É passato poco più di un mese dalla caduta di Aleppo e dal ritiro delle milizie “ribelli”legate al Fronte Jabhat Fatah Al Sham (ex Al Nusra) ed alla galassia dei gruppi salafiti ad esso affiliati. Rimane, però, ancora vivo il dibattito in Israele riguardo la sconfitta dell’”opposizione jihadista moderata” al regime di Bashar Al Assad.
Israele nutre forti preoccupazioni dopo Aleppo, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza dei suoi confini con la Siria lungo le alture occupate del Golan. La preoccupazione ed il dibattito è talmente vivo da aver fatto affermare al premier Netanyahu che “la caduta di Aleppo mette in serio pericolo la sicurezza di Israele”. Un recente studio del Centro Dayan per gli studi sul Medio Oriente e l’Africa afferma: “quello che è avvenuto ad Aleppo pone delle solide basi circa la possibilità del regime per restaurare l’autorità di Assad al periodo precedente la guerra civile”. L’analisi, pubblicata sul quotidiano Yediot Ahronot, prosegue indicando le prossime tappe e prevede la rapida disfatta di tutti quei gruppi nella zona di Deraa, precedentemente sostenuti da Tel Aviv per supporto logistico, militare e infermieristico, che “sono destinati ad essere sconfitti”. “Senza nessuna ingerenza o intervento esterno”- afferma lo studio – “questi gruppi saranno sostituiti nel territorio del Golan dalle truppe lealiste siriane, dai Pasdaran iraniani e da Hezbollah”.
Gli stessi apparati militari israeliani hanno più volte dichiarato il rischio di un riavvicinamento delle truppe di Hezbollah lungo la linea di confine tra le Alture del Golan e le Fattorie di Shebaa (territori occupati illegalmente, secondo numerose risoluzioni dell’ONU, da Tel Aviv e richiesti rispettivamente dalla Siria e dal Libano, ndr), visto che l’area del “Monte Hermon forma una zona strategica predominante su tutto il territorio sottostante in maniera da mettere in difficoltà il sistema difensivo israeliano”. Gli stessi media filo-governativi “rimpiangono” apertamente i sei anni di guerra civile in Siria “perché dal 2011 ad oggi hanno tenuto lontano dai propri confini le truppe sciite iraniane e libanesi” creando una situazione di totale sicurezza lungo la zona di confine.
Proprio da questo timore nascono le reazioni e le provocazione da parte di Tsahal (esercito israliano) con i recenti bombardamenti dell’aeroporto di Mazzeh, vicino a Damasco, avvenuto la settimana ed il mese scorso. L’obiettivo dichiarato, secondo il quotidiano Ray al Youm, è stato ufficialmente la distruzione di missili Fateh-1 che hanno una gittata di oltre 300 km e possono portare testate da circa 400 kg di esplosivo. Secondo l’editorialista, Abdel Bari Atwan, sono comunque due i punti di analisi e di interesse da analizzare circa i fatti di Mazzeh.
“Quello che colpisce l’opinione pubblica internazionale non è il fatto che Tel Aviv abbia colpito per l’ennesima volta la Siria – afferma il giornalista – ma che piuttosto nessuno stato o capitale araba (riferendosi agli stati del Golfo o alla Giordania, ndr) e occidentale abbia protestato contro l’aggressione ad uno stato sovrano come la Siria, colpita da anni di guerra”.
La seconda considerazione è, invece, legata al fatto che l’esercito israeliano ha colpito Mazzeh con un bombardamento missilistico e non, come ha sempre fatto in passato, con i suoi caccia militari. Questa scelta deriverebbe dal recente abbattimento di un velivolo israeliano, mai confermato da Tel Aviv, e dalla paura circa l’efficacia e la capacità di risposta missilistica delle truppe siriane e delle milizie di Hezbollah con le nuove batterie S-300 di produzione russa.
I bombardamenti israeliani mirano di sicuro a verificare anche il livello di capacità difensiva lungo il confine siro-libanese, come dimostrato dall’abbattimento di alcuni droni spia israeliani in questi ultimi giorni (fonte Al Manar). Provocazioni che potrebbero portare ad una risposta o ad una escalation preoccupante, anche grazie al clima favorevole, a livello interazionale, con l’insediamento del neo-presidente americano Donald Trump ed al suo incondizionato appoggio politico nei confronti del governo di Netanyahu.
Dei primi segni di risposta potrebbero essere già stati lanciati. Diverse fonti interne riportano la notizia di “sospette esplosioni” il 16 Gennaio nella base aerea di Hatzor nella sud di Israele. Il governo ha, però, stranamente sigillato tutto il perimento alla stampa, dichiarando che “le detonazioni sono state causate da un problema tecnico che ha fatto esplodere un deposito di carburante”. Al contrario, secondo alcuni media indipendenti, le esplosioni sarebbero state una risposta di Hezbollah per l’attacco a Mazzeh, magari con i nuovi missili Fateh -1 che Israele pensava di aver distrutto.
Stefano Mauro
pubblicato anche su http://nena-news.it/
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