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Tregua in Siria, Usa e Russia ci riprovano. Turchia, sauditi e Israele permettendo

In Siria, così come in Medio Oriente, nessuna delle grandi potenze globali può imporre del tutto i propri interessi e i propri diktat a quelle rivali; solo una guerra su vasta scala – dagli esiti disastrosi e imprevedibili – potrebbe sbloccare una situazione che si è incancrenita dopo decenni di invasioni, occupazioni, "destabilizzazioni creative" di interi paesi nel frattempo deflagrati lasciando spazio ad un integralismo islamista per lungo tempo tollerato quando non fomentato ed ora trasformatosi in ‘nemico comune numero uno’.

Le principali potenze si trovano quindi oggi in una situazione di impasse, portate – in qualche modo costrette – ad intendersi, a mettersi d’accordo a partire da un obiettivo minimo e provvisorio: cristallizzare una situazione che vede la presenza di tutti senza che nessuno prevalga. In attesa, ovviamente, che un cambiamento di fase o qualche evento (preparato o inaspettato) non cambi gli equilibri esistenti concedendo un vantaggio decisivo ad uno degli attori di una “guerra civile” che manifesta oggi in maniera quanto mai plastica quella feroce competizione globale tra potenze di diversa grandezza che squassa il pianeta.

E’ così Stati Uniti e Russia, con l’assenso più o meno convinto di altri paesi coinvolti nel conflitto, ci riprovano, dopo i fallimenti dei mesi scorsi. Quello che non era riuscito nel corso del vertice cinese del G20 è scaturito invece da un’ennesima maratona negoziale durata 13 ore, al termine della quale i rappresentanti di Mosca e Washington hanno annunciato il raggiungimento di un accordo per la ‘cessazione delle ostilità’ in Siria a partire dal 12 settembre. Dal tramonto di lunedì, hanno spiegato il segretario di Stato Usa John Kerry ed il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, le forze lealiste di Damasco dovranno cessare i bombardamenti contro alcune delle forze della cosiddetta ‘opposizione moderata’ (in buona parte gruppi islamisti radicali quando non jihadisti, ma sotto l’ombrello protettivo di Washington e delle potenze sunnite) che in cambio smetterebbero di attaccare l’esercito siriano e i suoi alleati.

La tregua dovrebbe durare almeno una settimana, al termine della quale – in caso di successo – Russia e Stati Uniti dovrebbero dare avvio alla realizzazione di un centro di comando congiunto incaricato di coordinare gli sforzi militari di Mosca e Washington contro lo Stato Islamico e contro il Fronte al Nusra, nel tentativo di “separare i terroristi dall’opposizione moderata” come ha spiegato Lavrov, secondo il quale sono previsti anche raid coordinati da parte delle aviazioni da guerra di Russia e Stati Uniti. “Abbiamo raggiunto – ha specificato Lavrov – un accordo sulle aree in cui avverranno i raid e, in queste aree, sulla base di un’intesa di neutralità condivisa dal governo siriano, saranno operative solo le forze aree russe ed americane”.

A sbloccare la situazione, dopo i dissapori dei giorni scorsi sul comportamento da adottare nei confronti di alcune organizzazioni jihadiste che Washington chiedeva di escludere dalla lista dei gruppi terroristici da continuare a colpire anche in caso di tregua, sarebbe stata la decisione da parte dell’aviazione di Washington di colpire alcune postazioni di Jabhat Fateh al-Sham (Fronte per la Conquista del Levante), nome adottato da Jabhat al-Nusra dopo la furbesca decisione di cambiare nome e di “rendersi autonoma” da al Qaeda.
Nei giorni scorsi un raid condotto dai caccia statunitensi avrebbe ucciso uno dei principali comandanti del gruppo – Abu Hajer al-Homsi  – nella provincia di Aleppo. Inoltre l’inviato speciale americano per la Siria, Michael Ratney, ha indirizzato una missiva alle ‘fazioni dell’opposizione armata’ (senza però citare alcun gruppo o sigla in particolare) per chiedere loro il rispetto del cessate il fuoco annunciato venerdì sera a Ginevra. “Pensiamo che questa tregua possa essere più efficace della precedente perché potrà fermare i raid siriani contro i civili e l'opposizione". "Ancora più importante, vogliamo ottenere una conferma che voi siate pronti ad impegnarvi a rispettare questo accordo", ha scritto Ratney.

