Il governo Hariri, formato da poco più di un mese, comincia a mostrare segni di discontinuità rispetto al lungo periodo di “impasse” di questi anni. La prima novità, sicuramente cruciale in materia di politica economica, è la ripresa degli studi per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio a largo delle sue coste, ambiti anche da Israele. L’altra notizia è la visita diplomatica del presidente Aoun a Ryadh per ristabilire un dialogo con la petro-monarchia. L’incontro tra il presidente libanese ed il monarca saudita, Salman ben Abdel Aziz, mira a riavviare i rapporti economici e diplomatici diventati difficili in quest’ultimo anno. Il rifiuto saudita per la fornitura di armi all’esercito libanese, commessa da tre miliardi di dollari, e la campagna denigratoria contro Hezbollah, inserito nella lista dei gruppi terroristici da parte dei paesi del Golfo, ha provocato, infatti, un congelamento delle relazioni tra i due paesi. Aoun (con il sostegno di Hezbollah, ndr) si presenta nella penisola araba da vincitore, soprattutto dopo le sconfitte in Siria dei gruppi jihadisti legati ai sauditi, ma pronto a ristabilire un dialogo fondamentale per l’economia libanese.
Aoun ed Hezbollah dettano l’agenda politica del primo ministro Hariri, ex pupillo della petro-monarchia. Dopo numerose e lunghe consultazioni il neo-premier è riuscito a formare un governo di unità nazionale. Una larga coalizione governativa che nei numeri, invece, concede ampio margine di manovra alla corrente dell’”8 Marzo” (Hezbollah, Corrente Patriottica Libera – cristiano maroniti – e Amal). Su 30 ministri, infatti, 19 appartengono a questa corrente (con 5 designati direttamente dal presidente Aoun), mentre il resto fa parte della coalizione opposta del “14 Marzo” che raggruppa le forze del movimento “Futuro” (Mustaqbal) di Hariri o le Forze Libanesi del maronita Geagea. Unica forza rimasta al di fuori del governo di unità nazionale è stato il partito di estrema destra delle Falangi Libanesi (Kataeb), del leader Sami Gemayel, che ha rifiutato di farne parte.
L’attribuzione dei ministeri alle diverse forze politiche conferma i rapporti di forza tra le due correnti. Il segretario della Corrente Patriottica Libera, Gebran Bassil, resta ministro degli Esteri, agli interni è stato nominato il sunnita Nouad Machnouck ed alla difesa un fedelissimo di Aoun, Yacoub Sarraf. La creazione di 5 nuovi ministeri rispecchia, invece, le reali necessità e problematiche che lo stato libanese sta vivendo in questi anni: il ministero per la lotta alla corruzione, vero flagello del sistema confessionale politico libanese, il ministero per i diritti della Donna, quello dei diritti dell’Uomo, quello per i Rifugiati e quello per gli Affari della Presidenza. Quest’ultimo ministero riguarda un altro aspetto non meno importante: i compiti del presidente della repubblica e la sua funzione di “mediatore” con nazioni come l’Iran e l’Arabia Saudita, confermate dall’attuale visita del presidente al monarca Salman.
Il programma politico del governo, però, riflette il pensiero non tanto del primo ministro Hariri, ma piuttosto quello del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. “Per il Libano occorre cambiare la legge elettorale in modo che questa rispecchi la reale volontà popolare – ha spiegato Nasrallah in diverse interviste – ed è necessario risolvere il problema della corruzione politica, dei servizi essenziali (acqua potabile, elettricità e smaltimento dei rifiuti, ndr) e della questione dei profughi siriani”. In politica estera viene confermato il sostegno politico a Bashar Al Assad, viene consolidato il legame economico e militare con l’asse russo-iraniano, cercando, però, di ri-aprire un dialogo con l’Arabia Saudita ed i paesi del Golfo.
Linee governative che appaiono abbastanza paradossali se pronunciate da quel Saad Hariri che, fino a pochi mesi fa, richiedeva la cacciata di Assad, “assassino di suo padre” e sosteneva i ribelli delle diverse formazioni “jihadiste” in Siria. Il neo-premier libanese risulta alla stessa maniera poco credibile per il fatto di essersi posto come il paladino della comunità sunnita contro l’egemonia politica degli acerrimi nemici sciiti di Hezbollah, sostenendo e foraggiando fazioni jihadiste che hanno rischiato di far diventare il Libano un’arena di guerra come la Siria. O, infine, era stato proprio lo stesso Hariri a dichiarare che mai “avrebbe sostenuto Aoun alla presidenza della repubblica” fino al suo totale ripensamento nel mese di novembre ed al suo successivo sostegno per Aoun, scelta che ha di fatto spianato la strada all’elezione del presidente e alla creazione di un nuovo governo.
Il Libano, come del resto il Medio Oriente, è questo: tutto può diametralmente cambiare in maniera rapida e repentina. Dopo diversi anni, infatti, il leader di Mustaqbal ha capito che l’unica maniera per risolvere l’impasse politica interna era il dialogo e la concertazione con Hezbollah. Hariri ha dovuto “piegarsi” verso la strada della conciliazione anche per diversi motivi oggettivi. Il primo è legato alla congiuntura regionale totalmente sfavorevole al suo principale partner e sostenitore politico, l’Arabia Saudita: sconfitta nel conflitto siriano ed in netta difficoltà in quello yemenita. Il secondo è la situazione economica e finanziaria delle società legate ad Hariri, in netta difficoltà fino al verdetto di condanna per bancarotta ricevuto qualche mese fa dal tribunale di Ryadh.
Intervistato in questi giorni dal quotidiano libanese Assafir il primo ministro si è felicitato del “nuovo clima politico che ha portato all’elezione del presidente Aoun” e del suo governo di unità nazionale. “Questo governo dovrà cambiare la legge elettorale, assicurando una quota rappresentativa alle donne” – ha aggiunto Hariri – “e sarà fondamentale risolvere i problemi per il lavoro, i servizi e l’economia di tutti i libanesi”. Meglio tardi che mai.
Stefano Mauro
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