Il 9 giugno in Belgio si terranno le elezioni federali. Secondo quanto riportato da recenti sondaggi, il ‘regno’ urne potrebbe essere spaccato in tre, con l’ascesa di due formazioni alle estremità opposte dello scacchiere politico: Il Partito dei Lavoratori Belga (PTB/PVDA), formazione della “sinistra radicale”, e il Vlaams Belang (VB) di estrema destra.
Alla tradizionale “divisione” del paese tra Fiandre e Vallonia si aggiungerebbe questa estrema polarizzazione politica sullo sfondo di una instabilità sociale che abbiamo visto di recente manifestarsi anche con le massicce mobilitazioni degli agricoltori e degli allevatori.
Nella capitale Bruxelles il partito di maggioranza potrebbe diventare il PTB con il 18,9%, superando di due punti il Mouvement Réformateur di G.L. Bouche.
Il MR è il partito liberal-conservatore del Belgio francofono, proviene da una coalizione creata circa un ventennio fa dalla “federazione” di quattro differenti organizzazioni – da cui è uscito nel 2011 – ed è stato a lungo uno dei principali poli politici del Belgio, alla testa del quale è stato eletto nel 2019 Georges-Louis Bouchez.
Nelle precedenti elezioni – confermando il costante calo – nella regione di Bruxelles ha ottenuto solo il 16,87% dei voti.
Nella Vallonia, il primo partito risulterebbe quello ‘socialista’ con il 24,3% di consensi, seguito dal MR; con poco meno del 20% segue il PTB. È da segnalare che Paul Magnette, leader del PS e sindaco di Charleroi, “incalzato” dal programma fortemente progressista del PTB, ha preso posizione – con gran sdegno dei liberali di Open LVD – per la riduzione di orario a 32 a parità di salario, e l’aumento del salario minimo dagli attuali 2.080 a 2.800 euro.
In Vallonia i disoccupati sono circa 200 mila, mentre circa 120.000 posti rimangono “vacanti”, segno di un missmatch che solo i liberali interpretano come ‘colpa’ dei disoccupati stessi.
Recentemente, durante un dibattito televisivo tra il leader del PTB e Magnette, quest’ultimo ha perso le staffe, rispetto alle proposte programmatiche per una ipotetica coalizione “a sinistra” (sulla tassazione dell’1% più ricco ed il ripristino dell’età pensionabile a 65 anni, due meno degli attuali 67) dicendo espressamente “bisogna votare per dei partiti che si prendono le loro responsabilità e si prendono dei rischi e non per dei coglioni come il PTB”.
Nelle Fiandre l’estrema destra del VB diventerebbe il primo partito con il 24,5%, superando la tradizionale forza “nazionalista” del N-VA che si attesterebbe al 20,6%, ma con la versione fiamminga del PTB – il PVDA – al 10,9%.
Una tale affermazione della destra radicale potrebbe portare il leader della N-VA e sindaco d’Anversa, Bart de Wever, a rompere il “cordone sanitario” nei confronti del VB per decidere di governare in alleanza. In generale le inchieste di opinione danno all’estrema destra un risultato compreso nella forbice 25/30%.
Il VB è una formazione con il vento in poppa, che condivide lo stesso “brodo culturale” dell’estrema-destra europea in ascesa, da Chega in Portogallo, a Vox in Spagna, all’AFD in Germania, per citare solo le formazioni più conosciute.
La formazione di un governo potrebbe diventare un vero e proprio rompicapo, tenendo presente che sono già 7 i partiti che sostengono l’esecutivo uscente di Alexander de Croo – dei liberali dell’Open VLD -, divenuto primo ministro nell’ottobre 2020 e succeduto al governo di “minoranza” di Sophie Wilmès, durato poco più di 6 mesi.
L’ex uomo d’affari, che ha ricoperto diversi incarichi ed ha caratterizzato il suo esecutivo per una politica più aggressiva in materia di mercato di lavoro, una più spiccata propensione atlantista, ma comunque meno filo-israeliano rispetto ad altri governi europei.
In generale, qualunque sia il governo che verrà formato, si troverà ad affrontare lo scoglio di politiche di austerità imposte dall’Unione Europea che pretende – numeri alla mano – una riedizione della cura da cavallo somministrata al Belgio negli Anni Novanta, come condizione per entrare a far parte della moneta unica. Paradossalmente, tali indicazioni sono state date proprio durante la presidenza belga alla UE.
Bruxelles sarà dunque obbligata a “risparmiare” ben 27 miliardi di euro da qui al 2031. E’ già stato messo in guardia dalla Commissione Europea che l’ha invitata ad aggiustare il suo budget per il 2024, con il FMI che gli consiglia di ridurre le spese, e con la stessa Banca Nazionale sulla stessa linea, il Belgio – che avrà un debito pubblico del 107% nel 2025 ed un rapporto del tra deficit e PIL poco sotto il 5%, ma dovrà anche aumentare i fondi destinati alla NATO (attualmente all’1,1%) di ben 6 miliardi.
Di fronte a questo “doppio cappio” che stringerà i cittadini del Belgio negli anni a venire e che potrebbe essere per così dire “commissariato” sia dalla UE che da Washington, la scelta sarà tra la rottura o la subordinazione, con la perdita delle residuali garanzie del patto sociale, già in gran parte falcidiate.
In questo contesto è assai interessante la parabola politica ed elettorale del PTB, una formazione della sinistra radicale critica nei confronti dei trattati europei – anche se non sostiene l’uscita dall’Unione, ma pensa ancora di poterla “cambiare dall’interno” – e della politica bellicista della NATO, con un programma di politica interna decisamente progressista e, cosa importante, con un importate consenso anche dove dovrebbe dominare la destra più oltranzista, come nelle Fiandre.
Il PTB, fondato nel 1979, di derivazione “maoista”, con la ventennale presidenza di Ludo Martens ha moderato notevolmente alcune delle sue istanze nel corso degli ultimi anni, ma ha conosciuto una notevole progressione degli iscritti, che superano ora i 20mila.
Ha eletto i suoi due primi rappresentanti nel Parlamento Federale nel 2014 con Raul Hedebouw – attuale presidente – e Marco Van Hees, passando però nelle elezioni successive a ben 12 deputati.
La sua campagna elettorale è iniziata sabato 10 marzo a Bruxelles. Lì è stato reso pubblico il programma per le elezioni del 9 giugno. É il primo di 150 meeting che terrà tra il 10 marzo ed il 29 maggio. Le linee guida del programma sono la giustizia fiscale, il rafforzamento del potere d’acquisto, la formulazione di una politica di transizione ecologica, ed una lotta ai privilegi dei politici.
Il programma comprende circa 1.300 proposte raccolte in una inchiesta gigantesca (per le dimensioni de Paese) che ha coinvolto più di 100 mila cittadini.
Lo slogan del programma elettorale qualifica la scelta in favore del PTB come una scelta “per la rottura”.
Come ha detto Hedebouw – davanti a circa 10 mila persone in diretta, durante i suoi periodici live Facebook, nel suo primo meeting nella capitale, accolto come una rockstar – “rappresentiamo l’alternativa sociale che sta crescendo e dà speranza nel paese”.
Una recente inchiesta del giornale belga Le Soir, dal significativo titolo “Délaissés, déçus ou en colère: qui sono yes citoyens qui votent pour le PTB?”, che ha sondato gli elettori del PTB per conoscerne le motivazioni, sembra confermare che la formazione è percepita come possibile strumento di riscatto per le classi subalterne.
“Senza rottura, nessuna colazione” a sinistra, è il concetto più ribadito.
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