Il sito oko-planet.su riprendeva ieri un’analisi di fondsk.ru che, pur presentabile soltanto come schietta “prova indiziaria”, appare quantomeno coinvolgente, a proposito dei traffici di petrolio che vedrebbero coinvolti Isis, Turchia… e non solo.
Il servizio, dall’originale titolo “Aprirà Porošenko in Ucraina una rivendita di petrolio dell’Isis?”, parte dalle dichiarazioni dell’ambasciatore UE in Iraq Jana Khibaskova, secondo cui alcuni paesi hanno acquistato il petrolio sottratto dai terroristi dello stato islamico e dalla constatazione che Vladimir Putin, nominando fra tali paesi la Turchia, non ha fatto altro che indicare uno dei punti più vulnerabili del terrorismo internazionale. A ciò si unisce quanto scritto da alcuni giornalisti occidentali, a proposito del fatto che Turchia, USA e governo regionale del Kurdistan irakeno chiudono entrambi gli occhi sulla vendita del petrolio al mercato nero da parte dell’Isis, a prezzi ben al di sotto, secondo l’agenzia energetica internazionale, dei 30$ del greggio irakeno o dei 40$ dello statunitense WTI e dell’europeo Brent.
Si fanno i nomi dei principali centri del contrabbando (Manbij, Al Bab, Al Qaim) tra Isis e Ankara, affermando che l’Isis controllerebbe l’oleodotto Kirkuk-Ceykan e si ricorda come i media da tempo scrivano del porto turco quale approdo di petroliere della compagnia Palmali Shipping & Agency JSC, di proprietà del miliardario turco-azerbajžano Mubariz Gurbanoglu.
Secondo il portale polacco Forsal, il contrabbando costituirebbe anche uno dei principali fattori della caduta del prezzo del petrolio a partire dall’anno scorso; caduta che tanto ruolo ha avuto nella forte diminuzione delle entrate russe, così vantaggiosa per l’occidente. In questo gioco, l’Ucraina costituirebbe per Erdogan il ponte ideale per il trasporto del greggio verso Polonia e Lituania, non a caso, scrive oko-planet, “i due paesi che più risolutamente sostengono il regime di Porošenko”. Dall’Ucraina, il petrolio arriverebbe al Baltico, dove non è più possibile seguirne le tracce originali; e in Ucraina, il punto chiave sarebbe rappresentato da Odessa, “controllata con successo dal clown-riformatore georgiano”: l’attuale governatore della regione di Odessa, ultrayankee e strenuo “combattente contro la corruzione ucraina”, l’ex presidente georgiano Mikhail Saakašvili; terminali operativi del contrabbando sarebbero la raffineria e l’oleodotto di Odessa. Si spiegherebbero così anche le lotte di qualche mese fa per il controllo delle infrastrutture portuali della città sul mar Nero, di cui anche Contropiano aveva dato notizia.
Secondo le statistiche ufficiali, continua oko-planet, al terminale di Iličevsk, a sud di Odessa, nel periodo gennaio-ottobre 2015 sono state gestite 1,48 milioni di tonnellate (- 4,8% rispetto allo stesso periodo del 2014) di carichi liquidi. Si sono trasbordati prodotti petroliferi per 155 mila tonnellate (- 47,4%), olio per 1,31 milioni di tonnellate (+ 4%). E nel porto commerciale di Odessa si sono gestiti 2,84 milioni di tonnellate di prodotti liquidi (-16,4% rispetto al 2014): per la maggior parte petrolio (1,98 milioni di tonnellate), oltre a 717 mila tonnellate di prodotti chimici, 64mila tonnellate di olio, 84 mila tonnellate di greggio (-50,9% rispetto al 2014).
Da rilevare che, a dispetto della profonda crisi economica in cui versa l’Ucraina, rileva oko-planet, il vice Ministro per le infrastrutture Vladimir Šulmejster ha parlato di progetti per la realizzazione di un nuovo porto nell’area della foce del Dnepr-Bug e di un eventuale terminale petrolifero. Da parte sua, il Ministro per l’industria estrattiva e per l’energetica, Vladimir Demčišin ha dichiarato che le imprese commerciali ucraine sono riuscite a sostituire le forniture di prodotti petroliferi dalla Federazione russa con circa 170mila tonnellate al mese di “fonti alternative”; secondo le sue parole, le imprese russe “sono state sostituite con altri fornitori”, di cui non si fanno i nomi.
