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Turchia, “regime islamo-fascista nel cuore dell’Europa”

"Un regime islamo-fascista nel cuore dell'Europa, un Paese in cui oltre 100 giornalisti sono in prigione, in carceri ridotte in condizioni tremende". Così ha definito la Turchia l'81enne Dogan Ozguden, giornalista e già membro del Partito Operaio Turco (TIP), ospite della prima giornata di "Imbavagliati", il Festival Internazionale di Giornalismo Civile che porta al Palazzo delle Arti (PAN) di Napoli, fino al 24 settembre, alcuni cronisti "scomodi" e invisi ai propri governi, da tutto il mondo. Il focus di avvio è stato dedicato alla Turchia con la presenza di Ozguden, esponente di spicco della sinistra turca, che in carriera ha scritto per i quotidiani Milliyet e Sabah ed è stato redattore di Aksam, il più grande quotidiano di sinistra turco. Il cronista ha descritto la situazione attuale, dopo il fallito golpe: "Il colpo di stato di luglio – ha spiegato – ha solo legittimato una repressione già in atto e intanto la Turchia continua a sedere nel Consiglio d'Europa e si parla ancora del suo ingresso nell'Unione Europea". Il giornalista ha raccontato la sua storia professionale e le forme anche violente di censura che ha subito, che lo hanno portato a subire diversi processi per delitto d'opinione che lo costrinsero a fuggire in Belgio. Ozguden ha ripercorso anche la storia della Turchia moderna, spiegando che persecuzioni e censure alla libertà di stampa vengono da molto lontano, ricordando la persecuzione degli armeni, fino "al più violento dei colpi di stato, quello del 1980 che ha generato una costituzione razzista". Ozguden però non è pessimista: "niente è irreversibile, la Turchia è un grande paese, con tanti giovani, tante etnie e religioni e un islam non monolitico anche se la maggioranza è sunnita".

Ma per ora le notizie che arrivano da Ankara parlano di un ulteriore inasprimento della repressione contro ogni voce critica da parte del regime islamo-nazionalista. Il presidente Erdogan, parlando a New York prima di partecipare all'assemblea generale dell'Onu, ha affermato che lo stato d'emergenza, dichiarato dopo il fallito golpe del 15 luglio, potrebbe essere prolungato oltre gli attuali tre mesi previsti. "Potrebbe essere esteso per tre mesi o un mese o anche di più. I gulenisti si sono infiltrati ovunque. Continueremo a identificare e arrestare i golpisti. Estendere lo stato d'emergenza aiuterà questo processo" ha tuonato il 'sultano'.
 

E proprio in queste ore risuona sui media internazionali la denuncia di Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione, il socialdemocratico e nazionalista Chp, secondo il quale le misure punitive adottate dal governo turco contro sospetti 'gulenisti' e altre correnti critiche dopo il fallito putsch estivo hanno causato "oltre 1 milione di vittime", considendo non solo gli epurati dall'amministrazione statale, dall'esercito, dalla scuola, dalla sanità, dalle Università, dalla stampa, dalla polizia e dalla magistratura, ma anche le loro famiglie. "State arrestando persone senza adeguate indagini. Uno Stato non può accusare nessuno senza prove" ha accusato il leader del Chp, partito che pure dopo il maldestro tentativo di prendere il potere da parte di alcuni settori militari si è ben guardato dal realizzare una qualsiasi mobilitazione contro il regime.

A causa della repressione l'anno scolastico è iniziato lunedì in Turchia con centinaia di migliaia di alunni senza professori; secondo Huseyin Ozev, presidente dell'Unione degli insegnanti di Istanbul, si rischia una situazione di "caos generalizzato per la mancanza di 40-50 mila" professori non ancora rimpiazzati. Nei giorni scorsi il ministro dell'Educazione, Ismet Yilmaz, aveva assicurato che la Turchia intende assumere al più presto 30 mila docenti – ovviamente tutti fedeli al regime – “in modo che non ci sia una carenza di insegnanti durante l'anno". Lunedì agli studenti sono stati consegnati alcuni pamphlet propagandistici realizzati dal ministero dell'Istruzione sul "trionfo della democrazia del 15 luglio e in memoria dei martiri". Negli istituti sono stati mostrati alcuni video sulla notte del tentato colpo di stato e un discorso del presidente Erdogan.
 

