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Londra. In crisi l’Ukip, spiazzato dalla Brexit

A qualcuno sembrerà paradossale ma l’Ukip, il Partito per l’Indipendenza della Gran Bretagna cresciuto negli ultimi anni a colpi di populismo, euroscetticismo e xenofobia, è stato investito da una profonda crisi. Proprio ora che la maggioranza dei cittadini britannici – in particolare di quelli inglesi – ha votato a favore della Brexit, tradizionale parola d’ordine della formazione di destra che ha messo in crisi l’egemonia dei Tories, l’Ukip ha sembra aver perso coesione, credibilità e anche la bussola. Forse perché molte delle formazioni populiste di destra affermatesi negli ultimi anni in realtà, al di là del linguaggio e delle invettive euroscettiche, non hanno davvero intenzione di mettere in discussione l’adesione dei loro paesi allo spazio politico ed economico comune europeo. Semmai vorrebbero continuare a far parte dell’Unione Europea, godendo dei privilegi economici e commerciali che tale condizione assicura, ma senza sottostare alle decisioni politiche e alle normative imposte da Bruxelles che i settori di piccola e media borghesia di alcuni paesi considerano, a torto o a ragione, contrarie ai propri interessi o valori.

Una volta passata la Brexit, l’Ukip ha perso autorevolezza e funzione, visto che è ora la nuova dirigenza del Partito Conservatore, a partire dalla premier Theresa May, dopo aver mandato a casa David Cameron, a dover gestire la rinegoziazione dei rapporti con l’Europa dei 27, dovendo scegliere tra una hard Brexit e una soft Brexit e alle prese con un’accelerazione del processo di unificazione europea che proprio la fuoriuscita di Londra rende maggiormente possibile. Proprio oggi la premier britannica Theresa May ha auspicato di nuovo un accordo sull'uscita dall'Unione Europea che lasci alle imprese della Gran Bretagna "la massima libertà" di commerciare in seno al mercato unico, mantenendo però il controllo sull'immigrazione e su altri importanti capitoli di natura politica.

E ora lo United Kingdom Independence Party rischia di implodere. E’ di ieri la notizia che Diane James, eletta appena 18 giorni fa alla guida dell’Ukip in sostituzione dell’improvvisamente dimissionario Nigel Farage, ha rinunciato alla segreteria adducendo ‘problemi personali e professionali’ che in realtà coprono una sostanziale impossibilità di governare la rissosa formazione. "E' diventato chiaro che non ho l'autorità sufficiente, né il pieno sostegno dei miei colleghi europarlamentari e dei funzionari del partito, per realizzare i cambiamenti che ritenevo necessari e sui quali avevo basato la mia campagna" ha fatto sapere lei stessa.

Ora, dopo il rapido forfait dell’ex militante del Partito Conservatore, in molti sperano nel salvifico ritorno alla leadership di Nigel Farage che in passato è sempre riuscito a ristabilire un qualche ordine nel magmatico partito spaccato tra diverse fazioni e percorso da numerose fratture ideologiche e di potere.
Ma l’ex leader del partito xenofobo in alcune dichiarazioni alla stampa ha categoricamente escluso un suo ritorno alla guida della formazione politica che ha contribuito a fondare. "Assolutamente no. Ho terminato la mia missione", ha risposto Farage a una domanda del canale televisivo Sky News, ribadendo che per lui la vittoria della Brexit al referendum del 23 giugno scorso è stata il capolinea. "E' ora che il lavoro venga fatto da qualcun altro", ha aggiunto, parlando a Strasburgo, dove da eurodeputato partecipa alla riunione plenaria del parlamento europeo.

Intanto a rubare la scena ai dirigenti dell’Ukip sono alcuni esponenti del governo britannico. In particolare la Ministra degli Interni di Londra, Amber Rudd, che continua a difendere il suo progetto di convincere le aziende ad assumere più cittadini britannici al posto di lavoratori stranieri. In base al suo progetto le aziende potranno essere obbligate a rivelare la percentuale di lavoratori non britannici che impiegano in modo da incoraggiarle ad assumere più dipendenti ‘indigeni’. Secondo Rudd le aziende "se la cavano" senza formare abbastanza lavoratori britannici e l'attuale test sul lavoro interno, che obbliga le imprese a pubblicizzare nel Regno unito per 28 giorni i posti di lavoro liberi prima di cercare manodopera fuori dalla Ue, andrebbe reso più stringente. In una intervista concessa alla Bbc, a proposito dell’eventuale pubblicazione di una "lista nera" della aziende che hanno al proprio servizio troppi lavoratori stranieri, Rudd ha risposto che "uno degli strumenti" in esame per "spingere la gente a comportarsi meglio". “Non dobbiamo ignorare il fatto che la gente vuole parlare di immigrazione e se parliamo di immigrazione non chiamatemi razzista" ha detto la Ministra degli Interni di Londra che però ha ricevuto forti critiche sia da parte delle associazioni degli imprenditori che da parte dei suoi stessi colleghi di partito.

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