A leggere la stampa mainstream l’unico paese europeo in cui si starebbero moltiplicando gli episodi di razzismo e dove il governo starebbe varando misure punitive contro i lavoratori e i cittadini provenienti dal resto del continente sarebbe la Gran Bretagna, in virtù ovviamente del voto sulla Brexit che avrebbe improvvisamente trasformato gli inglesi da tolleranti in razzisti. O, al massimo, l’Ungheria di Orban, anche in questo caso perché guidata da un partito "euroscettico".
Ma una notizia arrivata in questi giorni rovescia completamente un quadretto artefatto – euroscettici intolleranti e razzisti, euro-entusiasti tolleranti e integrazionisti – che è funzionale esclusivamente a sostenere il processo di integrazione europea e non ha alcuna aderenza con la realtà.
Il governo tedesco ha infatti adottato un progetto di legge che limita in maniera consistente l’accesso alle prestazioni sociali previste dal pacchetto "Hartz-IV" finora erogate ai cittadini stranieri, compresi quelli provenienti da altri paesi aderenti all’Unione Europea.
Berlino aveva elaborato questo progetto di legge ad aprile, sulle orme proprio di quanto stava facendo l’esecutivo britannico, allo scopo – si disse – di ridurre il cosiddetto ‘turismo sociale’, cioè la tendenza dei cittadini provenienti da paesi dell’est e del sud Europa a trasferirsi in Germania allo scopo di usufruire del consistente welfare offerto in maniera indiscriminata. In realtà, ad una lettura meno superficiale, la nuova legislazione restrittiva serve più che altro a creare una disparità di trattamento tra i cittadini tedeschi e gli altri, comunitari compresi, in modo da creare un mercato del lavoro stratificato sulla base dei diritti e delle garanzie che possa aumentare la capacità di ricatto da parte degli imprenditori e dello stato. Esattamente come avviene con i cittadini extracomunitari in tutto il continente.
Secondo il testo varato dalla maggioranza – democristiani e socialdemocratici – i cittadini europei che risiedono in Germania senza lavorare non avranno più diritto ad usufruire degli aiuti sociali prima di un soggiorno legale di cinque anni nel paese. In questo modo, al contrario di quanto accadeva finora, saranno costretti ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, accontentandosi di salari e trattamenti inferiori a quelli riservati ai cittadini tedeschi.
“La regola è chiara; chi vive qui, lavora e paga dei contributi ha anche il diritto alle prestazioni del nostro sistema sociale”, ha spiegato il ministro del Lavoro tedesco Andrea Nahles – esponente socialdemocratica ed ex sindacalista – dopo l’adozione del suo progetto di legge in Consiglio dei Ministri.
La nuova legge – che segue misure simili adottate negli ultimi due anni in altri paesi del centro e nord Europa – mira anche a contrastare l’ascesa dell’estrema destra adottando alcuni degli argomenti tipici della propaganda di “Alternativa per la Germania”, che nell’ultimo anno ha visto una netta ascesa dei propri consensi un po’ in tutto il paese.
La controriforma – che interesserà alcune decine di migliaia di lavoratori provenienti da Bulgaria, Romania, Grecia, Italia e Polonia – è stata ampiamente criticata dalle forze di sinistra ed ecologiste e dai sindacati, che considerano incostituzionale negare ai cittadini i mezzi minimi di sussistenza che garantiscano un’esistenza dignitosa. Ma il governo tedesco risponde che era stato il Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea ad aprire le porte, nel 2014, ad un indurimento delle norme concedendo alla Germania di escludere dalle prestazioni sociali quei disoccupati che “non cercano lavoro”. “Quelli che non hanno mai lavorato e dipendono dagli aiuti pubblici devono chiedere le prestazioni sociali nel loro paese d’origine” ha tuonato Andrea Nahles, ex esponente dell’ala sinistra della SPD, che sembra mirare a sottrarre non solo alla Cdu di Angela Merkel, ma alla stessa Alternativa per la Germania argomentazioni che finora sembravano appannaggio delle forze politiche di centrodestra e destra.
Marco Santopadre
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