Che da parte sua è tornato a chiedere con foga un'azione internazionale contro il predicatore e imprenditore Fethullah Gulen – esiliatosi negli Usa alla fine degli anni '90 – accusato dal regime di Ankara di essere l'ispiratore del fallito colpo di stato di luglio. "Vorrei chiedere a tutti i nostri amici di prendere le misure necessarie contro l'Organizzazione terroristica Fethullah nei loro Paesi per il futuro del loro stesso popolo e per il loro benessere", ha detto all'Assemblea generale dell'Onu.

Nel frattempo un tribunale di Ankara ha condannato a 10 mesi di prigione ciascuno, per violazione delle leggi sugli assembramenti e intralcio a pubblico ufficiale, 45 studenti accusati di aver partecipato alle proteste anti-Erdogan del 2012 in occasione di una visita dell'allora primo ministro all'università Metu per il lancio di un satellite. Durante la contestazione la polizia in assetto antisommossa usò i gas lacrimogeni e i cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti.

Ben peggiore la sorte toccata ad un altro nemico del presidente, l'ex procuratore che aveva indagato su Erdogan, il suo governo ed il suo entourage nell'ambito di un maxiprocesso per corruzione. Seyfettin Yigit, che nel 2013 guidava l’inchiesta che coinvolgeva vari imprenditori e molti esponenti del governo, è stato trovato impiccato nei bagni della prigione di Bursa. L'uomo era stato arrestato la scorsa estate perché accusato di far parte del cosiddetto 'stato parallelo' guidato da Gulen e dalla sua confraternita Hizmet. Su Twitter, l’ultimo procuratore che ha seguito la vicenda del 2013, Mehmet Yuzgec, ha spiegato che il 47enne Yigit era responsabile del ramo di inchiesta che riguardava il coinvolgimento dell’Agenzia turca per lo sviluppo abitativo (Toki).

Sempre nei giorni scorsi un tribunale di Tokat, nella Turchia settentrionale, ha convalidato l’arresto del vice-segretario del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), Alp Altinors, accusato di legami con il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Stessa sorte per altri cinque esponenti della formazione finiti in manette con accuse simili.

Nel frattempo un "appello ai democratici di tutto il mondo e a tutti coloro che hanno a cuore il futuro della Turchia e della regione sulla quale esercita un ruolo di primo piano, perché protestino contro la vendetta che il governo sta portando avanti contro i suoi più brillanti pensatori e scrittori qualora non condividano il suo punto di vista" è stato lanciato da una quarantina di autori e intellettuali turchi e stranieri, da Orhan Pamuk a Elena Ferrante, da Alberto Manguel a Salvatore Settis. Secondo questo "appello per la Turchia e per Ahmet Altan" – importante scrittore arrestato insieme al fratello e accademico Mehmet, con l'accusa di aver 'anticipato' la sera prima il golpe del 15 luglio durante una trasmissione tv – "il fallito colpo di stato non dovrebbe essere il pretesto per una caccia alle streghe nello stile di McCarthy, né lo stato di emergenza dovrebbe essere applicato con scarso riguardo per i diritti fondamentali".

All’inizio della scorsa settimana, l’Associazione turca per i diritti umani (Ihd) ha denunciato il ritorno della pratica della tortura nelle carceri turche. Secondo l’associazione, alcuni strumenti di tortura utilizzati nei decenni scorsi dai militari, in particolare dopo il golpe fascista del 1980, sono stati rispolverati dopo il fallito putsch.
 

Marco Santopadre

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