Le altalenanti relazioni tra le due maggiori organizzazioni internazionali del jihadismo combattente – al Qaeda e Stato Islamico – sembrano vivere un ulteriore momento di irriducibile competizione.
Dopo alcuni tentativi di giungere ad una alleanza con la sua ex sezione iracheno/siriana resasi indipendente, molti analisti mettono in evidenza che nelle ultime settimane il quartier generale di al Qaeda avrebbe deciso di sfidare Daesh nelle regioni che sono rapidamente diventate sue roccaforti, di cominciare a utilizzare alcuni degli slogan e ad adottare alcuni degli obiettivi del “jihadismo fatto stato”.
Il quartier generale di al Qaeda mirerebbe in particolare a rafforzarsi ed a conquistare consensi e posizioni sia in Siria sia in Libia. Stando a diversi funzionari dell’intelligence e dell’antiterrorismo europei e statunitensi, il gruppo fondato da Osama Bin Laden avrebbe inviato una decina dei suoi membri più autorevoli ed esperti in alcune zone della Siria per coordinare l’offensiva. Tra questi ci sarebbe Saif al Adl, ex colonnello dell’esercito egiziano e veterano di al Qaeda, rilasciato dalle autorità iraniane che lo avrebbero scambiato con alcuni diplomatici e funzionari rapiti dai jihadisti.
In Siria i leader di al Qaeda vorrebbero costituire una sorta di quartier generale per porre le basi della costituzione di un proprio emirato grazie all’attività dei membri del Fronte al Nusra e di altre sigle islamiste più o meno direttamente affiliate al network jihadista e concorrenti di Daesh.
Attraverso il lancio della parola d’ordine della costituzione di un emirato – che è cosa diversa dal Califfato – Al Qaeda spera di divenire maggiormente attrattiva non solo nei confronti degli islamisti siriani, spaventati dai successi delle truppe lealiste, dei curdi, della coalizione statunitense e dei russi, ma anche di potenziali nuovi combattenti provenienti da Iraq, Turchia, Giordania e Libano.
La costituzione di un emirato in Siria è stata esplicitamente citata come obiettivo dell’organizzazione da parte del leader di al Qaeda in Pakistan, Ayman al-Zawahiri, nel corso di un messaggio inviato a tutti i membri alcune settimane fa dopo un lungo silenzio. La scelta, secondo gli analisti, sarebbe stata sollecitata anche dalle crescenti difficoltà incontrate dai jihadisti in Pakistan, e dall’esigenza di rafforzare una propria base territoriale alternativa in Medio Oriente dalla quale far partire una controffensiva globale.
Se il cambio di strategia dovesse veramente essere perseguito dall’organizzazione – alcune frazioni si sono dichiarate in disaccordo – e dare i suoi frutti, potrebbe avere consistenti ripercussioni sull’equilibrio delle forze in Siria. Al Nusra da anni rappresenta la frazione più numerosa e meglio organizzata del cosiddetto ‘fronte ribelle’, e gode di una ingiustificata quanto estesa fama di alternativa jihadista meno barbara rispetto a Daesh. Jabat al Nusra controlla vasti territori nel paese e da qualche tempo anche gruppi non jihadisti del fronte che combatte contro il governo di Damasco stanno accettando di entrare nella sua orbita pur di non soccombere all’offensiva del Califfato o delle forze lealiste.
Ma negli ultimi mesi alcuni gruppi locali e parte la popolazione della provincia di Idlib, sotto il controllo del Fronte al Nusra, hanno addirittura dato vita a delle proteste di piazza contro il gruppo composto soprattutto di combattenti stranieri. Il problema per Zawahiri è che il controllo di al Nusra da parte delle casa madre non è affatto assoluto, e che molti comandanti e gruppi affiliati alla sezione siriana di al Qaeda di fronte ad un cambio di strategia e ad un tentativo esplicito di prendere totalmente possesso delle milizie potrebbero reagire rompendo con il quartier generale. D’altronde vari regimi arabi e la stessa Turchia da tempo sostengono e corteggiano varie componenti di al Nusra, nel tentativo di utilizzarla contro le truppe di Damasco.
Anche gli Stati Uniti hanno un atteggiamento che definire ambivalente è eufemistico. Se da una parte l’amministrazione Obama ha accettato di definire al Nusra una organizzazione terroristica rifiutando l’invito di alcune potenze regionali sunnite ad accettarne i rappresentanti al negoziato di Ginevra (venendo così incontro alle richieste dei curdi e di Mosca) è anche vero che una parte dell’establishment politico e militare statunitense continua a citare la sezione siriana di al Qaeda come una possibile alternativa alle milizie curde, a loro volta sostenute da Washington dopo il completo e definitivo fallimento di tutte le varie formazioni ‘ribelli’ – Esercito Siriano Libero in primis – che gli Stati Uniti hanno foraggiato economicamente e rifornito di armi per poi vederle passare con i jihadisti oppure sbandarsi.
Ma al Zawahiri non mira solo a contendere a Daesh il controllo di alcune parti della Siria – e quindi dell’Iraq – ma punta anche al Nord Africa, in particolare all’Egitto e alla Libia. Per scalzare Daesh da un paese in cui gli uomini del Califfato stanno guadagnando posizioni – l’Egitto – al Qaeda punterebbe ai Mourabitoun, gruppo già affiliato e guidato dall’algerino Mokhtar Belmokhtar detto ‘il guercio’ e finora molto attivo in vari paesi del centro e nord Africa. Al Cairo sarebbe già attivo un gruppo jihadista noto con la stessa denominazione – Mourabitoun – fondato da un ex ufficiale dei servizi segreti militari egiziani. I suoi uomini, protagonisti di vari attacchi a giudici ed esponenti delle forze di sicurezza e dell’esercito agiscono in esplicita concorrenza nei confronti di Ansar al-Baqtis, affiliato invece allo Stato Islamico e molto attivo in Sinai. Al-Zawahiri in persona, che è egiziano, ha utilizzato nel suo discorso dell’8 maggio scorso parole durissime nei confronti dei rivali dell’Isis, definiti estremisti da eliminare.
Marco Santopadre
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa