Fra Barcellona e Madrid aumenta di giorno in giorno la tensione ora che il popolare Rajoy è tornato saldamente in sella al governo dello Stato Spagnolo grazie non solo al sostegno dei suoi popolari e della nuova destra modernista di Ciudadanos, ma anche dei socialisti del Psoe.
Alla minaccia da parte dell’esecutivo regionale catalano di tenere entro il prossimo settembre un referendum popolare sull’indipendenza, il governo e le istituzioni spagnole stanno rispondendo con una raffica di provvedimenti repressivi che però non fanno altro che rafforzare le posizioni di quei soggetti che, nel panorama politico catalano, puntano verso la separazione. Una spirale che si autoalimenta e che, al di là dei goffi tentativi da parte degli ambienti dominanti spagnoli di indurre la borghesia catalana a rinunciare all’indipendenza in cambio della concessione di una più ampia autonomia e di qualche altro privilegio, potrebbe portare presto ad un muro contro muro e prendere la mano agli stessi protagonisti della contesa.
Probabilmente il capo della Generalitat, il liberale Carles Puigdemont, rinuncerebbe volentieri a portare avanti una road map indipendentista più volte rimandata e annacquata, ma le continue chiusure e minacce da parte di Rajoy costringono i ‘democratici di Catalogna’ – così è stato recentemente ribattezzata Convergenza Democratica, storico partito della borghesia regionalista/nazionalista locale – a rincarare la dose e a rispondere per le rime. A sostenere – e incalzare – Puigdemont c’è d’altronde uno schieramento popolare ampio e trasversale che va da settori consistenti della piccola e media borghesia locale – la ‘patronal’ invece è contraria – fino agli anticapitalisti della Cup, passando per Esquerra Republicana e varie associazioni indipendentiste che negli ultimi anni hanno mobilitato ampi settori sociali dando vita a storiche dimostrazioni di forza. Anche alcuni dei settori legati alla sinistra federalista – Podem ma anche gli ecosocialisti – non sono poi troppo lontani dalle rivendicazioni sovraniste.
Tanto che i dirigenti catalani ora non escludono di indire la consultazione per il distacco già a maggio o a giugno, come reazione all’offensiva giudiziaria che ha preso di mira l’ex president e uomo forte di Barcellona, Artur Mas, insieme alla popolare presidente del Parlament, Carme Forcadell.
L’ex capo del governo, fattosi da parte dopo un lungo braccio di ferro con la Cup che chiedeva un passo indietro del responsabile di anni di politiche di tagli e austerity e di repressione dei movimenti sociali, è finito sul banco degli imputati per “disobbedienza grave” insieme a due ‘ministri’ del governo regionale. Nel novembre del 2014 infatti Mas e i suoi rinunciarono ad un vero e proprio referendum sull’apertura di un processo che avrebbe portato all’indipendenza, ma sono comunque finiti sotto processo per aver consentito una consultazione popolare simbolica e autogestita che vide i ‘si’ imporsi nettamente.
Ieri mattina l’apertura del processo presso il tribunale di Barcellona è stato motivo di una nuova grande manifestazione indipendentista: Mas e gli altri due imputati sono stati accolti da circa 40 mila manifestanti e da migliaia di bandiere catalane. “E’ la prima volta che un governo viene processato per aver consentito al popolo di votare”, ha affermato l’ex governatore all’uscita dal tribunale. “Hanno fatto un danno enorme alla democrazia, ma stanno anche facendo un danno enorme all’unica Spagna possibile, che è una Spagna plurinazionale. Siamo determinati ad andare avanti, a continuare. Quello che abbiamo fatto nel 2014 era la cosa giusta, nel modo giusto” si è difeso Mas che, se condannato, rischia l’inabilitazione dai pubblici uffici per ben 10 anni.
Tre anni fa, come detto, il referendum venne alla fine trasformato in un atto simbolico, ma stavolta, assicura Puigdemont, la consultazione si farà con tutti i crismi nonostante le minacce di Madrid. La Costituzione Spagnola – frutto dell’autoriforma del franchismo e del compromesso a ribasso tra regime e partiti antifascisti alla fine degli anni ’70 – non consente un referendum come quello tenutosi pochi anni fa in Scozia e da parte sua Rajoy minaccia esplicitamente “misure coercitive” contro i secessionisti, incalzati dagli ambienti nazionalisti spagnoli e dalla stampa reazionaria che chiede al governo statale di utilizzare “tutti gli strumenti” a propria disposizione. Il quotidiano di destra El Mundo ha esplicitamente invitato il primo ministro a “impedire il referendum con la forza”, l’ex quotidiano franchista Abc ha chiesto di “fermare la sedizione a qualsiasi costo”.
