E’ da tempo, ormai, che Podemos ha ripulito il suo programma dalle parole d’ordine più radicali, dagli obiettivi di rottura che avevano caratterizzato la sua nascita. L’exploit elettorale istantaneo seguito alla costituzione del nuovo partito ha accelerato i tempi di una parabola che ha visto altre formazioni della sinistra europea – Syriza, ad esempio -impiegare alcuni anni e completarsi solo con la vittoria alle elezioni e l’ascesa al governo.
La creatura di Pablo Iglesias ha bruciato tutte le tappe, tentando immediatamente di accreditarsi come forza politica responsabile e moderatamente riformista presso i think tank e le istituzioni economiche e finanziarie spagnole e internazionali.
Polemiche ed alcuni abbandoni, ad esempio, ha provocato la candidatura nelle liste di Podemos, alle scorse elezioni, di José Julio Rodríguez, generale spagnolo della Nato ed ex capo di Stato Maggiore ai tempi del premier socialista Zapatero. L’elezione del subito ribattezzato ‘ministro della Difesa di Iglesias”, già a capo della missione militare di Madrid in Afghanistan e coordinatore dell’aggressione militare alla Libia nel 2011, è stata una di quelle scelte attraverso cui la cupola del partito ha tentato di attirare simpatie “moderate” e di scrollarsi di dosso quell’etichetta di “movimento antisistema” che tiene alla larga pezzi importanti di elettorato e di classe dirigente.
Una scelta associata ad alcune esplicite dichiarazioni diffuse da Sergio Pascual nelle quali il dirigente di Podemos ha affermato che il suo partito non ha alcuna intenzione di mettere in discussione l’adesione della Spagna all’Alleanza Atlantica.
Il ‘soldato disciplinato e leale, che va dove lo mandano” ma anche un “pacifista e antimilitarista”, come si è descritto Rodriguez, è stato candidato di nuovo alle elezioni del giugno prossimo alla testa della lista ‘Unidos Podemos’ ad Almeria, in Andalusia, di cui fanno parte anche Izquierda Unida e i verdi di Equo. In un primo tempo gli alleati avevano definito la decisione di Podemos una ‘provocazione’ per poi arrendersi all’imposizione della forza maggioritaria della coalizione dopo pochi giorni.
Sul fronte politico, in queste settimane, Pablo Iglesias e alcuni dei suoi stretti collaboratori sono impegnati in un vero e proprio tour presso i poteri forti, allo scopo di accreditare la formazione politica viola come ‘la nuova socialdemocrazia’. Un modo per bilanciare a destra le accuse di ‘estremismo’ e di ‘comunismo’ rivolte da sempre al movimento, e rinfocolate nelle ultime settimane dalla scelta di andare alle elezioni in un’unica lista insieme a Izquierda Unida per sfruttare una legge elettorale che premia con parecchi seggi in più le formazioni che ottengono un numero maggiore di voti. Oltre che una strategia per ottenere il sorpasso nei confronti del Partito Socialista che in effetti secondo tutti i sondaggi dovrebbe piazzarsi solo al terzo posto dietro i Popolari e appunto ‘Unidos Podemos’.
“Non ci lamentiamo se ci chiamano i nuovi socialdemocratici” ha detto ad esempio il segretario del partito concludendo il suo intervento presso l’assemblea organizzata a Sitges dal Cercle d’Economia, una delle principali organizzazioni imprenditoriali catalane. Un discorso zeppo di citazioni di Ludolfo Paramio, “una delle teste più brillanti del Psoe” ai tempi di Felipe Gonzalez (che impose in Spagna politiche tatcheriane prima che ciò avvenisse nel resto del continente), e che tendeva esplicitamente la mano ai “vecchi socialisti disincantati” nei confronti dei loro dirigenti che nel maggio 2010 “scelsero politiche in cui non credevano”.
Iglesias ha comunque ricordato alla platea di industriali e giornalisti alcuni degli obiettivi presenti nel programma del suo partito: dallo stop alle politiche di austerità all’applicazione di un potente piano di investimenti sociali, dalla creazione di una ‘banca pubblica’ alla valorizzazione dello sviluppo produttivo rispetto al settore finanziario, dalla sospensione delle riforme del lavoro varate prima dal governo socialista e poi da quello di destra all’introduzione di un sistema fiscale basato sulla progressività.
Secondo molti media iberici Iglesias si è presentato come il leader amabile e responsabile – e quindi pronto ad assumere incarichi di governo – di una formazione della socialdemocrazia classica. D’altronde il discorso che Iglesias ha letto e pubblicato su vari siti si intitola proprio “Per una nuova socialdemocrazia”, mettendo in difficoltà il suo braccio destro, Íñigo Errejón, il cui chiodo fisso è da sempre quello di impedire che Podemos possa essere etichettato all’interno dello schema ‘destra/sinistra’, una categorizzazione definita ‘vecchia, obsoleta’ ma che soprattutto impedirebbe al partito di ottenere consensi trasversali, dall’estrema sinistra fino al centrodestra, come è avvenuto finora.
Marco Santopadre
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