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12 giugno: la Festa della Russia sulle ceneri dell’Urss

Una delle domande più ricorrenti e forse meno maligne in Russia, in occasione del 12 giugno è “Ma cosa festeggiamo in questa data?”. La denominazione ufficiale della ricorrenza è “Festa della Russia”; qualcuno la chiama anche “Festa dell’Indipendenza”, salvo aggiungere: indipendenza da chi? Il 12 giugno 1990, al primo Congresso dei deputati del popolo della Federazione russa, venne adottata la Dichiarazione di sovranità della RSFSR, tra i cui punti principali figuravano la priorità della Costituzione e delle leggi della RSFSR sugli atti legislativi dell’URSS e il sostanziale ampliamento dei diritti di repubbliche autonome, regioni, distretti e territori della stessa RSFSR.

La Dichiarazione recava la firma del Presidente del Soviet supremo della RSFSR, Boris Eltsin che, esattamente un anno dopo, il 12 giugno 1991, esistendo ancora formalmente l’Unione Sovietica, diventava il primo presidente della RSFSR. Al referendum del marzo 1991 infatti, in cui il 76% dei russi si era pronunciato per la conservazione dell’Urss (le percentuali oscillarono tra il 93 e il 97% nelle repubbliche dell’Asia centrale), il 52% si era espresso anche per l’istituzione della figura del presidente della RSFSR. L’idea della presidenza, scriveva qualche anno fa Komsomolskaja Pravda, era stata insinuata già qualche anno prima dallo stesso Eltsin, dopo i suoi viaggi americani, mentre la sua precedente candidatura alla presidenza del Soviet supremo, come pure la possibilità, per  qualsiasi regione autonoma, di uscita dall’Urss, che sarebbe stata adottata nella Dichiarazione, costituiva uno dei punti che Margaret Thatcher rivendicò, appena pochi mesi prima della fine dell’Urss, come perno del lavorio occidentale (insieme alla corsa agli armamenti) che avrebbero messo in crisi l’Unione Sovietica.

Andrej Korneev, su Katehon.com, qualifica il 12 giugno, senza mezzi termini, come “giorno della vergogna” o “della tragedia nazionale” e nota come la percentuale di persone d’accordo con tale festa sia scesa dal 58% del 2011 al 45% del 2015: “Evidentemente” scrive, “l’attuale situazione internazionale induce a riprendersi dall’ubriacatura degli anni ’90”. Secondo l’indipendente Centro Levada, nel 2015 il 50% degli intervistati sapeva che il 12 giugno si celebra l’adozione della Dichiarazione di sovranità; nel 2016 la percentuale è scesa al 44%. Sovetskaja Rossija, mentre definisce il 12 giugno la “giornata nera eltsiniana” e l’inizio dello sfacelo di economia, istruzione, cultura e di quasi tutti i settori della vita sociale, con 25 anni di “integrazione suicida della Russia nell’economia mondiale”, scrive che anche diversi alti funzionari pubblici si riferiscono al 12 giugno come alla Giornata dell’indipendenza, così che molti russi si chiedono “da chi siamo diventati indipendenti? Da un terzo del nostro territorio? Oppure dalla metà della popolazione? Da 30 milioni di russi o da 60 milioni che consideravano il russo la propria lingua madre? Indipendenti dall’Abkhazija, dall’Ossetia meridionale?”.

Secondo i sondaggi dell’ufficiale VTsIOM, nel 2006 il 32% degli intervistati definiva il 12 giugno “Festa della Russia” e il 31% “Festa dell’indipendenza della Russia”; ma un altro 31% riteneva che la Dichiarazione di sovranità non solo non aveva dato alla Russia alcuna sovranità, ma le aveva tolto anche quella che le aveva dato a suo tempo l’Unione Sovietica. Quella Dichiarazione di sovranità aveva dunque rappresentato la spinta finale per precipitare l’Urss verso l’abisso; e allora com’è, si chiede Nikita Volcenko su Vzgljad, che Vladimir Putin, che già dieci anni fa aveva definito la fine dell’Urss “la peggiore catastrofe geopolitica del secolo”, continua a celebrare il 12 giugno? E anche Volcenko solleva la domanda: “Di chi è questa Festa della Russia? E’ la festa dell’indipendenza della Russia da tutti i milioni di russi che sono venuti a trovarsi stranieri nelle repubbliche un tempo sovietiche?”.

Secondo i sondaggi del Centro Levada, il 13% dei russi ritiene che tale “indipendenza” sia andata “sicuramente a vantaggio della Russia” e il 43% “probabilmente a vantaggio”, mentre il 14% pensa che abbia “piuttosto svantaggiato” e il 7% “sicuramente svantaggiato” la Russia. I sondaggi del VTsIOM indicano che il 75% degli intervistati giudica oggi da “molto grande” a “grande” il ruolo della Russia sulla scena mondiale: pur se calato rispetto al 82% del 2014, al momento della riunione della Crimea al paese, è superiore al 58% del 2008. Il 38% considera, tra le priorità globali del paese, quella di tornare a essere una superpotenza, mentre il 26% pensa che la Russia appartenga già oggi al novero delle grandi potenze e il 49% giudica tale obiettivo raggiungibile in un futuro molto prossimo. Se nel 2014 il 52% dei rispondenti pensava che la “appartenenza al club” dei paesi leader si sarebbe potuta raggiungere principalmente attraverso un’economia sviluppata e un esercito forte (42%), oggi l’importanza di tali fattori è scesa significativamente (37% e 26%, rispettivamente) ed è balzato al primo posto il livello di benessere: 38%, rispetto al 25% del 2014.

Come che sia, il 12 giugno può considerarsi una delle tappe fondamentali, quantomeno dal punto di vista “istituzionale”, sulla strada del disfacimento a tavolino dell’Unione Sovietica, il cui punto d’approdo fu costituito dai famigerati “Accordi della Belovezhskaja pushcha”, sottoscritti nel dicembre 1991 dai presidenti russo e ucraino, Boris Eltsin e Leonid Kravchuk, insieme al presidente del Soviet supremo bielorusso, Stanislav Shushkevic e che si colorano oggi di un piccolo giallo: la sparizione dei documenti che attestavano la fine dell’Urss e la creazione della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti). Anche se quest’ultima, come scrive Vitalij Karjukov su svpressa.ru, era un “bambino nato morto”, nonostante rimanga formalmente in vita tutt’oggi, la decina di paesi che ne fanno parte non hanno niente in comune. Scomparsa anche la formale richiesta – avanzata 25 anni fa – di entrare a farne parte avanzata da Mongolia, Jugoslavia, Afghanistan e la possibilità di ingresso di Bulgaria, Ungheria, Slovacchia.

Se è vero che la Russia è tornata a occupare un posto di rilievo nell’arena mondiale e si è lasciata alle spalle l’aperto vassallaggio pro Usa dell’epoca eltsiniana, il risultato più tangibile di quella Dichiarazione di sovranità di ventisei anni fa e della “svolta” verso il capitalismo sembra rappresentato dalle informazioni diffuse proprio oggi, 12 giugno, da Interfax, secondo cui i cittadini russi “comuni”, causa la crisi e la caduta dei redditi, sono passati a patate e verdure.

 

Fabrizio Poggi

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