Per la prima volta nella storia, un candidato alla presidenza della Generalitat non è riuscito a guadagnare l’investitura né alla prima né alla seconda votazione del parlamento catalano. Si tratta di Artur Mas, ex presidente del governo autonomo che insiste nel voler essere lui, e nessun altro, il capo del governo che porterà la Catalogna verso l’indipendenza, ma che oggi per la seconda volta questa settimana ha ricevuto un ‘no’ netto da parte della maggioranza dei consiglieri del Parlament. Compresi i dieci deputati regionali della Cup, la sinistra anticapitalista e sovranista che ha più volte espresso la propria disponibilità a votare un candidato espresso dalla coalizione Junts pel Si, formata dai liberalnazionalisti di CDC e dai socialdemocratici repubblicani di ERC, ma non quell’Artur Mas che è implicato in scandali per corruzione e che quando governava ha usato il pugno di ferro contro i movimenti sociali e di protesta e applicato una politica di austerity, tagli e privatizzazioni che non aveva nulla da invidiare a quella imposta a Madrid dalla troika.
Neanche i continui e pressanti appelli da parte del variegato associazionismo indipendentista – Assemblea Nazionale Catalana in testa – affinché si trovi al più presto un accordo tra le due anime dell’indipendentismo in modo da non sprecare un’occasione storica hanno piegato la Cup. Che, per bocca del portavoce del suo gruppo parlamentare, Antonio Baños, aveva ribadito il ‘no tranquillo’ della sinistra indipendentista ad Artur Mas ricordando che: “Qui c’è un problema con il nome (del candidato alla presidenza). Se [Junts pel Sí] avesse proposto un altro nome già ci sarebbe l’accordo”.
Neanche la promessa, da parte dello stesso Mas, di ridurre il suo potere di presidente eventuale, delegando ad altri la gestione di importanti settori di lavoro del nuovo esecutivo, ha convinto la formazione antagonista, così come la proposta di andare ad una verifica entro dieci mesi attraverso la presentazione concordata di una mozione di sfiducia.
Se entro il 9 gennaio non si troverà un accordo, la presidente Carme Forcadell sarà costretta a sciogliere il parlamento di Barcellona e a convocare nuove elezioni per marzo, un’eventualità che in realtà tutti i settori del variegato movimento indipendentista vogliono evitare. Ora la palla passa di nuovo alla coalizione indipendentista moderata che se vorrà sbloccare la situazione dovrà proporre un candidato diverso da Artur Mas, che la sinistra indipendentista sia in grado di votare per rispettare il proprio impegno di dare un governo che traghetti la Catalogna verso la creazione di una repubblica indipendente ma anche di non scegliere un candidato antipopolare e di dubbia integrità. Il candidato potrebbe essere, ad esempio, quel Raul Romeva che, da europarlamentare della formazione di sinistra rossoverde Iniciativa per Catalunya, ha scelto di guidare la lista di Junts pel Si. Il suo profilo è più vicino alle priorità, di carattere sociale oltre che nazionale, delle Candidature di Unità Popolare. Il problema è che il leader di Convergenza Democratica difficilmente rinuncerà alla candidatura, nel timore di veder tramontare per sempre il suo potere all’interno del partito egemone della borghesia catalana investito da inchieste per corruzione e malversazione.
Mentre l’Assemblea Nazionale Catalana per domenica ha convocato una manifestazione a favore dell’accordo delle varie anime del fronte indipendentista all’insegna dello slogan “Governem-nos junts” (Governiamoci insieme), molto simile a quello utilizzato dalla Cup nella recente campagna elettorale, la sinistra indipendentista per il 29 novembre ha organizzato una “giornata di dibattito nazionale” che darà alla militanza la possibilità di intervenire direttamente nelle decisioni del gruppo parlamentare.
Sul fronte dello scontro con Madrid, invece, va registrata la ovvia strategia del ‘pugno di ferro’ utilizzata dal governo centrale per bloccare il processo indipendentista.
Il capo del governo, il leader della destra nazionalista spagnola Rajoy, si è rivolto alla Corte Costituzionale che ovviamente ha dichiarato ‘sospesa’ la mozione votata lunedì dalla maggioranza del Parlament che avvia l’iter di costruzione di una Repubblica Catalana indipendente e prevede la disobbedienza delle autorità locali nei confronti dei diktat delle istituzioni spagnole. Mariano Rajoy ha avvertito Artur Mas che rischia la destituzione e l’incriminazione per ‘sedizione’ e ‘ribellione’, insieme alla presidente del Parlament e ad altri 20 dirigenti delle istituzioni catalane, nel caso continuassero a non rispettare le ingiunzioni della Consulta. Reati per cui il Codice Penale spagnolo prevede anche fino a 25 anni di reclusione.
A Rajoy ha risposto Neus Monte, portavoce della Generalitat, che ha accusato il capo del governo di utilizzare la Consulta come un ‘bavaglio per “soffocare il desiderio di libertà e democrazia della Catalogna”: «Obbediamo e obbediremo al parlamento sovrano catalano».Il leader di Podemos Pablo Iglesias, che si è dissociato dalla linea dura di Rajoy anche se è contrario all’indipendenza della Catalogna, ha affermato di non credere che il governo spagnolo manderà a Barcellona “guardia civile ed esercito”. Ma dentro le istituzioni statali, nelle forze armate, nella stampa reazionaria i settori più oltranzisti del nazionalismo spagnolo scalpitano e chiedono a Rajoy di stroncare sul nascere ogni iniziativa dei ‘separatisti’. Con le buone o con le cattive. Mentre i socialisti e Ciudadanos, dopo un incontro al vertice con i leader del PP, hanno deciso di sostenere la crociata di Mariano Rajoy.
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