Non sembra che i rapporti tra Ucraina e Polonia, nell’ultimo secolo, siano stati particolarmente calorosi. Non lo erano all’epoca della guerra civile e dell’intervento straniero contro la giovane repubblica sovietica russa, appena sorta dalla Rivoluzione d’ottobre, nonostante i comuni attacchi contro l’Esercito Rosso sia da parte delle bande di Petljura, Makhno e dell’esercito di Denikin, in Ucraina; sia da parte, poi, delle truppe polacche di Pilsudskij, proprio in terra ucraina. Non lo furono nemmeno una ventina di anni dopo, quando le SS ucraine di Stepan Bandera e Roman Šukhevič, arruolate nella Wehrmacht, si diedero a massacrare, oltre che i soldati sovietici, anche i civili polacchi, soprattutto nella regione della Galizia. E proprio le regioni di Galizia e Volinija sembrano rappresentare tutt’oggi il “pomo della discordia” tra Varsavia e Kiev, con diversi raggruppamenti nazionalisti polacchi che ne rivendicano l’annessione, forti anche della cosiddetta norma sulle “restituzioni” di beni appartenuti alla nobiltà polacca in epoca presovietica.
Nonostante tutto ciò, alle porte di un sempre più annunciato ricambio al vertice governativo ucraino, l’ultima uscita del presidente Porošenko è quella, secondo vari media ucraini, di sostituire l’ormai “moribondo politico” primo ministro Arsenij Jatsenjuk con l’ex vice premier e Ministro delle finanze polacco Leszek Balczerowicz, uno dei molti allievi e propagatori della cosiddetta “terapia shock” imposta da Washington e FMI per il trapasso delle ex repubbliche sovietiche e dei paesi est-europei dall’economia pianificata a quella di mercato.
Secondo quanto riporta la russa RT, basandosi sulla Ukrainskaja Pravda, consultazioni tra rappresentanti del Blocco Porošenko e Balczerowicz sarebbero in corso già dallo scorso dicembre e, fattore certo non secondario, il polacco gode dell’appoggio occidentale, a differenza degli altri nomi ventilati: il segretario del Consiglio di sicurezza e di difesa, Aleksandr Turčinov e lo speaker della Rada, Vladimir Grojsman. Di fronte alle prossime dimissioni del premier Jatsenjuk – da più parti lo si dà per “dimissionato” dal presidente, molto probabilmente, già per l’8 o il 9 marzo – nettamente svantaggiato sarebbe anche il leader del Partito radicale, Oleg Ljaško, che si è autocandidato alla carica di primo ministro, dicendosi contrario a elezioni anticipate; a suo dire, infatti, la formazione di una diversa coalizione parlamentare che sostenga il nuovo gabinetto, sarebbe possibile anche nell’attuale configurazione della Rada.
In ogni caso, che sia un ucraino o un polacco a sostituire Jatsenjuk, a Washington pare ci si occupi d’altro; anzi, la nomina di Balczerowicz potrebbe combinarsi proprio coi piani yankee di utilizzo della regione di L’vov (il capoluogo della Galizia in cui maggiori sono gli attriti ucraino-polacchi) per i piani di addestramento di truppe e battaglioni neonazisti. Dunque, non più soltanto l’area del poligono di Javorov, nella regione di L’vov, dove da oltre un anno gli istruttori della 173° brigata aerotrasportata USA (di stanza a Vicenza) istruiscono la guardia nazionale ucraina; ora il Pentagono avrebbe stanziato ulteriori 267mila dollari per la ristrutturazione di un istituto scolastico, nel villaggio di Starič (nella medesima provincia di Javorov) in cui dovrebbe allenarsi il battaglione “Azov”. Quello stesso battaglione i cui membri hanno preso parte, insieme ai “volontari” di Pravyj Sektor e UNA-UNSO, alla marcia notturna che sabato scorso, nell’anniversario della morte (fu giustiziato dall’intelligence sovietica il 5 marzo 1950) del capo dell’UPA filonazista, Roman Šukhevič, ha attraversato proprio le vie di L’vov inneggiando a Stepan Bandera e a Šukhevič, quali “eroi dell’Ucraina”.
Secondo la Tass, tra le condizioni dettate da Washington alla ditta ucraina appaltatrice che si occupa della ristrutturazione dell’edificio, ci sarebbe anche quella dell’apposizione di una targa con la scritta in inglese e ucraino “La ristrutturazione è stata possibile grazie alle elargizioni del popolo USA agli abitanti del villaggio di Starič, con il sostegno dell’Ufficio per la collaborazione militare e dell’ambasciata USA a Kiev”. I “miseri” 267mila dollari vanno ad aggiungersi ai 250 milioni di $ stanziati dagli USA per “la sicurezza” ucraina, ai 265 milioni elargiti dall’inizio dell’aggressione al Donbass e ai 658 milioni di $ di aiuti economici previsti per il 2016.
Secondo le dichiarazioni dell’assistente del Segretario per la difesa, Michael Carpenter, rilasciate a “Golos Ameriki” e riportate da RIA Novosti, “Dall’inizio del conflitto, gli USA hanno fornito all’Ucraina 265 milioni di dollari. Abbiamo contribuito ai programmi di addestramento e alle forniture di apparecchiature radar e radio, visori notturni, veicoli e mezzi anfibi. L’obiettivo è quello di rendere le forze armate ucraine più forti e più capaci di una autonoma difesa del paese”.
D’altronde, appena pochi giorni fa, il capo della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, aveva dichiarato che l’Ucraina non diventerà membro UE e Nato (anche se, di fatto, membro dell’Alleanza atlantica Kiev lo è già) prima di 20-25 anni. Una secca risposta a Porošenko che, nel settembre scorso, aveva sentenziato: “Ucraina e Nato non sono mai state così vicine come oggi”! Pur se, lo stesso presidente aveva riconosciuto che “Le riforme condotte in Ucraina corrispondono al 99% alle richieste Nato. Ma il paese non è pronto a divenire membro dell’Alleanza e non lo sarà prima di 6-7 anni”. Dunque, ecco che Washington si preoccupa di assicurare a Kiev i mezzi necessari ad accelerare il processo di integrazione nell’Alleanza atlantica.
Processo che non appare né veloce, né lineare, considerate anche le condizioni economiche di un paese in cui, secondo l’Associazione agraria ucraina, nonostante nel 2015 il 45% della produzione agricola lorda sia venuto dalle aziende agricole familiari, il 29,2% di esse utilizza ancora il cavallo per dissodare la terra e solo il 17% dispone di un qualche strumento meccanico, con appena il 4,6% delle aziende familiari che possiede un trattore.
Ma questo non preoccupa né Bruxelles né tantomeno Washington, che dettano la road map dell’avvicinamento ucraino al loro soglio e decretano tempi modi e soggetti dei ricambi ai vertici del paese. Il compito affidato a Kiev, alle frontiere con la Russia, è tutt’altro che non lo “sviluppo” del paese.
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