“L’amore per la Nato” diventerà una delle materie di educazione civica nelle scuole polacche: succede anche questo nel paese che si prepara a ospitare il prossimo vertice dell’Alleanza atlantica, l’8 e 9 luglio, a Varsavia. Ogni vertice è accompagnato dall’assicurazione degli intenti pacifici dell’Alleanza, che si concretizzano, in generale, nell’apertura di nuove basi militari e nell’aumento di uomini e mezzi bellici in giro per il mondo e si manifestano, in particolare, in qualche obiettivo altrettanto pacifico da realizzare immediatamente. Così, al vertice del settembre 2014 in Galles, l’obiettivo prioritario che si erano dati i leader dei 28 paesi membri della Nato era stato l’aumento della spesa militare nei bilanci nazionali e il rafforzamento del fianco orientale dell’Alleanza. A Varsavia si deciderà, nel quadro del rafforzamento del fianco orientale, il consolidamento della presenza militare nei Paesi baltici e in Polonia.
In questo senso, il Segretario generale Jens Stoltenberg ha definito il vertice di Varsavia come “di svolta”. Il consolidamento della presenza a est – Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria – cui hanno già assicurato la partecipazione “nelle prime file alcuni alleati quali USA, Gran Bretagna e Germania”, costituirà un chiaro segnale lanciato a Mosca “che l’attacco a un paese verrà considerato come un attacco a tutta la Nato”. Secondo le previsioni, la Nato non manterrà formazioni militari permanenti nei paesi dell’Europa orientale, ma agirà con il rapido dispiegamento delle forze da un punto all’altro, “in base alle necessità”, a partire dai centri di comando già realizzati nei vari paesi, dislocando un battaglione in ognuno di essi, a rotazione. In questo quadro, secondo Evropejskaja Pravda.ua, l’Ucraina agirà da piazzaforte avanzata di contenimento della “aggressività russa”, con l’appoggio Nato, pur continuando, per ora, a rimanere formalmente fuori dell’Alleanza, che invece verrà presto ancor più allargata con l’ingresso di Montenegro, Macedonia, Bosnia Erzegovina e Georgia.
Dunque, i leader polacchi si sono prontamente attrezzati affinché, quantomeno nel loro paese, il vertice di luglio diventi davvero “di svolta”, con un mutamento “totalitariamente democratico” che abbracci ogni aspetto della vita sociale. Così, ai bambini e ai ragazzi, ancora “malleabili”, si insegna la devozione verso la Sacra istituzione che si occupa di “garantire l’indipendenza” alla cristianissima Polonia; ai più grandi, di contro, si garantisce letto e bugliolo dietro le sbarre, nel caso osino frasi blasfeme all’indirizzo della santa trinità: Nato, USA e UE. I giovani studenti saranno quindi invitati a comporre temi sul ruolo rilevante della Nato nel mondo e nel loro paese; gli insegnanti convinceranno i ragazzi che, senza la dipendenza da questa pacifica organizzazione militare, non è possibile l’indipendenza della Polonia: ovviamente dal grande vicino orientale, la cui politica l’apostolo Stoltenberg non si stanca di definire “aggressiva” e contro la quale, a luglio, verranno adottate “decisioni chiave su come reagire alla nuova situazione nella sfera della sicurezza”.
La fede nei supremi valori atlantici è stata benedetta, lo scorso 18 maggio, anche dall’arresto con l’accusa di “spionaggio a favore di un paese straniero”, del leader del movimento “Zmiana” e direttore del Centro di analisi geopolitica Mateusz Piskorski. Ex membro della coalizione di destra al governo, legato a raggruppamenti di estrema destra russi, Piskorski di quando in quando ama farsi riprendere alle fiaccolate della Falange fascista polacca, bruciando bandiere USA e Nato. Che un governo di destra metta in galera, una volta, un proprio ex camerata, rientra nella “dialettica politica”. D’altronde, i leader di un paese democratico legato a doppio filo alla democratica Alleanza atlantica, devono pur dimostrare la propria “democratica imparzialità”: se si arrestano gruppi interi di militanti comunisti, con l’accusa di propagandare “idee antidemocratiche”, bisogna anche fermare per tre mesi (giusto il tempo di lasciarsi alle spalle il vertice di luglio) uno che chiede l’uscita dalla Nato (alla maniera di Salvini), riconosce la Crimea russa, dice di stare dalla parte del Donbass e che, se non fosse stato arrestato, il giorno successivo si apprestava a partire per Mosca. Varsavia deve pur dimostrare l’unanimità di consensi attorno alla scelta atlantica di difesa dalla “aggressione russa”. Su tale sfondo, più che naturale che le difese di Piskorski siano state prese dai camerati tedeschi del mensile “Zuerst!”, il cui direttore, Manuel Ochsenreiter, ha legato l’arresto di Piskorski alle sue posizioni di “forte opposizione al confronto della Nato con la Russia” e al prossimo vertice di Varsavia.
Nulla dunque a che vedere con i giornalisti assassinati in Ucraina, con le centinaia messi in galera e con le migliaia, tra cui moltissimi stranieri, di cui il sito “Mirotvorets” ha pubblicato nomi, dati anagrafici e indirizzi, quale chiaro segnale a tutti quei gruppi neonazisti che abbiano voglia di impartire loro una lezione di “democraticità europeista”. In attesa del lavoro più “efficace” degli squadristi di Pravyj Sektor, della lista di giornalisti compilata da “Mirotvorets” – la home page recita che il sito pubblica informazioni “sui terroristi filorussi, separatisti, mercenari, criminali di guerra e assassini”, quali sono reputati tutti coloro che appoggiano le milizie del Donbass – “si sta occupando ora il Consiglio di sicurezza ucraino, che non esclude provvedimenti penali nei loro confronti, in ragione della loro attività di informazione dal Donbass. “Coloro che si mascherano dietro l’accredito giornalistico”, hanno detto al Consiglio di sicurezza “ma agiscono nell’interesse dello stato vicino, infrangono la legge, spiano il nostro stato: quando verrà il momento verranno chiamati a rispondere”. E’ il caso di ricordare che, dopo la pubblicazione dei loro dati su “Mirotvorets”, lo scorso anno, a distanza di un giorno l’uno dall’altro, erano stati assassinati il giornalista Oles Buzinà e l’ex deputato del Partito delle Regioni Oleg Kalašnikov.
Intanto, il Comitato russo per i diritti umani ha trasmesso a Malcolm Evans, capo della delegazione del sottocomitato Onu per la prevenzione della tortura che in questi giorni visita le carceri ucraine, un primo elenco – una lista completa verrà pubblicato in un secondo tempo – di detenuti politici, giornalisti e non, in Ucraina; l’elenco conterrebbe 52 nomi, due dei quali di cittadini russi. Si tratta di una lista di persone che necessitano di aiuto urgente, detenute cioè in condizioni giudicate inammissibili. Chissà se oggi, a Istanbul, il presidente Poroshenko e il suo compare Erdogan si scambieranno anche indicazioni utili al trattamento più “adeguato” da riservare ai detenuti politici.
Fabrizio Poggi
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