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Russia: su l’export di armi, giù salari e pensioni

Nonostante i successi nella lotta contro l’Isis in Siria; nonostante gli oltre trentamila obiettivi colpiti dall’aviazione russa, nel corso di diecimila incursioni aeree; nonostante i 115 lanci di missili basati a terra, su navi e sommergibili; nonostante l’apporto decisivo “all’esercito siriano dato dall’aviazione russa”, per mezzo del quale “sono stati liberati più di 500 tra città e centri abitati”, la missione russa in Siria avrebbe messo in rilievo alcune criticità nell’apparato militare di Mosca.

Lo ha affermato ieri Vladimir Putin nel corso dell’incontro a Soči coi vertici delle Forze armate e del Complesso militare-industriale. Secondo Interfax, Putin avrebbe chiesto un’accurata “indagine professionale e un’analisi scrupolosa” su ogni fatto negativo verificatosi nel corso della missione in Siria, onde poter eliminare le insufficienze. Nel parlare di “deficienze”, pare che Putin avesse in mente alcuni problemi di natura tecnica dei mezzi militari russi, nonostante la professionalità del personale e una qualità superiore dei mezzi messi in rilievo anche dai maggiori media statunitensi. Negli ultimi anni, ha detto Putin, si sono registrati cambiamenti per il meglio nelle Forze armate; ma bisogna andare ancora più avanti: “Abbiamo di fronte un grosso lavoro per rifornire esercito e flotta di nuovi mezzi tecnici e nuove armi e per elevare la funzionalità dei modelli disponibili”.

In effetti, la cura manifestata per i grandi complessi produttivi e per lo sviluppo del complesso militare-industriale, appare oggi una delle priorità della politica economica russa e la missione in Siria è apparsa da subito, oltre che un fattore decisivo nella guerra  all’Isis e un aiuto sostanziale al popolo siriano, anche una sorta di vetrina mondiale per i mezzi militari russi. E’ significativo che, ad esempio, appena pochi giorni fa, diversi senatori USA abbiano sollevato forti preoccupazioni per la possibilità che la prevista fornitura di 77 caccia, tra F-16, F-15 e F/A-18, a Qatar, Bahrein e Kuwait (quest’ultimo ha già acquistato da Finmeccanica 28 Eurofighter Typhoon), per una somma di 9 miliardi di dollari sfumi e venga soppiantata dalla scelta di caccia russi. Pare che anche il Pakistan potrebbe rinunciare all’acquisto di F-16 USA a favore degli JF-17 Thunder di produzione sino-pakistana.

Quali che siano le cause degli eventuali mancati contratti (nel primo caso, Washington dovrebbe rinunciare alle vendite privilegiate a Israele; nel secondo, dovrebbe “prestare” a Islamabad 430 milioni $ sui 700 totali del contratto), da tempo i media USA manifestano sorpresa per la superiorità dei mezzi militari russi: in Siria, ad esempio, le bombe guidate sganciate dai velivoli e i missili alati navali. Anche se, scrive The National Interest, non ci sarebbe da stupirsi: “nel 1941 il T-34 demoralizzò la Wehrmacht; negli anni ’60 e ’70 i sistemi antimissile sovietici sconcertarono gli americani nel Viet Nam e oggi i moderni carri russi sono difesi da sistemi che neutralizzano i razzi controcarro, mentre i caccia multiruolo Su-30 sopravanzano i migliori velivoli USA: non a caso la Russia è il terzo paese al mondo per spese in armi”. Il Su-25 è considerato uno dei caccia da attacco al suolo migliori al mondo; l’elicottero d’assalto Mi-24, detto “carro armato volante”, copre tutte le operazioni a terra in Siria. The Washington Times fa l’esempio del Ju-71, in grado di portare cariche nucleari a una velocità 10 volte superiore a quella del suono, neutralizzando ogni scudo antimissile USA. Complessivamente, la Russia esporta sia sistemi d’arma più o meno individuali (dai lanciagranate RPG-32, al completo equipaggiamento individuale Ratnik, ai cannoncini Au-220 da 57 mm, modificati da uso navale a terrestre), sia mezzi pesanti, corazzati, blindati, velivoli e vascelli. Per una parziale ricognizione, basti citare solo alcuni contratti per miliardi di $ conclusi da imprese russe, tramite il “Rosoboroneksport”, ad esempio, con Egitto (Mig-29M/M2, elicotteri Mi-35Mi e Mi-17, sistemi missilistici S-300BM e K-300P, caccia Su-30K), Algeria (elicotteri da combattimento Mi-28 e da trasporto Mi-26T2; licenze per la produzione del carro pesante T-90), Bahrein (primo paese straniero ad acquistare il sistema razzi controcarro Kornet-E), Namibia (armi leggere, mortai, veicoli, munizionamento e razzi Kornet-E), Giordania (lanciagranate controcarro RPG-32; realizzato un centro per la produzione locale di RPG-32 “Hashim” da 72 mm su licenza “Rostekh”), India (l’esercito indiano è dotato per il 60% di armi russe, acquistate o sempre più spesso prodotte su licenza, specialmente per gli elicotteri Mi-17 e Ka-226. Il consorzio “Irkut” fornisce all’India le parti per l’assemblaggio su licenza del caccia multiuso Su-30MKI), Bangladesh (elicotteri Mi-171, con crediti russi per 1 mlrd $; aerei da addestramento Jak-130, la cui vendita è prevista anche in una decina di altri paesi), Tailandia (elicotteri per 40 mln $), Viet Nam (corvette lanciamissili, caccia multiruolo biposto Su-30MK2 e sommergibili diesel 636.1 “Varšavjanka”).

Ma, in parallelo con l’attenzione per i grandi gruppi industriali e il complesso militare-industriale, scrive Pravda.ru, il Ministero per lo sviluppo economico pianifica di ridurre i redditi e il potere d’acquisto della popolazione, basando il volano degli investimenti sui profitti dei grossi gruppi industriali, che cresceranno del 12% nel 2018 e del 10,8% nel 2019. Contemporaneamente, l’indicizzazione salariale sarà inferiore all’inflazione (4%) e ci sarà una riduzione del 4,8% nel 2016 e del 2% nel 2017 dell’indicizzazione delle pensioni; il rapporto tra pensioni e minimo di sopravvivenza calerà dal 1,52 a 1,36. Ciò, unito alla perdita di diverse decine di migliaia di posti di lavoro, porterà a una crescita fino al 13,9% della percentuale di persone considerate al di sotto della soglia di povertà. In tali condizioni, scrive l’organo del Partito comunista operaio russo, “Trudovaja Rossija”, il governo taglia i programmi sociali e le spese su istruzione e sanità e pianifica l’innalzamento dell’età pensionabile: “Dobbiamo esigere dai capitalisti e dal loro governo l’innalzamento annuale del potere d’acquisto reale di salari e pensioni, l’elevamento di 2,65 volte del minimo salariale, l’imposta progressiva sul reddito. Il partito di governo ha impedito di modificare l’art. 134 del Codice del lavoro che consente ai padroni di non indicizzare per anni i salari”. Putin parla di “giusto equilibrio di interessi”, continua TR, “equilibrio tra sovrano e povero, tra lupo e agnello. Il Presidente vuole un’eccezione alla regola; ha dimenticato che le classi disputano secondo le leggi della lotta di classe e l’equilibrio più naturale è quando il forte si accaparra tutto”. Troppo raramente, si rammarica TR, solleviamo la testa, scioperiamo e i borghesi si aggrappano a ogni centesimo. “In 25 anni si sono chiuse migliaia di fabbriche – oggi importiamo il 98% dei trattori – e oltre 22 milioni di russi fanno la fame”, ma dal Cremlino dicono che la nuova Guardia nazionale “sparerà contro le manifestazioni non autorizzate, contro gli scioperanti che da mesi non ricevono la paga”. Sembra però che non tutto sia fermo nel movimento operaio: il VKPB, che riporta mensilmente le cronache delle agitazioni operaie, scriveva ad aprile di scioperi nella regione di Sverdlovsk, per il rifiuto da parte di una direzione aziendale a indicizzare i salari e la minaccia di licenziamento in tronco se non verranno accettate le nuove condizioni. A Petrozavodsk scioperano gli autisti dei taxi collettivi, obbligati dal padrone a consegnare al mattino il 30% dell’incasso giornaliero atteso, indipendentemente dal guadagno reale a fine giornata. A Perm scioperano gli operai delle manutenzioni stradali, contro la minaccia di riduzione del personale. A Vladivostok  scioperano gli autisti delle autoambulanze, che chiedono aumenti salariali minimi. Pare insomma che il disordine sia ancora abbastanza grande sotto il sole.


Fabrizio Poggi

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