Quarantotto ore dopo l’uccisione di Alton Sterling a Baton Rouge, e ventiquattro ore dopo quella di Philando Castile a St.Paul, entrambi freddati da poliziotti (nel primo caso due bianchi, nel secondo un uomo di origini asiatiche) nonostante fossero disarmati e inermi, negli Stati Uniti il livello dello scontro si avvicina ormai a una vera e propria guerra tra comunità afroamericane discriminate e oggetto del razzismo e della brutalità dei corpi di sicurezza e gli agenti di polizia in ogni angolo degli States.
Le uccisioni a freddo a distanza di poche ore di due americani di pelle nera in Louisiana e Minnesota, documentate da altrettanti video diventati in poche ore virali sulla rete, hanno riaperto improvvisamente una ferita mai chiusa. Ed a pochi mesi dalle elezioni presidenziali di novembre la questione razziale rischia di diventare il testamento finale sul doppio mandato alla Casa Bianca del primo presidente nero degli Stati Uniti.
Cinque poliziotti morti, sei feriti. E’ questo per ora il bilancio di sangue della veglia notturna organizzata a Dallas, in Texas, contro l’uccisione dei due afroamericani in Louisiana e Minnesota.
Secondo il locale capo della polizia David Brown si sarebbe trattato di un attacco coordinato organizzato da quattro persone, armate di fucili, posizionatesi nei pressi della fine del percorso pianificato dagli organizzatori della protesta contro la violenza della polizia.
Circa un centinaio di poliziotti era stato dispiegato nel centro della città di Dallas dove si stava svolgendo una marcia contro gli abusi delle forze dell’ordine. Altre manifestazioni erano in corso in contemporanea in altre città del Paese. Un migliaio di persone si erano radunate e stavano marciando verso la City Hall, la sede del Comune, attorno al quale erano schierati molti poliziotti, nonostante la marcia fosse pacifica.
All’improvviso si sono sentiti numerosi colpi d’arma da fuoco e mentre la folla si disperdeva una dozzina di agenti è rimasta a terra. E’ rimasta ferita ad una gamba, ma in modo non grave, anche Shetamia Taylor, che partecipava con i figli alla protesta contro il razzismo della polizia.
Almeno tre cecchini hanno sparato a ripetizione con armi automatiche colpendo alle spalle gli agenti. Un poliziotto sarebbe stato giustiziato a distanza ravvicinata. Per quattro di loro non c’è stato nulla da fare, sono morti sul colpo, altri sette sono stati trasportati d’urgenza nel più vicino ospedale. Uno degli agenti feriti è morto in ospedale poco dopo il ricovero.
Uno degli uomini, dopo essersi barricato in un garage assediato dalle forze dell’ordine, ha affermato “che ci sono bombe, nel garage e nel centro della città”, ma dopo un’attenta caccia di esplosivo non si è trovata traccia. Dopo qualche ora di assedio, secondo la stampa statunitense, l’uomo è stato ucciso dalle teste di cuoio che hanno usato per la prima volta un nuovo modello di robot armato. Si tratta di Micah Xavier Johnson, un 25enne di colore che era stato riservista dell’esercito statunitense e quindi dotato di una certa preparazione militare.
Due ‘sospetti’ sono stati arrestati ed anche una donna, ritenuta loro complice, è stata fermata. Invece Mark Hughes, fratello di uno degli organizzatori della manifestazione, la cui foto alla manifestazione con un fucile a tracolla era stata diffusa dal dipartimento di polizia, è stato invece rilasciato dopo essersi consegnato e non è tra gli indiziati.
Non è chiara per ora la matrice dell’imboscata organizzata contro la polizia di Dallas, se si tratti di un gruppo unito da un collante politico o meno (anche se tramite Facebook è arrivata una rivendicazione, tutta da valutare, di un gruppo finora sconosciuto denominato ‘Black Power’).
L’unica cosa certa è che la recrudescenza della ‘caccia al nero’ da parte delle forze dell’ordine, protette da una sostanziale immunità e impunità, ha generato una ‘caccia al poliziotto’. D’altronde la libera vendita delle armi, anche da guerra, in un paese in cui la brutalità della polizia non è stata scalfita affatto dalle dichiarazioni buoniste di Obama che non si sono mai tradotte in atti concreti di particolare efficacia (anche a causa della resistenza del suo stesso partito oltre che dei Repubblicani) alla lunga non potevano non provocare l’esplosione alla quale si assiste in queste ore. Da capire ora se si tratti di un episodio isolato o se invece non costituisca l’atto di inizio di una risposta armata da parte di alcuni gruppi più o meno organizzati contro lo stato e le sue istituzioni.
Il movimento Black Lives Matter (Le vite dei neri contano) che ha organizzato la manifestazione di ieri sera a Dallas, ha condannato in una dichiarazione l’agguato contro i poliziotti bianchi affermando che “si batte per la dignità, la giustizia e la libertà. Non l’omicidio”. Ma per comprendere perché ed in che modo l’azione di ieri sera sia nata, basta guardare la mappa dei 509 omicidi compiuti solo nel 2016 dai poliziotti statunitensi – per la maggior parte le vittime sono afroamericane – pubblicata dal Washington Post.
Intanto la compagna di Philando Castile, l’automobilista afroamericano ucciso dalla polizia del Minnesota, ha chiesto giustizia per quello che ha definito un giovane uomo rispettoso della legge, ucciso “senza motivo”. Diamond Reynolds, che era sul sedile del passeggero con la figlia di quattro anni sul sedile posteriore mentre Castile moriva dissanguato, ha ripreso i momenti successivi alla sparatoria in un video pubblicato su Facebook e diventato virale. Parlando ai giornalisti fuori della residenza del governatore del Minnesota a St. Paul dopo una notte passata in carcere, la ragazza ha ripetuto quel che aveva già detto il filmato scioccante: il 32enne supervisore in una caffetteria non aveva fatto nulla per provocare gli spari dell’agente.
Reynolds ha detto che con la figlia e Castile stavano tornando a casa in auto dopo aver fatto la spesa in un supermercato di un sobborgo di St Paul. Fatto accostare da una pattuglia per un faro posteriore rotto, Castile ha informato l’agente di essere in possesso di un’arma da fuoco regolarmente registrata, ha detto Reynolds, ed è stata colpito mentre prendeva il portafoglio dove teneva i documenti di identità che i poliziotti gli avevano intimato di consegnare.
Castile non aveva espresso alcuna minaccia, ha aggiunto la compagna. “Nulla nel suo linguaggio del corpo indicava intimidazione. Nulla nel suo corpo diceva ‘sparami’, nulla nelle sue parole diceva ‘uccidimi, voglio morire'” ha detto con la voce tremante per la rabbia e il dolore. Reynolds ha aggiunto di aver deciso di riprendere in diretta l’accaduto, anche se un poliziotto le puntava contro una pistola dal finestrino aperto, per stroncare eventuali tentativi di insabbiamento da parte della polizia. “non l’ho fatto per pietà. Non l’ho fatto per la fama. L’ho fatto perché il mondo sapesse che questa polizia non è qui per proteggerci. Sono qui per assassinarci, sono qui per ucciderci perché siamo neri”.
Marco Santopadre
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