L’Arabia Saudita ha annunciato nei giorni scorsi di aver sospeso un accordo con la Francia e il Libano che prevedeva la fornitura a Beirut di un’ingente quantità di armi francesi, per un valore complessivo di 3 miliardi di dollari, che avrebbero dovuto essere pagati dal regime wahabita.
Una fonte ufficiale ha spiegato che l’Arabia Saudita ha deciso anche la sospensione di un contratto per fornire armi alla polizia libanese per un altro miliardo di dollari.
La decisione è stata spiegata con una nuova “valutazione” fatta da Riad delle sue relazioni con il Libano, dove è forte il potere, politico e militare, del movimento sciita Hezbollah, alleato dell’Iran e del governo siriano. E quindi inviso a Riad che in questo modo tenta di destabilizzare il paese già lambito negli ultimi cinque anni dalla guerra civile siriana diventata presto ‘guerra per procura’ tra le potenze regionali e internazionali.
Il dietrofront sul pagamento delle armi francesi da inviare all’esercito libanese – paese retto finora da un’instabile alleanza tra le forze vicine all’asse sciita e quelle alleate delle petromonarchie sunnite che rischia ora di andare in pezzi sulla spinta delle mosse saudite – rappresenta un chiaro stop alla tendenza finora registrata. Solo ad ottobre, ad esempio, la Francia aveva stipulato accordi con Riad per quasi dieci miliardi di euro tra ordini civili e militari. All’epoca il maxiaccordo con Parigi era stato giustamente considerato un distanziamento del paese leader del blocco sunnita nei confronti degli Stati Uniti, tradizionali alleati e fornitori di armi.
Ora però lo scenario è ulteriormente cambiato, e anche la Francia, che persegue obiettivi egemonici e geopolitici in parziale contrasto con quelli di Riad, ha evidentemente bisogno di un ‘avvertimento’.
I continui rovesci delle milizie jihadiste operanti in Siria ed Iraq, foraggiate da Riad ed emirati, preoccupano il regime wahabita che ha deciso di operare una convincente forma di pressione nei confronti della Francia e indirettamente delle altre potenze occidentali. Le stesse che in queste ore stanno trattando un cessate il fuoco in Siria che potrebbe ulteriormente deludere gli interessi e le aspettative della monarchia feudale saudita, assai ridimensionati dopo l’intervento militare di Mosca in Medio Oriente.
La Russia nei giorni scorsi si è detta “dispiaciuta” per la mancata approvazione, da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, della proposta di risoluzione presentata da Mosca che chiedeva la fine dei bombardamenti turchi contro le postazioni curde in territorio siriano. Ma il testo è stato bloccato dal veto di Francia e Stati Uniti.
Mosca, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, “continua a seguire con coerenza la linea di sostegno e aiuto alle forze armate della Siria e le loro azioni contro i terroristi e le organizzazioni terroristiche”.
Da quando l’Arabia Saudita ha schierato i suoi caccia nell’aeroporto militare turco di Incirlik dicendosi pronta ad intervenire via terra in Siria insieme all’alleato Erdogan i rapporti tra Riad e Mosca si sono fatti parzialmente tesi.
Ma solo parzialmente, perché a ben guardare i due paesi continuano a intrattenere ottime relazioni dal punto di vista economico. Russia e Arabia Saudita “sono interessate ad una soluzione della crisi in Siria, a promuovere stabilità e sicurezza in tutta la regione mediorientale e dell’Africa settentrionale”, sottolineava pochi giorni fa il testo di un comunicato del Cremlino emesso dopo un colloquio telefonico tra il preside Vladimir Putin e il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud. Putin, riferisce la nota ufficiale, ha ribadito l’invito al monarca saudita a visitare la Russia, “nel momento che meglio gli aggraderà”.
Con Riad la Russia ha ampie divergenze sulla questione siriana: in particolare, Mosca è alleata con Teheran nel sostenere anche militarmente il regime di Bashar al Assad ed impedire l’affermazione delle correnti e delle milizie fondamentaliste, mentre la monarchia saudita assieme alla Turchia appoggia, foraggia ed arma numerosi gruppi jihadisti e islamisti.
Ma ciò non impedirà che il prossimo 26 febbraio si tenga a Mosca il Forum russo-arabo sulla cooperazione, con la partecipazione dei Ministri degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, della Giordania, del Bahrein, dell’Egitto e del segretario generale della Lega Araba Nabil El-Araby.
La relazione con le petromonarchie, solo parzialmente incrinata dal capitolo mediorientale, sta così a cuore al governo di Mosca che le recenti dichiarazioni del presidente siriano Bashar al-Assad sulla volontà di riconquistare tutto il Paese senza badare ad osservare un eventuale cessate-il-fuoco non sono state prese bene in Russia. Ad esternare il disappunto del Cremlino è stato il rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, Vitaly Churkin, che pure ha detto di parlare a titolo personale (!).
“Ho sentito la dichiarazione del presidente Assad in televisione”, ha detto Churkin in una intervista al quotidiano Kommersant, prima di aggiungere che le parole del rais sono state “chiaramente dissonanti con gli sforzi diplomatici compiuti dalla Russia”. “La Russia ha investito seriamente in questa crisi, politicamente, diplomaticamente, e ora in un certo senso anche militarmente”, ha detto il diplomatico prima di aggiungere: “E quindi, vorremmo che Bashar al-Assad risponda a questo”.
Per il diplomatico russo la situazione in Siria non starebbe portando ad un conflitto globale che coinvolge la Russia, gli Stati Uniti e la NATO: “Vorrei sperare che questo non accadrà. Non credo che stiamo andando per qualche conflitto globale, una terza guerra mondiale che coinvolga la Russia, gli americani, la NATO e così via”.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa