Si capirà nei prossimi giorni se i colloqui tra le grandi potenze, accelerati dall’intervento militare russo in Siria, avranno gli effetti sperati sull’andamento di un conflitto sanguinoso che dura ormai da quasi cinque anni, istigato in gran parte da molti di quei paesi che ora trattano per risolverlo.
A tenere banco è soprattutto la proposta di mediazione presentata da Mosca, che potrebbe mettere d’accordo vari soggetti in campo, ma forse non proprio tutti.
Nei giorni scorsi la stampa internazionale ha diffuso una versione della bozza presentata dai rappresentanti russi alla riunione di Vienna che differisce, almeno in parte, da quella anticipata in parte da alcuni organi di stampa del paese promotore della proposta di soluzione negoziata della guerra civile. Il Ministero degli Esteri russo ha smentito la versione diffusa dalla stampa internazionale, in particolare la parte che riguarda il ruolo dell’attuale presidente siriano Bashar al Assad nel processo di transizione che dovrebbe durare 18 mesi e includerebbe la stesura di una nuova costituzione, la celebrazione di un referendum popolare ed elezioni presidenziali anticipate. Ma la Reuters ha pubblicato quello che secondo l’agenzia di stampa sarebbe il testo al centro del confronto tra le parti.
Nonostante sembri che la Russia (e probabilmente neanche l’Iran) difendano a spada tratta la permanenza al potere di Assad ma consiglino che il presidente si faccia rappresentare da un candidato di sua fiducia, diversi esponenti dell’opposizione siriana hanno criticato la presunta proposta di Mosca, giudicata un tentativo di mantenere al potere “il suo clan”.
Secondo quanto pubblicato da Reuters, il piano prevede l’inserimento dello Stato Islamico e altri gruppi jihadisti nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, fornendo in questo modo una base legale propedeutica alla cooperazione militare tra tutte le potenze che partecipano alla campagna contro i fondamentalisti.
Mosca chiede che vengano interrotti tutti i finanziamenti e i canali di rifornimento di Daesh e degli altri gruppi jihadisti, bloccando anche il commercio illegale del petrolio che l’Is vende sui mercati internazionali con la complicità o quantomeno la tolleranza di numerosi paesi dell’area.
Il cessate il fuoco propedeutico all’avvio del negoziato vero e proprio per la transizione non dovrà riguardare il contrasto militare allo Stato Islamico e ad altri gruppi definiti terroristici.
Inoltre andrà avviato un processo politico sotto l’egida dell’inviato speciale dell’Onu che coinvolga il governo siriano e una delegazione dei gruppi di opposizione. La composizione della delegazione dell’opposizione andrà concordata preventivamente in base alle posizioni dei vari gruppi su alcuni obiettivi condivisi, come la necessità di evitare l’ascesa al potere dei terroristi in Siria, di garantire la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica del paese, e la natura laica e democratica dello stato.
Dovrà essere convocato un gruppo di contatto per la Siria per preparare una conferenza di pace. Del gruppo dovrebbero far parte i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, e Stati Uniti) ma anche l’Arabia Saudita, la Turchia, l’Iran, l’Egitto, la Giordania, l’Oman, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iraq, il Libano, la Germania, l’Italia, l’inviato speciale dell’Onu, la Lega araba, l’Organizzazione della cooperazione islamica (Oci) e l’Unione europea.
Tutte le fazioni siriane chiamate a partecipare alla conferenza di pace dovrebbero essere invitate a sottoscrivere i seguenti punti:
– sarà avviata una riforma costituzionale, entro 18 mesi, per garantire la sicurezza e un giusto equilibrio degli interessi, diritti e doveri di tutti i gruppi etnici e confessionali nelle future istituzioni statali;
– verrà formata una commissione costituzionale che coinvolga l’intero spettro della società siriana, compresi rappresentanti dell’opposizione che si trovano in Siria o all’estero; il presidente siriano non sarà a capo di tale commissione che sarà presieduta da un candidato approvato da tutte le parti;
– il progetto di costituzione sarà sottoposto a un referendum popolare e, in seguito all’approvazione, saranno indette elezioni presidenziali anticipate;
– le elezioni legislative in programma per la primavera del 2016 saranno rinviate fino al termine del processo di riforma costituzionale, in modo da consentire il contemporaneo svolgimento delle elezioni presidenziali sulla base della nuova costituzione;
– sarà formato un governo con un pieno potere esecutivo da parte del partito o della coalizione che otterrà la maggioranza dei voti;
– il presidente eletto dal popolo avrà le funzioni di comandante in capo delle forze armate, il controllo dei servizi speciali e della politica estera.
