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Palestina: ‘i regimi sunniti vogliono sostituire Abu Mazen’

“La politica palestinese attraversa una deriva autoritaria, senza precedenti”. L’accusa giunge dal sociologo palestinese Tariq Dana dell’università di Birzeit (Cisgiordania), dove insegna scienze politiche. L’Autorità Nazionale Palestinese – denuncia Dana – é diventata un’organizzazione al servizio delle élites economiche e politiche palestinesi, nonché uno strumento funzionale alla forza occupante”, cioè a Israele. Secondo Dana – che ha conseguito un dottorato in Politica e Diritti Umani presso la Scuola S. Anna di Pisa – per controllare il dissenso Abu Mazen fa leva anche su strumenti di carattere economico. Cita ad esempio il congelamento nel 2015 dei fondi delle ong/fondazioni dell’ex premier Salam Fayyad e di Yasser Abed Rabbo (un membro storico dell’Olp), ‘rei’ di aver criticato la presidenza. Di senso analogo, a suo avviso, il recente taglio dei fondi destinati dall’Anp al Fronte popolare (Fplp), la principale forza politica della sinistra palestinese. Non solo gli avversari politici diretti di Abu Mazen, ma anche la società civile rischia talvolta di avvertire segnali di malumore dalla Muqata, il quartier generale del presidente. Ecco cosi’ gli arresti del capo del sindacato dei dipendenti pubblici Bassam Zakarneh (dopo una serie di scioperi per il rinnovo del contratto degli statali nel 2015) e di una ventina di manifestanti nel corso delle proteste inscenate mesi fa in Cisgiordania da decine di migliaia di insegnanti pubblici. La stretta di Abu Mazen sulla stampa locale è stata evidenziata dal recente Media Freedom Index, dove viene sottolineato che anche se la maggior parte delle violazioni sono attribuite alle forze israeliane, sono in crescita anche quelle perpetrate delle forze palestinesi.

Nei giorni scorsi la stampa locale ha riferito inoltre della creazione della nuova Corte costituzionale palestinese. Composta da nove giudici – tutti scelti dalla presidenza – dovrà approvare o cassare i decreti legge di Abu Mazen. Secondo alcuni giornalisti e analisti locali, le modalità della creazione del nuovo corpo giuridico lasciano trasparire l’intenzione dell’ottantatreenne Abu Mazen di voler consolidare ulteriormente il proprio potere e di non aver, almeno in tempi brevi, nessuna intenzione di abbandonare la poltrona.
Ma secondo alcuni analisti e media mediorientali sarebbero proprio i regimi arabi che sostengono l’Autorità Nazionale Palestinese a tramare per far saltare Abu Mazen. Nei giorni scorsi il portale di informazione Middle East Eye ha descritto alcuni elementi di un piano segreto per sostituire Abbas alla presidenza dell’Olp e dell’Autorità Nazionale Palestinese. Al suo posto Emirati Arabi, Egitto e Giordania (i tre complottisti) vorrebbero insediare Mohammed Dahlan: leader di Fatah (lo stesso partito di Abu Mazen) a Gaza, inamovibile capo dei servizi di sicurezza dell’Anp, uomo di Washington, Dahlan é stato costretto all’esilio dopo lo scontro con i vertici del governo e del partito e l’accusa di aver preso parte all’assassinio di Arafat proprio negli Emirati da cui da tempo si vocifera che pianifichi interventi esterni per tornare al potere. Accusato di corruzione e relazioni strette con i servizi segreti israeliani e degli Stati Uniti una grossa parte della popolazione palestinese lo considera un vero e proprio nemico, un traditore al soldo degli occupanti.
A svelare il presunto piano a Middle East Eye sono state fonti giordane e palestinesi. Secondo tali indiscrezioni, Abu Dhabi avrebbe già informato Israele dell’intenzione di sostituire Abbas con Dahlan e la questione sarebbe in via di definizione anche con l’Arabia Saudita. Gli obiettivi del progettato cambio al vertice sarebbero unificare e rafforzare Fatah in vista delle prossime elezioni; indebolire Hamas; assumere il controllo dell’Olp e dell’Anp; arrivare ad un accordo di pace con Israele con il sostegno dei regimi arabi sunniti. Se le indiscrezioni fossero confermate i paesi protagonisti del complotto potrebbero contare su alcuni pezzi grossi di Fatah, rimasti fedeli a Dahlan. Abbas potrebbe rischiare grosso se è vero che il principe emiratino Mohammed bin Zayed ha proposto il suo arresto alla prima visita in Giordania.

Due dei tre paesi apparentemente coinvolti – Egitto e Giordania – hanno siglato trattati di pace con Tel Aviv su pressione statunitense, mentre le petromonarchie del Golfo, in particolar il regime saudita, è obiettivamente un alleato a tutto campo di Israele visti gli interessi e i nemici comuni nell’area, in particolare i paesi e le forze appartenenti al fronte sciita.

 

Redazione Contropiano

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