In questi ultimi giorni i rotocalchi europei si sono concentrati sulla fine del bipartitismo nello Stato Spagnolo dipingendo l’esito elettorale come la nascita di una nuova era di cambiamento sociale, grazie al grande risultato di Podemos. In realtà non ha vinto nessuno, ma c’è stata comunque una scarsa attenzione dei media sui reali effetti a breve termine ad esempio sulle vicende catalane.
Ad esempio si è parlato erroneamente di “vittoria di Podemos” in Catalogna, confondendo il partito che ha presentato le sue liste a livello statale con una lista locale catalana, che si chiamava En Comú Podem (“In comune possiamo”), composta dalla sezione catalana di Podemos ma anche dai rossoverdi di Iniciativa per Catalunya Verd e di Esquerra Unida i Alternativa (che quattro anni fa andarono in coalizione con IU), e spalleggiata da personaggi mediatici e politici importanti come Ada Colau, sindaca da alcuni mesi di Barcellona.
E, d’altro canto, i media internazionali non hanno dedicato sufficiente attenzione a ciò che era accaduto ad un altro storico attore della scena politica catalana: il liberale Convergència Democratica de Catalunya. Infatti, la vittoria di ECP ha decretato anche una grande sconfitta, quella della lista Democràcia i llibertat, nome utilizzato per presentarsi alle elezioni legislative statali dal partito storico della regione del Principato di Catalunya. I risultati sono stati devastanti: la lista, capitanata da Francesc Homs, braccio destro dell’ex governatore Artur Mas, è passata da prima a quarta forza, piazzandosi dietro a En Comú Podem, ma anche a Erc (socialdemocratici indipendentisti) e al PSC (socialisti). Una batosta inaspettata e che ha ribaltato i rapporti di forza esistenti tra i due blocchi indipendentisti – Junts pel Si, formarto da CDC e ERC, e la CUP – che, dalle scorse elezioni autonomiche del 27 settembre stanno tentando di trovare un accordo per poter eleggere il nuovo presidente della Generalitat.
Infatti è da più di due mesi che in Catalogna non c’è un presidente, visto che i due schieramenti che compongono il blocco indipendentista, risultato nel suo complesso vittorioso alle ultime elezioni regionali, non sono riusciti a trovare un accordo. Se Junts pel si (Uniti per il si) ha sempre e solo proposto Artur Mas, l’ex presidente uscente, la CUP – Candidatura d’Unità Popolare, coalizione della sinistra indipendentista e anticapitalista – aveva dichiarato sia durante la campagna elettorale sia dopo le elezioni che non avrebbero votato il contestato leader dello schieramento borghese catalanista. E i dieci seggi di cui dispone la CUP nel Parlament sono fondamentali: solo 2 dei 10 di cui dispongono i “radicali” sarebbero sufficienti per eleggere un presidente proposto da JxS.
Il braccio di ferro va avanti da mesi, e il pathos sulla vicenda cresce man mano che ci si avvicina al 13 gennaio, data dopo la quale, se non si eleggerà un presidente, il Parlament verrà sciolto e si andrà a nuove elezioni. E dire che, vista da fuori, la questione è semplice: la Cup, fedele alle promesse elettorali, aveva avvertito che non avrebbe sostenuto Artur Mas in quanto promotore (e simbolo al tempo stesso) dei tagli sociali imposti negli ultimi 4 anni di governo di centrodestra. E Junts Pel Sí, impregnata di un messianismo quasi religioso, continua a vedere solo in Mas l’unico uomo capace di guidare un processo indipendentista. Sarebbe bastato trovare un punto in comune, un candidato alternativo appartenente allo stesso schieramento formato da Erc e Cdc, come ad esempio il capolista di JxS Raül Romeva – proveniente dai rossoverdi di ICV e fortemente indipendentista – per convincere la CUP.
Ma una soluzione di compromesso di questo tipo continua ad essere scartata – almeno fino ad ora – da Artur Mas e dal suo entourage. Da li è iniziata una fitta e complessa campagna di pressione su social network, televisioni, radio, chiamato #pressingCUP. L’obiettivo è obbligare il partito assembleare della sinistra indipendentista e anticapitalista a cambiare posizione, utilizzando ricatti morali, campagne diffamatorie e quant’altro pur di eleggere Mas presidente. Pressioni a cui la CUP non ha ceduto, decidendo di affidare la decisione ad una assemblea generale dei militanti convocato il 27 dicembre a Girona, una volta ottenuta una proposta considerata definitiva da parte di JxS.
Intanto, domenica scorsa, il pessimo risultato elettorale di DiL ha mostrato quanto in realtà il supporto popolare al processo indipendentista si sta spostando sempre più a sinistra, rivelando quanto inopportuno sia l’insistenza da parte di Convergencia e a maggior ragione di Erc sul nome di Mas.
Il giorno dopo le elezioni, mentre i mass media della Catalogna come TV3 evitavano accuratamente di sottolineare il crollo di DiL (e quindi di CDC), la Cup insisteva sulla sua proposta di non indicare il precedente presidente alla guida del nuovo parlamento, scelta supportata dal tracollo elettorale del suo partito.
Ma sembra che Artur Mas sia incollato alla sedia e totalmente incapace di poter mediare, nonostante gli evidenti cambiamenti nei rapporti di forza. E così ieri JxS ha inviato alla Cup una “nuova” proposta di accordo – un piano definito shock per il miglioramento della situazione sociale – con l’evidente intento di convincere gli anticapitalisti a votare il presidente uscente.
Ma di scioccante la proposta sociale di JxS ha assai poco, se non perché prevede uno stanziamento di soli 270 milioni di euro, il che equivale ad un 96% in meno rispetto a quello che la Cup considera l’impegno “minimo” da parte di un governo che abbia il suo sostegno. Di fatto si tratta delle stesse proposte realizzate durante i due dibattiti turni della trattativa sull’investitura di Mas, in cui sempre lui rimane l’unico candidato. Inoltre, il cosiddetto ‘piano schock include proposte come l’applicazione di leggi già vigenti ma finora inapplicate, come quello sulla povertà energetica, che prevede il divieto per le compagnie elettriche e del gas di tagliare il servizio alle persone che non possono permettersi di pagare le bollette.
La proposta è quindi, visibilmente, una non-proposta: Junts pel Si vuole mantenere la sua posizione fino alla fine, e minacciare nuove elezioni a marzo, cosa che nessuno in realtà vorrebbe. Tutti i partiti indipendentisti sono coscienti del fatto che non sarebbe così facile ottenere un buon risultato come quello del 27 Settembre, e mantenere quindi aperto il processo d’indipendenza. Anche la CUP potrebbe perdere alcuni consensi in eventuali elezioni anticipate, soprattutto in quelle correnti che danno più priorità all’indipendenza che al cambiamento sociale.
Anche se è chiaro, che guardando i risultati elettorali dell’area di centrodestra catalana, composta da CDC e UDC (Unió Democratica de Catalunya, partito per 30 anni al potere ma che da domenica è diventato ufficialmente extraparlamentare visto che non ha più rappresentanti né al Parlament né alle Cortes), si preannuncia una ulteriore sconfitta e il rischio reale di affossare il partito storico della borghesia catalana.
Il prossimo 27 dicembre i militanti della Cup si ritroveranno per decidere cosa rispondere alla proposta di JxS, se accettare o no e in quale misura. Decisione non facile, considerando che da molte settimane ex militanti di Terra Lliure, indipendentisti storici, ex rappresentanti politici hanno offerto o rifiutato a giorni alterni il sostegno al presidente uscente.
In concreto sulla proposta d’accordo presentata ieri dallo schieramento indipendentista moderato solo Endavant-PSAN, organizzazione politica socialista e indipendentista che partecipa alla CUP, ha già dichiarato che non è disponibile ad accettare un compromesso così al ribasso su tutti i fronti.
Non resta che aspettare la decisione dell’assemblea del 27 dicembre e vedere come lo scenario potrebbe evolvere ulteriormente, nella speranza che qualcosa si sblocchi definitivamente.
Intanto, è notizia di oggi che Oriol Junqueras, presidente di Esquerra Republicana de Catalunya e quindi esponente di spicco di Junts pel Si, si è dimesso dalla carica di sindaco di Sant Vicenç dels Horts. Forse è il segnale che dentro la coalizione indipendentista moderata alcuni settori siano disponibili a trattare veramente, e a scaricare Artur Mas indicando al suo posto l’esponente socialdemocratico come President sperando sia gradito anche alla sinistra indipendentista.
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