Madrid, usando l’articolo 155 della Costituzione, potrebbe assumere il controllo della polizia regionale catalana, i Mossos d’Esquadra, e nel caso anche ordinare alle forze dell’ordine di impedire l’accesso ai seggi elettorali il giorno del voto. Grazie alla maggioranza assoluta detenuta in Senato, il PP e i suoi alleati potrebbero addirittura sospendere l’autonomia della Catalogna ed esautorare il governo regionale.
Vedremo presto se si andrà allo scontro frontale, e fino a dove saranno disposti ad arrivare i due schieramenti.
In attesa di capire se e quando verrà fissato il referendum, nei giorni scorsi Puigdemont ha promesso di far scattare già a luglio un sistema informatico propedeutico alla creazione di un fisco indipendente gestito dalla “Repubblica Catalana” e indipendente rispetto al sistema di riscossione spagnolo delle tasse. L’avvio del nuovo sistema è stato confermato dal segretario dei servizi fiscali della Generalità di Catalogna Luis Salvadò. In un primo tempo il sistema servirà alla raccolta centralizzata delle imposte già di responsabilità della regione catalana, cercando così di evitare la ovvia reazione di Madrid e della Corte Costituzionale.
Un passo importante ma insufficiente, accusano i settori più radicali della sinistra indipendentista riuniti nella coalizione Cup-CC, che chiede più coraggio e più determinazione al governo composto dai Democratici di Puigdemont e alla Sinistra Repubblicana di Oriol Junqueras. La formazione anticapitalista, che dopo le elezioni che determinarono un’ampia maggioranza indipendentista al Parlament decise non senza sofferenze e strappi interni di sostenere dall’esterno l’esecutivo Puigdemont, è stata di nuovo scossa nelle scorse settimane da un aspro dibattito sulle prospettive a medio termine.
La direzione della Cup – che riunisce diverse organizzazioni, collettivi e singoli – ha deciso a maggioranza di votare il bilancio approntato dall’esecutivo Puigdemont. Per i difensori del compromesso, l’approvazione della Finanziaria e la tenuta del governo regionale costituiscono una condizione indispensabile alla possibilità di tenere insieme uno schieramento politico variegato ma comunque pronto allo strappo con Madrid. Ma dentro le Candidature d’Unità Popolare alcune forze consistenti – a partire da Endavant – avvertono che il sostegno da parte degli eletti anticapitalisti ad una legge di bilancio improntata all’austerity e al liberismo ed in continuità con gli ultimi anni di gestione Mas allontanano la formazione dagli interessi materiali e dalle aspirazioni al cambiamento sociale, oltre che alla rottura nazionale, che alle ultime elezioni hanno permesso il boom elettorale della coalizione anticapitalista e indipendentista.
Molto significativa ed esplicita la presa di posizione da parte dei ‘dissidenti’. Scrive Endavant in un comunicato diffuso lo scorso 31 gennaio:
“Prima di tutto, vogliamo sottolineare che condividiamo con un’ampia maggioranza dei membri della Cup il fatto che siamo di fronte ad una Finanziaria antisociale, liberale e continuista; (…) Differiamo però dalla Cup-CC rispetto alla decisione presa di sostenere questo bilancio a partire dall’analisi delle conseguenze che può comportare: è evidente che a corto termine l’approvazione del Bilancio potrà permettere una maggiore capacità di azione della Cup sul terreno della politica parlamentare. Ma al di là dell’ambito istituzionale, sul terreno della costruzione di una alternativa politica globale le conseguenze della decisione adottata potranno essere molto gravi a lungo termine. Perché affermiamo che occorre dire No alla Finanziaria? (…)
Negli ultimi mesi, il governo (regionale, ndt) ha utilizzato il referendum come uno strumento di nuovo ricatto per continuare ad alimentare i privilegi e le prebende dell’autonomismo, le politiche antisociali e di austerità e la perpetuazione del doppio sfruttamento delle donne, a casa e sul lavoro, che invece il processo d’autodeterminazione dovrebbe aiutare ad estirpare. La nostra posizione è consistita nel rifiutare il ricatto praticato dal Govern per condizionare il referendum, una rivendicazione e una necessità sostenute dalla maggioranza sociale, a una legge di Bilancio realizzata sulla base degli interessi di una minoranza. Crediamo che lo slogan del governo “senza bilancio non c’è referendum” costituisce un vincolo assolutamente arbitrario che ha come unico obiettivo quello di perpetuare il programma economico liberale e i privilegi blindati da 37 anni di autonomia. Crediamo che legare il referendum al mantenimento dello status quo e dei privilegi dell’autonomismo, e quindi al supersfruttamento delle classi popolari e delle donne, costituisca in pratica un attacco al referendum e soprattutto alla possibilità di vincerlo.
