L’aggressione della Nato alla Jugoslavia, negli anni ’90, aveva un obiettivo preciso: distruggere un paese multietnico per prenderselo pezzo a pezzo. Ed è andata proprio così, con una Alleanza Atlantica sempre più aggressiva che nel giro di pochi anni si è letteralmente mangiata tutte le pedine balcaniche.
Ora tocca anche al Montenegro, il cui rappresentante, Igor Luksic, è stato oggi accolto tra gli applausi dai ministri degli Esteri dei 28 paesi che compongono la Nato. “E’ una decisione storica” ha sentenziato il segretario generale dell’alleanza militare, Jens Stoltenberg, che ha definito enfaticamente «l’inizio di un’alleanza bellissima» l’invito ufficiale rivolto a Podgorica affinché entri nella grande famiglia.
Il Montenegro non è certo una potenza militare, e neanche politica ed economica. Perché quindi tanto entusiasmo? Perché il paese balcanico è il primo socio ad unirsi alla Nato dal 2009, quando nell’Alleanza entrarono Croazia e Albania. E perché nel paese il dibattito sull’adesione all’alleanza militare capitanata dagli Usa e dall’Unione Europea – quegli stessi che bombardarono ciò che rimaneva della Jugoslavia, Montenegro compreso, nel 1999 – è tuttora molto aspro. Una parte delle forze politiche e della popolazione del paese non tollera affatto lo schieramento di Podgorica all’interno di una alleanza considerata il braccio armato dell’imperialismo statunitense ed europeo, e in generale è assai diffusa tra la popolazione la sensazione che l’ingresso in una compagine antirussa non poterà al piccolo paese (gli abitanti sono solo 650 mila!) nulla di buono. Anche perché le relazioni economiche, commerciali, militari e culturali con la Russia sono sempre state molto consistenti.
Nei mesi scorsi alcune manifestazioni organizzate dai partiti di sinistra e nazionalisti contro l’adesione all’Alleanza Atlantica sono state violentemente represse dalle forze di sicurezza e nelle città del paese si sono verificati scontri tra polizia e manifestanti.
Ma il governo del primo ministro Milo Djukanovic – al potere ormai da due decenni, prima e dopo la proclamazione dell’indipendenza da parte del Montenegro, spesso accusato di connivenza con la criminalità organizzata – ritiene l’ingresso nella Nato un obiettivo prioritario e irrinunciabile della propria amministrazione.
Anche a costo di far infuriare Mosca, che infatti è immediatamente intervenuta denunciando come provocatorio un ulteriore allargamento ad oriente dell’alleanza militare occidentale considerato non a torto una ulteriore mossa ostile nei confronti della Russia e della sua sfera di interessi. Il portavoce del presidente russo Dmitrij Peskov ha annunciato che all’avvio dell’iter di ingresso di Podgorica nella Nato – che potrebbe durare anche più di un anno, se le cose andranno bene, se no anche molto di più – il suo paese risponderà con delle ritorsioni, mettendo fine a tutti i progetti bilaterali, a partire ovviamente da quelli in campo militare.
“Mosca ha sempre detto a vari livelli che l’espansione della Nato, dell’infrastruttura militare della Nato, verso Est, naturalmente, non può aiutare, non può che condurre a una risposta dall’Est, cioè dalla Russia, nei termini di una garanzia di sicurezza e di un mantenimento della parità di interessi” ha avvertito Peskov.
Di fatto l’estensione al Montenegro della sfera di influenza della Nato deve essere considerato un primo passo verso l’inclusione nell’Alleanza Atlantica – che ormai di atlantico ha sempre meno vista la rapida espansione sul fronte esattamente opposto – di Georgia e Ucraina, paesi dove regimi ostili alla Russia sono stati insediati per mezzo di ‘rivoluzioni colorate’ o colpi di stato sponsorizzati proprio dalla Nato. Come se non bastasse – se ne è parlato proprio oggi – è prevista anche la futura estensione dell’Alleanza Atlantica alla Bosnia Erzegovina ell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (Fyrom).
Per i portavoce della Nato si tratterebbe della semplice prosecuzione della cosiddetta politica delle ‘porte aperte’ del fronte militare con sede nella capitale belga ed europea. Una politica che evidentemente prevede lo sfondamento di quelle stesse porte nel caso in cui le si trovi chiuse agli interessi degli Usa e della Ue.
Oggi a Bruxelles il segretario di Stato statunitense, John Kerry, ha affermato che l’allargamento ad est della Nato non è diretto contro la Russia: «La Nato – ha detto Kerry al termine della riunione dei ministri – è un’alleanza difensiva che esiste da 70 anni» e «non costituisce una minaccia per nessuno. Non è un’organizzazione offensiva e non è focalizzata sulla Russia, né su nessun altro». Al contrario, l’Alleanza è «pronta a lavorare con la Russia».
La decisione sul Montenegro “non è contro qualcuno, ma è una decisione per rafforzare la sicurezza” gli ha fatto eco il ministro degli Esteri di Roma, Paolo Gentiloni.
Ma basta guardare una mappa dei paesi che aderiscono alla Nato, o le decisioni adottate all’ultimo vertice in Galles dell’Alleanza – tra le altre cose l’istituzione di una possente forza di intervento rapido, lo scudo missilistico, le basi militari “non permanenti” in cinque paesi dell’Europa Orientale, la militarizzazione dei cieli del Baltico e della Scandinavia – per accorgersi che è esattamente il contrario.
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