Neanche il tempo di archiviare il discorso-fiume del generale von der Leyen al Parlamento europeo (i toni militareschi, compreso l’elogio postumo ai “Fratelli della foresta” baltici – collaborazionisti delle SS poi dediti al terrorismo anti-sovietico – hanno cancellato qualsiasi vago accenno politico) che ecco partire le coltellate tra “fratelli nel palazzo” di Bruxelles.
La notizia è che ieri si sono riuniti “segretamente” a Vienna gli esperti di bilancio dei paesi più ricchi all’interno dell’Unione; i “contribuenti netti”, quelli, cioè, che ricevono meno di quanto versano per costituire il fondo comune.
Non che sia una pratica inusuale, anche i paesi “prenditori” fanno lo stesso sotto la sigla “Amici della coesione”. Ma questa è la prima volta che alti funzionari dei paesi più ricchi dell’UE — tra cui Francia, Germania e i nordici — si riuniscono nella stessa stanza per elaborare una strategia sulla controversa proposta di bilancio da 1.816 miliardi di euro della Commissione europea. Il più alto di sempre e con le “libere spese per la difesa” a sfondare gli argini della normale “austerità”.
L’obiettivo è ovviamente quello di formare un blocco prima dei negoziati con paesi come Polonia, Spagna e Italia, favorevoli a una spesa più alta, in particolare per l’agricoltura e i finanziamenti alle regioni più povere.
I funzionari delegati al compito hanno fin qui avuto meno di due mesi per scorrere centinaia di pagine e calcolare quanto denaro i rispettivi paesi guadagneranno o perderanno dal nuovo piano di spesa della Commissione. I ministri dell’economia entreranno in campo soltanto dopo, a “scrematura” del dossier completata.
Di fatto i ricchi “contribuenti netti” — che vanno dalla Svezia alla Francia — sono generalmente favorevoli a un portafoglio più “austero”. Ma stavolta la questione è più complicata, con paesi come la Francia in “grossa crisi” sociale e politica, ergo per forza di cose bisognosi di maglie più larghe.
“Come tante cose nel mondo, il QFP [Quadro Finanziario Pluriennale, il bilancio a lungo termine dell’UE] non è definito dall’economia, ma dalla storia“, spiega Stefan Imhof, segretario generale del Ministero federale delle finanze austriaco. Bisogna dire che l’avevamo sempre sospettato, diciamo così: le decisioni della UE non hanno nulla a che fare con le “leggi dell’economia”, ma molto con la volontà politica, sia “nazionalistica” che “di classe”.
I paesi più forti, imponendo certe regole, cercano di incrementare il proprio reddito/potere rispetto a quelli più deboli, mentre tutti insieme elaborano le “politiche economiche” più adatte a ridurre al minimo il livello di vita e il potere di lavoratori, pensionati, studenti, malati, ecc, così da soddisfare “i mercati” e “le imprese”.
Stavolta, ad esempio, la Francia e i Paesi Bassi – entrambi contribuenti netti – hanno agende profondamente diverse su questioni come il debito a livello UE, con Parigi favorevole ad alzare l’asticella della tolleranza e L’Aja fermamente contraria.
Anche sulla questione dei sussidi agricoli, la Francia è più allineata con Polonia, Italia e altri paesi produttori, quindi favorevole ad una spesa elevata, mentre gli altri i membri del club vorrebbero stringere i cordoni della borsa.
Ma neanche tra i paesi ricchi sono tutti uguali. “Alla fine, sono Francia e Germania a concordare la cifra e noi cagnolini seguiamo“, ha detto un diplomatico UE sotto garanzia di anonimato.
Anche tra i “prenditori” molte cose sono cambiate, creando interessi e alleanze oblique.
Per oltre un decennio Polonia e Ungheria si sono mosse sulla stessa falsariga. Ma il processo di isolamento del primo ministro Viktor Orbán ha portato la Commissione a bloccare miliardi di finanziamenti verso Budapest.
Ciò ha spalancato la porta agli interessi dei paesi mediterranei — anche loro bisognosi di finanziamenti generosi per le regioni più povere — che possono così avere un ruolo più forte all’interno della coalizione “povera”.
Naturalmente da questa riunione non è uscito nulla di ufficiale, in fondo sono solo “sherpa” che sciolgono i nodi più evidenti e fanno i conti su cui poi i vertici politici faranno le proprie scelte, fissando il limite – in soldi – per ogni compromesso.
La Commissione, in questo bailamme, proverà come sempre a dividere i due fronti, in modo da indebolirli e far passare la propria proposta con modifiche solo marginali.
Alla fine, giurano i vecchi mediatori tra tanti interessi divaricanti, si troverà la quadra. Ma sembra confermata una vecchia legge della politica capitalista: se i bilanci statali sono in ordine, la società diventa disordinata…
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