Per celebrare il referendum non è necessaria l’approvazione della Finanziaria. Questa legislatura, denominata eccezionale, non si è costituita per gestire un’autonomia che si è logorata e che non serve per risolvere i problemi della società catalana, ma per esercitare l’autodeterminazione. Non rifiutiamo, non l’abbiamo mai fatto, quelle alleanze che permettano di organizzare e tenere il referendum, compresa l’alleanza con le classi sociali rappresentata dal Partito Democratico Catalano: ma il contenuto politico e sociale di questa alleanza, cioè il punto d’unione dell’indipendentismo, non è e non può essere un accordo sul modello politico, sociale ed economico che un accordo sul bilancio sottintende. L’unico punto d’unione possibile deve essere la celebrazione di un referendum vincolante sull’indipendenza. Voler obbligare tutto l’indipendentismo ad accettare il sostegno al Bilancio non aiuta ad ampliare la sua base sociale, ma al contrario rischia di impedire alla sinistra di crescere e diventare maggioritaria nella società catalana.
Per vincere il referendum, le classi popolari – continua il comunicato di Endavant – devono vedere l’indipendenza come una possibilità di migliorare le proprie condizioni materiali di vita. Un’opzione che viene negata da ogni decisione dilatoria, che afferma solo gli interessi della classe agiata. Come diciamo spesso, alcuni vogliono l’indipendenza perché nulla cambi; noi abbiamo bisogno dell’indipendenza per cambiare tutto. (…)
Per tutti questi motivi, Endavant (Organizzazione Socialista di Liberazione Nazionale) non può che rifiutare la decisione della CUP-CC. (…) Lo facciamo anche a partire dall’autocritica per la nostra insufficiente capacità di contribuire all’organizzazione popolare, alla costruzione di un contropotere popolare capace di rigettare i ricatti delle classi dominanti, e di affermare nelle strade ciò che non siamo riusciti a consolidare nel Parlament. Consideriamo urgente, per l’insieme della sinistra indipendentista, e anche per l’insieme dei movimenti popolari, recuperare le strade, e non lasciare nelle mani delle istituzioni la soluzione dei conflitti sociali e politici del nostro tempo. (…)
Facciamo appello a combattere tutti i tagli previsti dai bilanci approvati dalle varie istituzioni nei Paesi Catalani. Occorre che la sinistra indipendentista sostenga la mobilitazione per combattere la chiusura delle scuole, il collasso degli ospedali, le privatizzazioni e le esternalizzazioni per quanto mascherate, l’impatto di queste privatizzazioni sulla vita delle donne, le pressioni speculative contro il diritto all’abitare e i tagli dei servizi basici. (…) Occorre cominciare a lavorare fin da subito per la ricostruzione di un programma di autodeterminazione da un punto di vista popolare e per l’insieme dei Paesi Catalani, che contrasti la montatura progressista della perpetuazione del regime autonomia di ‘transizione nazionale’, e che ristabilisca il legame tra liberazione nazionale, liberazione sociale e liberazioni di genere. La costruzione di questo programma dovrà partire da una profonda autocritica dell’insieme della sinistra indipendentista e dell’Unità Popolare, e probabilmente occorrerà avviare presto un processo di rifondazione per tutto questo spazio politico”.
Marco Santopadre
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