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Donbass, attentati a Lugansk e Donetsk

Ieri mattina, intorno alle 3 ora locale, un'esplosione ha parzialmente danneggiato il monumento, eretto nel parco dell'Amicizia tra i popoli, nel centro di Lugansk, in onore ai miliziani caduti nella difesa delle Repubbliche popolari dall'aggressione delle truppe ucraine e delle bande neonaziste agli ordini dei golpisti di Kiev. Poche ore prima, un'autobomba era stata fatta saltare nel centro di Donetsk. Fortunatamente, in tutti e due i casi, non ci sono state vittime.

Il portavoce delle milizie della LNR, Andrej Maročko, ha qualificato l'azione di ieri a Lugansk, nel giorno dell'apertura dell'anno scolastico (per cui era stato raggiunto un parziale cessate il fuoco), come un “atto terroristico sacrilego”. Il complesso in bronzo, “Essi hanno difeso la patria”, opera dello scultore Igor Gorbulin e alla cui realizzazione avevano contribuito anche esperti di Donetsk, Mosca e addirittura di Kiev, era stato inaugurato lo scorso 12 maggio, per l'anniversario della LNR, presente il leader della Repubblica, Igor Plotnitskij. Lo stesso Plotnitskij era stato fatto oggetto di un attentato, il 6 agosto, fortunatamente senza gravi conseguenze, a opera di un gruppo di sabotatori ucraini.

Nella sua dichiarazione, Maročko ha evitato riferimenti a precise forze che starebbero dietro l'attentato di ieri a Lugansk, ma appare chiaro che il sempre più crescente isolamento internazionale del regime ucraino, il senso di impotenza e di pochezza militare che sembra attanagliare i vertici golpisti, nonostante i bombardamenti (è di queste ore la dichiarazione del Comitato russo per le indagini, di disporre di campioni di terreno, che proverebbero l'uso di bombe al fosforo da parte ucraina nel Donbass) con cui continuano a martellare i quartieri civili del Donbass, spinge le frange più ottuse, ma anche più colluse con gli apparati di sicurezza ucraini, a gesti “eclatanti”. Dopo l'attentato del 6 agosto, Plotnitskij aveva detto che esso “è una manifestazione non solo di collera impotente, ma anche di livore. Del resto, essi, partiti da condizioni migliori, stanno distruggendo e perdendo tutto. Mentre noi, nonostante tutti i problemi e i pericoli, stiamo costruendo e acquisendo”.

Non è un caso, che praticamente tutti i leader occidentali abbiano pensato bene di non farsi vedere a Kiev, lo scorso 24 agosto, alle parate in occasione del 25° anniversario della “indipendenza” ucraina. Addirittura il vice presidente USA, Joe Biden, praticamente di casa a Kiev e nei giorni successivi il 24 agosto in visita nel nord Europa, ha dato cilecca alle sceneggiate dei golpisti. Il tema ucraino è sostanzialmente scomparso dai media occidentali e i leader europei cercano appena di salvare le apparenze, facendo finta di voler convincere Petro Porošenko a seguire quanto stabilito dagli accordi di Minsk.

https://www.youtube.com/watch?v=FilxJwIeGqc

L'unica occasione per sollevare la questione del Donbass, è quella, come avvenuto ieri, dell'introduzione di sanzioni USA contro vari Ministri delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk. Una decisione cui ha fatto da contrappeso l'inaugurazione ufficiale a Ostrava, una delle maggiori città della Repubblica Ceca, della prima rappresentanza (aveva iniziato a operare a fine giugno) della DNR in Europa.

Lo stesso Porošenko, tra assenze pubbliche e comparse in stato di ebbrezza, sembra ormai ridotto a mendicare dalla UE l'allargamento delle sanzioni contro la Russia, sulla scia della decisione adottata ieri dal governo USA ai danni di un'altra ventina di imprese e persone fisiche russe. Questo da un lato; dall'altro, le uscite del presidente ucraino, seguite al tentativo di sabotaggio in Crimea, all'inizio dell'agosto scorso e ad alcune denunce occidentali sulle prigioni segrete e le camere di tortura ucraine, manifestano un tentativo di accattivarsi almeno in parte il sostegno occidentale, attenuando la retorica bellicista a uso e consumo delle frange nazionaliste e dicendo, quantomeno a parole, di voler attuare completamente le risoluzioni di Minsk. In ogni caso: parole; oggi, il Consiglio dei Ministri golpisti esaminerà il piano “di sviluppo” ucraino 2017-2020, in cui è prevista la “reintegrazione del Donbass”, ma nessuno dei componenti la junta si è preoccupato di consultare i diretti interessati. Una procedura, scrive Grigorij Ignatov su “Žurnalistskaja Pravda”, che somiglia molto a “un ultimatum di capitolazione senza alcuna garanzia”.

In definitiva, l'atto di ieri notte a Lugansk, nel giorno dell'apertura delle scuole, serve a ricordare tragicamente le decine e decine di bambini e adolescenti rimasti vittime dei razzi e dei colpi di mortaio ucraini. Ieri l'altro a Donetsk, un meeting-requiem aveva reso omaggio ai 72 giovanissimi caduti nella sola DNR, colpiti dalle bombe golpiste nei giardini, nei campi di gioco scolastici, negli ospedali. Piccole vittime che si aggiungono ai 186 giovanissimi scolari e ai 146, tra insegnanti e genitori, che ieri sono stati ricordati alla Scuola n°1 di Beslan, nell'Ossetia settentrionale, nel dodicesimo anniversario della strage compiuta da terroristi ceceni e islamisti nord-caucasici il 1 settembre 2004, a causa della quale anche 126 ostaggi (di cui 70 bambini) sono rimasti invalidi permanenti.

Un ricordo, quello di Beslan, che non ha impedito ieri a molti ucraini di accompagnare i propri figli al primo giorno di scuola, dopo le vacanze estive nelle colonie neonaziste, portando non mazzi di fiori, come tradizione inossidabile dall'epoca sovietica, bensì soldi a sostegno delle truppe che bombardano il Donbass per “liberarlo dall'occupazione russa”. Tant'è: pure nell'occasione dell'attacco a Beslan, gli autori erano stati qualificati dall'Occidente liberale non come terroristi, bensì come “indipendentisti”: quegli stessi “combattenti liberatori” che l'intelligence georgiana ha ora rivelato esser stati addestrati da istruttori occidentali nella Georgia di Mikhail Saakašvili, per essere usati in atti di diversione nelle ex Repubbliche sovietiche.

Non a caso, ieri, Andrej Maročko, per l'attentato a Lugansk, aveva parlato di un atto che poco si distingue da quelli dei terroristi cosiddetti islamisti: i metodi e gli obiettivi degli “indipendentisti” golpisti paiono sempre più coincidere con quelli.

 

Fabrizio Poggi

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