Staffan De Mistura, l’inviato dell’Onu per la Siria, si dice convinto che questa volta la tregua verrà rispettata e che permetterà l’apertura di un dialogo politico tra le parti in causa già a partire da ottobre. "Raramente ho visto una tale e reale determinazione russo-americana ad affrontare i problemi che li uniscono: lotta al Daesh e fine del massacro siriano, anche se restano i disaccordi sul futuro assetto politico della Siria" ha dichiarato il dirigente Onu secondo il quale "la parte innovativa dell'accordo è che prevede lo stop all'aviazione siriana, tranne casi specifici" come chiesto insistentemente dal regime turco nei giorni scorsi. In cambio parte delle opposizioni siriane e Washington avrebbero implicitamente accettato la permanenza al potere del presidente Assad almeno all’inizio di una eventuale fase di transizione che metta fine ad una guerra costata circa quattrocentomila morti.

Ma molti degli attori della contesa siriana sono assai meno ottimisti rispetto alla reale tenuta del cessate il fuoco che dovrebbe scattare domani, in occasione dell’inizio della festa del Sacrificio – Eid el-Adha – che segna l’inizio del pellegrinaggio alla Mecca dei musulmani.

Le incognite e gli ostacoli sono molti, e potrebbero essere il risultato delle ambizioni di potenze locali – in particolare Arabia Saudita, Turchia e Israele – assai restie a rispettare le indicazioni di Washington ormai in contrasto con i propri interessi egemonici ed espansionistici nell’area.
Ad esempio il ministro degli esteri turco Cavusoglu insiste sul fatto che “è necessario ripulire la Siria e l’Iraq dai terroristi”, includendo ovviamente nella categoria anche le Unità di Protezione del Popolo, le Ypg finora sostenute tanto da Washington che da Mosca ma che una invasione di truppe corazzate di Ankara e di migliaia di mercenari dell’Esercito Siriano Libero sta ricacciando ad est dell’Eufrate. Inoltre Ankara, dopo aver imposto agli Usa una ‘zona cuscinetto’ turca nel nord della Siria, continua a tirare Obama per la giacchetta, chiedendo il sostegno aereo statunitense alle proprie truppe con l’obiettivo di cacciare lo Stato Islamico da Raqqa e impedire così che la città venga liberata dalle milizie curde o dalle forze lealiste siriane, un duello in corso anche nella cruciale Aleppo.

Mentre Israele ha bombardato alcune postazioni dell’esercito di Damasco in Golan proprio alla vigilia dell’annuncio del raggiungimento dell’accordo sulla Siria – un più che esplicito avvertimento agli ‘amici’ di Washington da parte dello ‘stato ebraico’ – difficilmente le petromonarchie del blocco sunnita capeggiato dall’Arabia Saudita potranno subire senza colpo ferire un assetto che ne penalizza le ambizioni. L’apertura da parte di Riad di un nuovo fronte con l’Iran e tutti gli sciiti, definiti ‘non musulmani’ e di fatto espulsi dall'imminente pellegrinaggio alla Mecca, sembra preludere a un’azione di disturbo che potrebbe vedere una escalation nei prossimi giorni.

Da parte loro sia Damasco sia Teheran non si fidano nel tutto della protezione russa e potrebbero mettere in campo alcune contromisure, tentando di condizionare preventivamente Putin, ben sapendo che Mosca potrebbe cedere facilmente in Siria rispetto alle pretese di Washingon, della Turchia, delle petromonarchie o di Israele in cambio di concessioni da parte di Washington in altri scenari, in altri territori interessati dalla ‘guerra mondiale a pezzi’.

Anche la decisione da parte di 73 organizzazioni non governative – per la maggior parte legate agli Stati Uniti e/o ai ribelli siriani e alle potenze sunnite – di sospendere la cooperazione con le Nazioni Unite per protestare contro quella che in una nota hanno definito la “manipolazione degli sforzi umanitari” da parte del regime di Assad e contro la presunta incapacità dell’Onu di resistere alle pressioni di Damasco, potrebbe rappresentare un grave ostacolo alla distribuzione degli aiuti alla popolazione delle aree assediate e all’apertura di eventuali corridoi umanitari, punti entrambi contenuti nel testo dell’accordo accettato anche dal governo siriano.

Insomma, quella che dovrebbe scattare domani non sarebbe la prima tregua annunciata in pompa magna e risoltasi poi in un nulla di fatto.

 

Marco Santopadre

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