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Ucraina: tra delitti interni e voglia di guerra

“E’ finito il gioco al cessate il fuoco”, titolava ieri Novorosinform. L’esperto militare Konstantin Ščemelinin ricordava l’ammonimento lanciato pochi giorni fa dal vice Comandante di corpo della DNR, Eduard Basurin, secondo cui lo stillicidio di colpi portati dalle truppe ucraine nelle ultime settimane contro la linea di separazione con le milizie condurrà a un sicuro attacco ucraino, appena il terreno si sarà abbastanza solidificato (dopo il disgelo primaverile) da permettere l’avanzata dei mezzi corazzati.

Le dichiarazioni del consigliere presidenziale ucraino per le questioni militari, Vladimir Gorbulin, circa “la risoluzione del conflitto solo con la forza” sembrano non lasciar dubbi. La consapevolezza di ciò nella DNR, scrive Ščemelinin, costringe il comando militare delle milizie a tendere ormai non più a una “lotta per la pace”, ma a un possibile contrattacco verso L’vov e Kiev: “è rimasta forse una sola chance su un milione per l’Ucraina di evitate che la guerra venga portata sul proprio territorio”. Effettivamente, ormai da alcune settimane, insieme ai colpi portati quotidianamente dalle artiglierie e dai sistemi missilistici ucraini fino alla periferia di Donetsk, Kiev sta ammassando uomini e mezzi corazzati lungo la linea di separazione, sia con la regione di Donetsk, sia con quella di Lugansk. Lo ha confermato anche ieri il rappresentante delle milizie della LNR, Andrej Maročko.

Ma il destino del Donbass da tempo non fa più notizia. Al centro dell’attenzione dei media è rimasta solo la Jeanne d’Arc ucraina, Nadežda Savčenko, condannata lo scorso 22 marzo a 22 anni di colonia a regime ordinario, perché riconosciuta colpevole di concorso in omicidio per la morte dei giornalisti russi Igor Korneljuk e Anton Vološin, rimasti uccisi, secondo l’accusa, dai colpi di obice D-30 esplosi contro il posto di blocco di Stukalova Balka (un piccolo villaggio tra Sčaste e Slavjanoserbsk, nella provincia di Lugansk) seguendo le indicazioni di tiro fornite dall’aviatrice, appostata su un ripetitore televisivo a 40 metri da terra.

Persino il Segretario di stato USA, John Kerry, nel suo incontro, la settimana scorsa, con Vladimir Putin, tra i problemi internazionali, quali Siria e Donbass, ha inserito lo “scottante” tema Savčenko, facendolo anzi rientrare nel quadro degli accordi di Minsk sul Donbass. Kerry, assistito nell’occasione da due guardaspalle del calibro dell’ambasciatore yankee a Mosca, John Tefft – fautore delle “rivoluzioni colorate” in Georgia e in Ucraina e tra i falchi nelle relazioni con la Russia – e la madrina per eccellenza dei golpisti di Kiev, Victoria-fuck-the-UE-Nuland, avrebbe detto a Putin che Mosca “deve consentire a Nadežda Savčenko di tornare in Ucraina”. Ordini di Washington! Immediatamente dopo il verdetto di condanna della Savčenko, anche il vicepresidente USA Joseph Biden si era riferito agli accordi di Minsk, sentenziando che “la Russia è tenuta a rilasciare immediatamente l’aviatrice”.

Ieri, la portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova, ha ribadito che “la Russia non è un soggetto degli accordi di Minsk, a differenza delle due parti in conflitto, sulle quali Mosca può solo tentare di far pressione, così come Francia e Germania devono premere su Kiev. Questo è tutto: null’altro siamo tenuti a fare”. Sabato scorso, il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, aveva dichiarato che “la russofobia isterica con cui Kiev sta trattando la questione, invece di agevolare, rende più difficoltosa la soluzione del problema. Simili problemi non si affrontano, e tantomeno si risolvono, con tanto clamore. Con calma certe faccende si dirimono molto più in fretta. Per noi, la situazione è estremamente semplice: Savčenko è stata condannata e d’ora in poi tutto deve procedere secondo la legge russa. Dovrà scontare la pena. Soluzioni differenti possono venire solo dal capo dello stato. Per ora, tali decisioni non ci sono”.

E Sergej Ivanov, capo dell’amministrazione presidenziale, ha detto che è stato “facile condannare, difficile scambiare e impossibile giustificare” colei che gli italici media continuano a venerare hollywoodianamente come spassionata “top gun” e che invece il giudice Leonid Stepanenko ha qualificato come “eminenza grigia” del battaglione neonazista “Ajdar”. Ivanov ha detto che lo scambio è teoricamente possibile, ma dovrà avvenire seguendo strettamente la legislazione russa e, in ogni caso, un atto di clemenza, potrà venire esclusivamente dal presidente.
A proposito dello scambio della Savčenko con i due cittadini russi Evgenij Erofeev e Aleksandr Aleksandrov, che Kiev accusa di essere esploratori del GRU, l’intelligence militare russa, rinchiusi dal maggio 2015 nelle carceri ucraine dopo esser stati feriti nell’area di Lugansk (in base alla legge ucraina, rischiano l’ergastolo; i loro avvocati avevano dichiarato che devono essere considerati prigionieri di guerra, dato che al momento della cattura non facevano parte dell’esercito russo, bensì delle milizie della Repubblica popolare di Lugansk) un fatto nuovo e tragico è avvenuto nei giorni scorsi.

L’avvocato di Aleksandrov, Jurij Grabovskij, scomparso dallo scorso 5 marzo, a distanza di venti giorni è stato rinvenuto cadavere sul ciglio della strada nei pressi di Žaškov, nella regione di Čerkass. Considerate fasulle le tracce lasciate su feisbuc, che lo descrivevano ora in vacanza in Egitto, ora in qualche ufficio a Kiev (gli effetti personali erano stati rinvenuti in un hotel di Odessa, dove era stata confermata la sua presenza il 5 marzo), si nutrono pochi dubbi sul legame del suo assassinio con la difesa di Aleksandrov. Ma, al pari degli attentati di Bruxelles, cui Kiev aveva visto la mano della “guerra ibrida di Mosca”, anche in questo caso i golpisti del Ministero degli interni ucraino hanno subito avanzato l’ipotesi o di una resa dei conti personale o della responsabilità “dei servizi segreti russi: della mano insanguinata di Mosca”. Una “ipotesi” definita “fantasiosa” da Marija Zakharova, che ha aggiunto: “la sua attività professionale non viene nemmeno presa in considerazione”!

A guardar bene, appare evidente come Kiev sia tutt’altro che interessata alla liberazione della Savčenko: il suo “martirio” da “eroina” nelle carceri russe è molto più profittevole per i golpisti ucraini, ansiosi di tener desta l’attenzione mondiale sulle vicende esterne di un paese che, all’interno, è ormai ridotto al lumicino, costretto a vendere alla Svezia 100 milioni di tonnellate delle fertilissime “terre nere” della regione di Poltava, a 5 euro a tonnellata. La notizia è stata diffusa dal portale svedese Dagens Nyheter, che specifica come la legge ucraina proibisca la vendita della terra e ne consenta solo l’affitto a uso agricolo per 50 anni. “Ma, dato che la vendita di terreno non è regolamentata, di conseguenza non si proibisce nemmeno la vendita di terra. Ne consegue che altri stati possono legittimamente portar via dall’Ucraina tonnellate di terra nera. E ne hanno approfittato i commercianti di Kiev”, conclude Novorosinform.

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