Alla fine, nonostante mesi di manifestazioni, scioperi, blocchi, picchetti, occupazioni da parte dei sindacati più combattivi, delle organizzazioni giovanili e studentesche e della sinistra più o meno radicale, il jobs act alla francese, la controriforma del lavoro fortemente voluta dal presidente socialista Hollande e imposta da Unione Europea e Medef – la CONFINDUSTRIA di Parigi – è stata definitivamente approvata ieri.
Il premier Manuel Valls ha salutato su Twitter “un grande passo per la riforma del nostro Paese: più diritti per i nostri lavoratori, più visibilità per le nostre piccole e medie imprese, più posti di lavoro”.
In realtà la legge riduce in maniera consistente i diritti dei lavoratori: rende più facili e meno onerosi per le imprese i licenziamenti, concede priorità ai contratti aziendali rispetto a quelli nazionali di categoria, aumenta i ritmi e gli orari di lavoro in alcuni comparti, prevede finanziamenti a fondo perduto alle aziende con la scusa di combattere la disoccupazione giovanile in crescita, un po’ sul modello di quanto previsto dalla analoga legge imposta in Italia da Matteo Renzi.
Mentre le opposizioni di sinistra hanno annunciato un ricorso alla Corte Costituzionale per bloccare la ‘Loi Travail’, che porta il nome della ministra del Lavoro Myriam El Khomri, i sindacati hanno promesso una ripresa della mobilitazione a partire dal 15 settembre, ma per ora hanno dovuto incassare una sconfitta. Quattro mesi di mobilitazioni anche dure non hanno smosso il governo quasi di una virgola, e il premier Valls è riuscito a portare a casa il risultato senza grandi scossoni.
Certo, qualche miglioramento scioperi e proteste l’hanno ottenuto. Rispetto al draconiano testo presentato a marzo dall’esecutivo socialista, Hollande e Valls hanno dovuto cancellare alcuni dei punti previsti, facendo arrabbiare la destra che ha attaccato strumentalmente il governo in vista delle elezioni dell’anno prossimo, e la Medef, che ha parlato di ‘legge snaturata’ accusando i socialisti di essere incapaci di respingere ‘il ricatto dei sindacati e degli estremisti’.
Nel testo approvato ieri, rispetto alla prima stesura, sono spariti la fissazione di un tetto alle indennità di licenziamento (da 3 a 15 mesi di retribuzione) confermando la discrezionalità attualmente concesso ai giudici del lavoro; la possibilità per le multinazionali di imporre piani di ristrutturazione comprendenti il taglio dei dipendenti sulla base dell’andamento degli impianti francesi e non – come attualmente previsto – su quello dell’intero gruppo; l’opportunità per le piccole e medie aziende di concordare con il singolo dipendente alcune variazioni dell’orario di lavoro.
Ma resta comunque la gravità di un provvedimento che precarizza ulteriormente il mercato del lavoro e concede un’enorme vantaggio alle imprese, riducendo il potere contrattuale del singolo lavoratore e i margini di manovra dei sindacati. Nel testo della ‘Loi Travail’ resta ad esempio la possibilità per le imprese di licenziare per motivi puramente economici, ad esempio semplicemente in seguito ad un calo dei ricavi. Confermato anche il referendum aziendale al quale può ricorrere l’impresa nel caso di accordo approvato da uno o più sindacati che hanno almeno il 30% dei consensi: in caso di vittoria l’intesa viene applicata e chi si oppone può essere licenziato per ragioni economiche. Cancellata la possibilità di veto da parte di sindacati che vantano almeno il 50% dei consensi. La nuova legge introduce anche la possibilità per un’impresa di concordare con i sindacati una flessibilità dell’orario per far fronte a un aumento della domanda e non solo in caso di difficoltà.
Per evitare il voto dell’Assemblea Nazionale, dove il governo sul provvedimento in questione non può contare sulla maggioranza vista l’opposizione anche di una consistente pattuglia di deputati socialisti, il governo ha fatto ricorso al meccanismo della fiducia ed in mancanza di mozioni contrarie la legge è stata approvata grazie al ricorso, per la terza volta in poche settimane, dell’articolo 49.3 della Costituzione che prevede di bypassare il parere dei ‘rappresentanti del popolo’.
Ma i socialisti, già alle prese con una sostanziosa emorragia di consensi negli ultimi mesi, potrebbero pagare assai caro, dal punto di vista politico-elettorale, il risultato ottenuto.
Secondo un recente sondaggio dell’istituto Odoxa per il quotidiano Les Echos, sette francesi su dieci sono “scontenti” per l’approvazione finale del provvedimento. E tra gli elettori di Hollande e Valls solo il 52% si dice «soddisfatta». Nonostante i forti e prolungati disagi provocati da quattro mesi di scioperi e blocchi di servizi e attività produttiva – aerei, treni, porti, depositi di carburante e pompe di benzina – il 55% dei francesi ritiene che la Cgt e le altre forze sindacali che si sono opposte alla Loi Travail facciano bene a riprendere la protesta a settembre nonostante la legge sia stata approvata dal parlamento. O meglio, dal governo, visto l’esautoramento dell’Assemblea Nazionale.
Marco Santopadre
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