Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sull’attacco che il presidente Erdoğan ha ricevuto dal Gotha militare russo per i presunti traffici di petrolio a vantaggio della sua famiglia prima ancora che della Turchia, la situazione repressiva nel Paese continua a segnare uno stato d’estrema tensione e di morte. Verso chiunque ponga il desiderio di libertà, democrazia, autodeterminazione, si chiami Elçi (l’avvocato dei diritti recentemente assassinato) o Dündar e Gül (i giornalisti incarcerati) oppure siano sconosciuti attivisti kurdi e semplici abitanti dei villaggi del sud-est.
Da mesi coprifuoco e occupazione militare vigono in moltissime province. Ultimamente la presenza oppressiva dell’esercito è tornata a Nusaybin e nell’area di Mardin, nei sobborghi di Diyarbakır (Cevatpaşa, Fatihpaşa, Dabanoğlu, Hasırlı, Cemal Yılmaz, Savaş). Durante i funerali dell’avvocato-attivista, freddato da sconosciuti sotto il minareto delle “quattro gambe”, sono stati attuati filtri sui bus che si recavano a Diyarbakır per limitare la partecipazione popolare. Ciononostante in cinquantamila hanno dato l’ultimo saluto a Elçi.
Sempre in questa città, che subisce il quinto coprifuoco in tre mesi, proseguono scontri con le forze dell’ordine e mercoledì un tredicenne e una donna sono stati uccisi da colpi d’arma di fuoco, dopo che dalle cinque del mattino del 1° dicembre il centro subiva l’ennesima invasione di blindati e carri armati. La polizia ha definito il ragazzo un “terrorista” e lasciato a lungo il cadavere in terra.
Nonostante accanto giacessero tre feriti, gli agenti impedivano l’ingresso delle ambulanze per i soccorsi nel quartiere Sur. Com’era già accaduto la situazione degli abitanti s’aggrava di fronte a cicli di coprifuoco totale (ventiquattr’ore al giorno) che non consentono a nessuno l’uscita dalle abitazioni, mettendo in difficoltà persone affette da malattie che necessitano di assistenza e cura. Di fatto ogni sorta d’attività, dal lavoro all’approvvigionamento alimentare, resta bloccata. Ancora una volta i cittadini, rinchiusi forzatamente, hanno dato vita alla protesta delle pentole, rumoreggiando da finestre e balconi che sono, comunque, stati fatti oggetto di colpi d’arma da fuoco. Alcune persone, colpite e ferite sono state condotte all’ospedale e lì raggiunte e arrestate da agenti in borghese.
Note provenienti dalla rete di controinformazione kurda riportano testimonianze di infermieri che hanno visto dei poliziotti colpire e rompere barelle perché non ci fosse modo di trasportare i feriti. Un metodo che potrebbe essere stato insegnato ai turchi dai colleghi israeliani che s’occupano della loro “formazione tecnica” e che attivisti palestinesi hanno già visto praticare.
Contro il coprifuoco l’Hdp e l’organizzazione giovanile Dem-Genc avevano organizzato sit-in pacifici con informazione e comizi volanti. Tutti sono stati aggrediti dalle forze dell’ordine in divisa, mentre da uomini in abiti civili (appartenenti all’Intelligence o a corpi speciali) è iniziato il tiro al bersaglio che ha provocato gli assassini sopra citati. Però una versione del ministero dell’Interno sostiene che la donna uccisa aveva sparato sui poliziotti e costoro, difendendosi, l’hanno colpita a morte. Tale versione dei fatti viene citata dal quotidiano Daily Evrensel.
Mentre sulla libera stampa che resiste alla censura si discute se questi attacchi alla popolazione con artiglieria e carri armati siano plausibili e possano considerarsi un’operazione di polizia. E’ il fosco clima dell’odierna Turchia, che pare regredita di decenni, quando, un golpe via l’altro, la vita dei cittadini era costantemente in pericolo.
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