei confronti del partito islamo-nazionalista al potere.
Ovviamente, vista la relazione di Önderoglu con l’associazione internazionale Reporter Senza Frontiere, appena dopo l’arresto è partita una campagna contro gli arresti e per la liberazione immediata dei tre. L’organizzazione ha lanciato una mobilitazione fatta di appelli, petizioni e manifestazioni di piazza per chiedere la liberazione di Erol Onderoglu, Sebnem Korur Fincanci e Ahmet Nesin. Diversi appelli sono stati diffusi anche da organizzazioni locali per la libertà di stampa, mentre due manifestazioni a sostegno dei 3 arrestati sono state organizzate oggi a Istanbul.
Quella convocata stasera in Istiklal Caddesi, il lungo viale che taglia a metà la parte europea della metropoli sul Bosforo, probabilmente subirà la stessa sorte di quella toccata domenica a centinaia di persone che, nonostante il divieto delle autorità, avevano comunque deciso di scendere in piazza nel centro di Istanbul per denunciare la proibizione del Gay Pride, dettata dal governatore dopo che i promotori erano stati minacciati da parte di alcuni gruppi fascisti e islamisti radicali. Ancor prima che il piccolo corteo partisse gli agenti in tenuta antisommossa hanno cominciato a lanciate lacrimogeni e a caricare i manifestanti, dispersi in pochi minuti da una enorme nuvola di fumo tossico che è entrato nelle case e nei locali del centro città intossicando decine di persone. Per par condicio, 11 membri di un gruppo che scandiva slogan islamisti e si preparava ad aggredire i manifestanti sono stati fermati dalla polizia, ma sono stati poi rilasciati poco dopo.
D’altronde lo stesso Erdogan era intervenuto a proposito dell’assalto islamista realizzato lo scorso venerdì sera contro un negozio di dischi nel centro di Istanbul reo di aver organizzato una piccola festa in occasione della presentazione del nuovo disco dei Radiohead durante la quale si consumavano bevande alcoliche e si ascoltava musica nonostante il Ramadan. “Usare la forza per intervenire è tanto sbagliato quanto organizzare un evento che si estenda nelle strade durante il Ramadan. Entrambi hanno sbagliato” ha sentenziato il sultano. Per l’assalto squadrista tre persone sono state fermate – d’altronde il video dell’aggressione ha fatto il giro del mondo – ma gli islamisti hanno ottenuto il loro scopo: il proprietario dei locali ha cacciato il giovane cittadino sudcoreano che gestiva il Velvet Indieground ed ha chiuso il negozio.
Marco Santopadre
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