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Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera dell'ambasciatore in Italia della Repubblica Bolivariana del Venezuela.

La lettera si riferisce ad una assai poco commendevole vicenda italica, tipica di un modo di "far politica" che ha nulla a che vedere con la solidarietà internazionalista e molto con l'ansia di apparire, individuale o di microgruppi.

E' più che ovvio, infatti, che nessun soggetto italiano possa pretendere la "rappresentatività unica" dell'attività solidale nei confronti di un paese aggredito dall'imperialismo statunitense. Ed è altrettanto ovvio che qualsiasi forzatura – involontaria o peggio ancora volontaria – dell'unità nella solidarietà non può che danneggiare gli interessi del paese cui viene espressa.

Nella solidarietà internazionalista, infatti, al centro di tutto sta l'interesse del popolo e della rappresentanza politica che si è liberamente scelto. Nessuno "straniero" può pretendere di anteporre le proprie visioni, ambizioni, ansie di protagonismo.

Sappiamo da sempre che, purtroppo, il terreno della solidarietà internazionalista può diventare invece un "campo ambito" per individui o microsoggetti che poco hanno da dire o da fare nel blocco sociale del proprio paese. O anche, in qualche caso, per soggetti assai poco raccomandabili.

 

Come sempre, non entriamo in polemiche inutili, o addirittura dannose per una Rivoluzione che difendiamo, come in questo caso. Ogni lettore, ogni compagno, ogni attivista internazionalista, ha qui un gran numero di spunti su cui riflettere.

 

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LETTERA APERTA AI COMPAGNI DELLA RETE CARACAS CHIAMA

Non è un piacere avere delle responsabilità assegnate attraverso una legge. Sfortunatamente, però, l’articolo 17, comma 14 della Legge Organica del Ministero del Potere Popolare per gli Affari Esteri obbliga la Missione Diplomatica che dirigo a “INDICARE I MOVIMENTI DI SOLIDARIETÀ NELLO STATO RICETTORE E CANALIZZARE LA LORO INTERAZIONE CON IL VENEZUELA, SOTTO IL COORDINAMENTO DELL’UFFICIO DEL VICEMINISTRO CORRISPONDENTE”. Non è un piacere che tale funzione non venga condivisa con i consolati e nemmeno che queste funzioni di tipo prevalentemente politico siano state attribuite esclusivamente alle Missioni Diplomatiche, lasciano al margine gli uffici consolari.

Non è un piacere perché le responsabilità condivise sono quelle che ci permettono di vivere come collettività. Senza di esse, la convivenza è selvaggia. Noi esseri umani scegliamo deliberatamente tra varie alternative e siamo coscienti che tali scelte avranno delle conseguenze. Per questo, la responsabilità che ne deriva è un onere per la libertà. La responsabilità è un’etica che non distingue tra l’individuale e il collettivo. Ma, in quest’ultimo aspetto, unisce o separa se non viene esercitata con trasparenza o se risulta contaminata da un’azione irrazionale di predominio.

Quanto sopra indicato, si riferisce al VI Incontro della Rete Caracas ChiAma, deciso e convocato a Napoli, da un piccolo settore della Red di Napoli, per essere organizzato a Napoli. La decisione doveva essere presa, a livello istituzionale, durante il V Incontro della Rete Caracas ChiAma, tenutosi a Roma. Ma così non è stato, non si è votato e il silenzio è stato interpretato in un modo privo di buon senso. Il silenzio né acconsente né nega, è solo silenzio. Perciò non legittima nessuna frazione della Rete Caracas ChiAma, in nessun luogo d’Italia, a decidere il luogo in cui si realizzerà il nuovo incontro con i movimenti. Qualsiasi decisione presa al di fuori del V Incontro o decisa unilateralmente non è legittima.

Quando non ci sono norme scritte, le abitudini diventano regole. Ma al di là dell’ordine giuridico borghese, l’etica della responsabilità esercitata con trasparenza ed equilibrio, come atto razionale deliberato, non può marginalizzare l’unità di un collettivo che esiste già da tempo e al quale tutti abbiamo dato forza e vigore per mantenerlo senza divisione. Questo, in Italia, rappresenta una rarità, per via dei contrasti permanenti tra individualità o gruppi di ideologia progressista e non progressista.

La Rete Caracas ChiAma porta un nome che la lega direttamente al Venezuela. Si identifica come un collettivo o un gruppo di supporto alla rivoluzione Bolivariana. Bolívar esigeva lealtà. Alcune volte riuscí ad ottenerla, altre volte no. Giustiziò il Libertador della Guyana a causa della sua slealtà. Ma, più che la lealtà, il Libertador venezuelano metteva al primo posto l’unità. Il Comandante Chávez ha ereditato questa concezione Bolivariana e l’ha fatta sua. Prima di lui, la sinistra venezuelana era un insieme di sigle che non comunicavano niente. Soltanto delle foglie morte, degli inutili apparecchi e gusci vuoti. Guidati da leader che, per vanto e autosufficienza, ascoltavano solo se stessi. Grazie alla sua tolleranza, Chávez è riuscito a unire cattolici, protestanti, massoni, socialdemocratici, cristiano-socialisti, ex guerriglieri, ultra-nazionalisti, rappresentanti di sinistra di tutte le fazioni, trotzkisti, anarchici, femministe e una lunga lista di organizzazioni che finiscono in “iste” o in “ismi”.

Il settarismo, l'immaturità, la mancanza di crescita politica, l’orgoglio, l’arroganza e anche “la mancanza di ignoranza”, come il sarcasmo popolare definisce chi si sente superiore agli altri, hanno reso impossibile la convivenza tra i diversi settori politici in Venezuela. “L’unità all'interno delle differenze” o “la convergenza nella diversità”, erano atti sconosciuti. Quando sono stati scoperti, è iniziato a nascere l’ ottimismo nei diversi poli del potere popolare.

Tutto ciò si esprimeva nella contrapposizione tra collettivi, posizioni personali o di gruppo, che non prendevano in considerazione le maggioranze e pretendevano addirittura di imporsi tramite ricatti e con voti truccati. Voltando le spalle all’interesse della collettività si mettevano d’accordo e il settarismo rappresentava un solido sentimento di gruppo che escludeva, divideva e indeboliva fino a far fallire qualsiasi tipo di coraggiosa esperienza di lotta sociale.

Chávez ci ha insegnato a essere tolleranti, ma anche ad essere fedeli e a perseguire l'unità con lo stesso zelo con cui la storia persegue le utopie. Non la fantasia delle utopie ma quel destino comune a cui Marx diede nome. Quel destino che è o è stato identificato come “unità di classe”, come “il socialismo scientifico”, “l’alternativa alla società capitalistica”, “la società di uguali”, “la società giusta” e anche “la maggior somma di felicità possibile”.

In questa lotta, secondo Chávez, la lealtà è un valore che comporta delle conseguenze. Sono necessari l’armonia e il disinteresse materiale, non la vanità o qualsiasi altra cosa di cui il capitalismo si è adoperato mascherandoci da “dirigenti conseguenti e radicali”. In questo modo appaiono i nuovi Che, che guardano dall’alto in basso ai populisti e ai fascisti, perché sono capaci di dissentire dalle verità presuntamente definitive.

La continuità dell’opera ha bisogno di unità. Unità di forze, unità di materiali, di costanza, unità nell’accettare che la verità è molteplice. Siamo esseri umani e sbagliamo. Non è indispensabile essere a capo di qualcosa per costruire ed elaborare un processo che duri tutta la vita, fino alla nostra morte. L’unità è costellata da grandi decisioni. Quelle piccole non posso fungere da ostacolo alle decisioni anteriori. Da qui un concetto di lealtà meno ortografico, meno da dizionario e più vicino al fare rivoluzionario, più pratico, più reale, meno autocratico. Per Chávez la lealtà divenne unità, l’unità necessaria di tutti gli uomini e le donne che avevano come obiettivo costituire un ordine nazionale e internazionale compatibile con la giustizia sociale.

La politica non deve escludere. Deve essere generosa, liberatrice, con spazi per l’espressione di un sentimento solidale. Se c’è qualcosa di Bolivariano nel pensiero e nel modo di agire di Chávez, lo si trova proprio in quest’impegno nel far sedere allo stesso tavolo non solo i socialisti ma anche coloro che sono vicini per storia, cultura, futuro e per un obiettivo comune. I suoi propositi erano l’integrazione, l’armonia sociale e il desiderio di combattere la dispersione allo stesso modo in cui si perseguita un nemico di classe.

Senza pretendere che alcuni compagni italiani, caratterizzati dall’affanno di protagonismo, facciano propri gli strumenti con cui abbiamo costruito in America Latina un movimento pluri o multiculturale, senza una formula chimica che impedisca scientificamente che la materia si separi, senza capsule di cristallo che evitano contaminazioni, senza essere asetticamente puri come quelle persone di razza superiore che si impegnarono nella creazione del nazionalsocialismo, pieni dei nostri errori, accecati e con un primitivismo aborigeno, umilmente umani, chiediamo alla Rete Caracas ChiAma di Napoli di riconsiderare la propria decisione, perché divide, frammenta e rompe l’unità.

Nel caso in cui non venga realizzata la riconsiderazione che, con rispetto, viene richiesta da questa Missione Diplomatica, considerando che la riferita Rete identifica la Repubblica Bolivariana del Venezuela e in virtù dei poteri conferitigli dall’articolo 17, comma 14 della Legge Organica del Ministero del Potere Popolare per gli Affari Esteri, ed essendo la Rete Caracas ChiAma un’organizzazione solidale presente nello Stato ricettore composta da alcuni movimenti italiani di solidarietà con la Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia, mosso dal solo scopo di convogliare l'interazione di questi movimenti vincolati con il Venezuela, NON AUTORIZZO, in qualità di Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela presso la Repubblica Italiana, la decisione presa da una parte della Rete Caracas ChiAma di convocare il VI Incontro con la sua sola e unica volontà.

Tale decisione, infatti, mette a rischio l’unità dei movimenti di solidarietà che supportano la Rivoluzione Bolivariana e, senza volerlo, potrebbe portare addirittura a contrapposizioni politiche importanti tra funzionari del Consolato della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli e funzionari di questa Missione Diplomatica di Roma o Milano, soprattutto tenendo conto che un’impiegata locale del suddetto Consolato, a cui esprimiamo stima e riconoscimento, riveste un ruolo determinante nella direzione e nelle attività della Rete Caracas ChiAma di Napoli.

Non siamo motivati da conflitti regionali attinenti alla sociologia storica della Repubblica Italiana. Crediamo, in modo trasparente, che l’obiettivo fondamentale dei movimenti di solidarietà italiani con la Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia dovrebbe essere quello di crescere e svilupparsi in tutta Italia e non solo a Roma e Napoli. Non pretendiamo sottomettere la rete alle disposizioni di una Missione Diplomatica o Consolare, ma allo stesso modo, rifiutiamo che un settore, un partito, una regione, o un predestinato, utilizzi il nome del nostro paese con finalità che non ci accomunano.

Altre importanti regioni italiane come la Liguria, la Toscana e le città storicamente fondamentali come Livorno, Firenze, Pisa, Milano, Bologna e Torino, non sono dotate di strutture che rispondono agli interessi di una Rete di cui ha bisogno non solo il Venezuela, ma tutta l'America, per poter rispondere alle campagne mediatiche aggressive e per partecipare al dibattito politico e diplomatico che la comunicazione spinge contro la dignità e la resilienza dei paesi che sono stati colonizzati prima dall'Europa e poi dagli Stati Uniti d'America.

Esprimendo tutta la mia più grande stima per il lavoro che la Rete Caracas ChiAma svolge, rinnovando i sensi della mia stima, considerazione e rispetto verso questa e altre reti di solidarietà, vi saluto affettuosamente.

Il 07 dicembre 2016

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1 Commento


  • maurizio costa

    Dobbiamo impedire in ogni modo, con l’unione e la solidarietà massima, che in Venezuela accada ciò che accadde in Chile nel 1973! E dobbiamo inoltre impegnarci tutti, a livello di comunità mondiale, non soltanto italiana a trascinare davanti ad un tribunale internazionale il governo statunitense per l’infinito elenco di crimini perpetrati nel mondo intero per i loro sporchi interessi macchiati di sangue! Maurizio Costa

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