Nel novembre scorso, Ukrnafta ha venduto all’asta 144mila tonnellate di idrocarburi: “un successo indiscutibile, per un paese in guerra e che estrae una quantità microscopica di petrolio”, scrive oko-planet. E come è stato possibile? “Con la rivendita. Da qui anche il guadagno netto di Ukrnafta nel 2014 di 27,891 miliardi di grivne”.
Inoltre, lo scorso 30 novembre, la direzione della ditta di tubazioni Sarmatia ha dichiarato di attendere il permesso per la realizzazione dell’oleodotto Brody-Płock, allungare cioè l’attuale condotto, lungo 667 km, che unisce Odessa a Brody (nella regione di L’vov) di altri 490 km fino alla polacca Płock. Interessante il fatto che l’impresa Sarmatia sia controllata dall’azienda statale azerbajžana Socar, dalla georgiana GOGC Ldt, dall’ucraina Ukrtransnafta (pomo della contesa, nel marzo scorso, tra il magnate Porošenko e l’oligarca Kolomojskij e che è costato a quest’ultimo il governatorato di Dnepropetrovsk e, in fin dei conti, il braccio di ferro perso con Mikhail Saakašvili), dalla polacca Przedsiebiorstwo Eksploatacji Rurociagow Naftowych Przyjazn s.a. e dalla lituana AB Klaipedos Nafta. “Manca solo la Turchia… ed ecco che il 3 dicembre il premier Davutoglu arriva a Baku”!
“Non a caso”, conclude oko-planet, “i colpi dell’aviazione russa sul sistema del trasporto del petrolio sottratto dall’Isis, attraverso Siria e Turchia, hanno così messo in allarme Porošenko, tanto che ha acconsentito alla distruzione della linea elettrica verso la Crimea e ora minaccia il blocco navale della penisola e ha già iniziato nuovi attacchi contro il Donbass”. Insieme a lui, una delle creazioni di Euromajdan, il leader del battaglione neonazista “Azov”, Andrej Biletskij, si prepara a varare una propria compagnia militare privata da inviare in Siria a combattere contro i russi: “Nell’interesse dello stato ucraino colpiremo la Russia in tutto il mondo”, ha dichiarato Biletskij.
E a testimoniare dell’importanza strategica, sia politica che economica, attribuita dall’Occidente al bacino del mar Nero e alle autorità regionali chiamate a farne la guardia, ecco che tre vascelli Nato hanno attraversato lo stretto dei Dardanelli: il canadese Winnipeg, lo spagnolo Blas de Lezo e il portoghese Francisco De Almeida.
Per chiudere il cerchio, poi, dopo che il Ministero degli esteri ucraino ha protestato contro la visita di Vladimir Putin in Crimea dello scorso 2 dicembre, non “concordata” con Kiev, che considera la penisola, con Sebastopoli, “parte integrante dell’Ucraina”, ecco immediata l’eco di Ankara, che si dichiara a favore dell’integrità territoriale dell’Ucraina, inclusa la Crimea. Tale dichiarazione del Ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu è venuta immediatamente dopo il suo incontro con l’omologo russo Sergej Lavrov: “La Turchia si attende un rispetto coerente dell’indipendenza dell’Ucraina, della sua sovranità, dell’inviolabilità territoriale, includendo in questo concetto la Crimea”. Nel botta e risposta tra Mosca e Ankara, per cui quest’ultima, dopo le prove documentarie portate dal Ministero della difesa russo sui traffici di petrolio tra Isis e Turchia, ha a sua volta accusato Mosca di commercio illegale di greggio con l’Isis, Lavrov ha osservato come tale “accuse vengano molti-molti giorni dopo che il tema ha trovato spazio sui media e noi abbiamo presentato i fatti concreti”. Lavrov si è limitato a citare il proverbio russo per cui “sul ladro anche il cappello scotta”; come dire “gallina che canta ha fatto l’uovo”.
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