A quanto pare, al di là del giudizio sulla presenza diretta di Assad nel processo di transizione, sembra che comunque le parti stiano già lavorando ad alcuni dei passi previsti dalla bozza.
L’incontro internazionale prevista per sabato 14 novembre a Vienna, infatti, dovrebbe servire secondo l’agenzia France Presse (imbeccata da fonti politiche occidentali non meglio definite) a definire la composizione della delegazione delle opposizioni siriane che dovrebbe prendere parte al negoziato. La fonte afferma che la delegazione dovrebbe essere suddivisa in due commissioni e dovrebbe operare sotto il coordinamento dell’inviato dell’Onu Staffan de Mistura. Il problema è capire ora quali fazioni avranno la meglio nella composizione della delegazione, ed a competere non sono solo le varie organizzazioni attive in territorio siriano e quelle invece basate all’estero, ma anche le varie potenze che sponsorizzano i gruppi anti-Damasco.
Non sorprende, quindi, che sull’andamento del negoziato i dubbi siano numerosi e consistenti, e che non regni esattamente l’ottimismo sul futuro della trattativa. Scrive ad esempio il quotidiano The Indipendent: “Le posizioni del mondo riunito a Vienna sono divise su tre fronti: coloro che sostengono un futuro per Bashar al-Assad, come Russia e Iran. Coloro che credono il presidente siriano se ne debba andare, guidati da Arabia Saudita e Turchia. E quelli che appaiono rimbalzati tra i due poli, un gruppo dominato da USA e GB. Ci vorranno parecchie contorsioni diplomatiche per concordare un piano di pace che si adatta a tutte le parti”.
A proposito di ostacoli alla trattativa, il presidente turco Erdogan ha di nuovo insistito sulla necessità della creazione di una “zona cuscinetto” all’interno del territorio siriano, naturalmente sotto il controllo di Ankara. Parlando ad Ankara ad un gruppo di imprenditori, Erdogan ha annunciato che il conflitto siriano sarà domenica e lunedì al centro dei colloqui tra i leader, tra cui il presidente Usa Barack Obama, il presidente russo Vladimir Putin e il re saudita Salman. La Turchia pretende – finora senza particolari risultati – da Ue e Usa il via libera ad invadere il nord della Siria, con la scusa che la ‘safe zone’ creerebbe una zona sicura al confine dove concentrare gran parte dei circa due milioni di profughi siriani finora ospitati in territorio turco. Ma è più che ovvio che Ankara mira a mettere un piede in Siria per determinare le sorti del paese da una posizione di vantaggio rispetto a partner e competitori e a indebolire le istituzioni di autogoverno curde alle quali invece va un sempre più organico sostegno da parte di Washington.
Sul terreno, intanto, mentre continuano senza sosta i bombardamenti dell’aviazione russa su decine di obiettivi dello Stato Islamico e di Al Nusra, le truppe governative siriane, sostenute dalle milizie libanesi di Hezbollah e da quelle iraniane, hanno ottenuto sembra un’importante vittoria riuscendo a rompere l’assedio di Daesh alla base militare di Kweyris, a nord di Aleppo. Il tutto, sembra, con il sostegno logistico e le informazioni fornite da alcuni gruppi della cosiddetta ‘opposizione moderata’ siriana. Almeno stando a quando afferma il generale russo Konashenkov. Il che dimostrerebbe quanto volubili sarebbero nell’area le alleanze e gli schieramenti.
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