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Quando un ministro belga sosteneva i foreign-fighters

Prima che la Clinton ammettesse le responsabilità statunitensi nell’affermazione dell’Isis, prima che Obama chiedesse scusa per il caos mediorientale creato dalle democratiche “missioni di pace” che hanno fatto centinaia di migliaia di morti, già altri politici di alto rango avevano non solo riconosciuto, ma anzi rivendicato un ruolo fondamentale dei governi occidentali nel sostegno e nella creazione di gruppi jihadisti per destabilizzare la Siria e ottenere così un regime change a loro favorevole.

In una vecchia intervista, già più volte riportata ma sempre troppo in sordina, l’attuale ministro degli Esteri Belga Didier Reynders, liberale del Movimento Riformatore con una lunga carriera politica alle spalle anche insieme a Van Rompuy nel governo del 2008, si spendeva nell’elogiare i cittadini belgi che partivano per la Siria per arruolarsi nelle milizie anti-Assad.

Era il 2013 quando Reynders alla radio Bel RTL esprimeva la sua opinione sull’“eurojihad”, ai tempi in uno dei massimi momenti di picco del fenomeno per cui tantissimi cittadini europei di fede islamica (e non) andavano ad addestrarsi e a combattere nell’eterogenea coalizione dei fondamentalisti anti-Assad, in cui i germi dell’Isis e di al Qaeda sono cresciuti e si sono moltiplicati.  Di fatto i governi europei, a parte tenere d’occhio i foreign-fighters che facevano la spola tra il nostro continente e la Siria e l’Iraq, non hanno mai effettivamente contrastato il fenomeno e in alcuni casi lo hanno addirittura agevolato.

Il ministro, all’epoca, si preoccupava effettivamente della possibilità di radicalizzazione dei foreign-fighters e dei rischi che questa avrebbe comportato una volta rientrati in Belgio, ma al tempo stesso riusciva a fare una spregiudicata divisione fra quelli che sostenevano Assad e che dovevano “essere mandati davanti la Corte penale internazionale” e quelli che  “può essere per idealismo, vanno a lavorare in campo umanitario o a battersi a fianco dell’esercito siriano di liberazione; forse gli faremo un monumento come eroi di una rivoluzione”.

E’ bene ricordarsi di certi personaggi e di certe responsabilità quando siamo chiamati a piangiare i nostri morti.

(leggi anche http://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/11/17/news/strage-parigi-sharia4-il-brand-del-jihad-dal-belgio-all-italia-1.239411)

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