Da diversi giorni le truppe ucraine hanno ripreso a bombardare pesantemente il Donbass, ancora non si è in grado di fare una stima definitiva dei morti e feriti, ma di certo sono molti e si tratta prevalentemente di civili.
Le forze speciali ucraine hanno realizzato diversi attacchi dinamitardi nel territorio del Donbass, nell'ultimo, dello scorso 8 febbraio, è stato ucciso il popolarissimo comandante Givi del Battaglione Somalia. Le truppe delle Repubbliche Popolari sono fatte bersaglio con armi individuali e artiglieria leggera, strumenti maggiormente adatti a colpire la prima linea, che è caratterizzata da piccole postazioni sparpagliate. Per colpire le retrovie, dove si trovano i civili, gli ucraini stanno utilizzando artiglieria pesante, razzi di tipo Grad e Uragan: strumenti con una maggiore gittata e dalla micidiale capacità distruttiva. L'anomalia di questa ultima offensiva è innanzi tutto che gli ucraini stanno sovente sparando "a casaccio", senza mirare a nulla in particolare: puntano verso le città e aprono il fuoco. Una pratica che la Convenzione di Ginevra considera come crimine di guerra. Per questo motivo la maggioranza delle vittime sono civili e non miliziani.
L'altra anomalia di questa fase del conflitto è che i bombardamenti ucraini non sono finalizzati ad alcuna avanzata territoriale. Di norma, il compito dell'artiglieria è di preparare l'offensiva di terra, ma la fanteria e i veicoli blindati quasi non si sono mossi dalle loro posizioni. Le forze armate ucraine stanno spargendo morte e distruzione fine a se stessa.
Il 12 febbraio è il secondo anniversario della firma dell'accordo di Minsk, il primo serio tentativo di trovare una soluzione diplomatica alla crisi nell'ex-Ucraina. In realtà non si tratta di un singolo documento, ma più di un percorso iniziato dalle prime fasi della crisi e che ha avuto una sua evoluzione, subendo uno stallo dalla primavera 2015.
Gli Stati che hanno dato vita a questa iniziativa sono sostanzialmente: Francia, Germania, Ucraina, Russia. Entrambe le Repubbliche Popolari del Donbass hanno partecipato al raggiungimento dell'intesa. I lavori si sono svolti con la cooperazione dell'OSCE. Nei testi si cita spesso il "Gruppo trilaterale di contatto", che sarebbe un team formato da rappresentanti di OSCE, Russia e Ucraina. Quello a cui si fa comunemente riferimento, sarebbe più correttamente chiamato "Accordo di Minsk II", la versione dell'intesa datata 12 febbraio 2015 (il primo "Accordo di Minsk" era del 5 settembre dell'anno precedente). Entrambe le versioni dell'accordo sono finalizzate a trovare una soluzione transitoria alla crisi, cioè: porre fine agli scontri, proteggere i civili, ripristinare le condizioni economiche e sociali di prima della guerra, status di combattenti e prigionieri, ecc. "Minsk II" non era finalizzato quindi a trovare una soluzione per il futuro del Donbass, si parlava di controllo delle frontiere da parte del Governo ucraino (punto 9, uno dei più contestati) e di elezioni, ma senza scendere nel dettaglio. L'accordo fissava anche delle ben precise scadenze temporali.
Dopo la firma dell'accordo in pochi si fecero illusioni sulla sua tenuta, infatti praticamente tutti i punti vennero violati e le scadenze non rispettate.
Il tallone d'Achille del testo è che non scioglieva il nodo principale: il futuro del Donbass. Essendo vago su questo aspetto, tutto il resto dell'impianto poteva prestarsi a letture contraddittorie, che hanno portato entrambe le parti alla diffidenza. In sintesi, gli ucraini temevano che potesse rappresentare la fine dell'unità nazionale (già compromessa con la perdita della Crimea) e le Repubbliche Popolari temevano in primo luogo che l'accettazione di alcuni punti potesse porre fine alla loro esistenza (in primis il già citato punto 9), ma anche che quell'intesa formalizzasse la "vittoria mutilata" della rinuncia a liberare con le armi il resto dell'ex-Ucraina. Un tradimento per tutti coloro che si trovavano dall'altra parte della linea di confine. Per questo l'accordo divenne subito carta straccia.
Ma da metà del 2016 le Repubbliche Popolari decisero unilateralmente di dare una nuova chance a quell'accordo, sia perché era l'unico tentativo al momento formalizzato, ma anche perché tutta la popolazione dell'ex-Ucraina rivendicava a gran voce la pace. I cittadini dei territori sotto il controllo del Governo di Kiev chiedevano di porre fine ad una sanguinosa guerra fratricida che stava trascinando il paese alla bancarotta, mentre i cittadini del Donbass volevano semplicemente garantire il proprio futuro. La linea di contatto (cioè il fronte) non si era praticamente più mosso da quando c'era stata la firma dell'accordo, quindi si intravedevano i margini per provare a ridare slancio all'intesa.
Ad un osservatore esterno può risultare inspiegabile l'ansia della popolazione del Donbass di stabilizzare al più presto la situazione, anche a costo di importanti rinunce. Il motivo principale risiede nel fatto che serpeggia il timore (probabilmente indotto ad arte) di ritrovarsi in una sorta di "Operazione Tempesta".
Durante la guerra in Jugoslavia la popolazione di etnia serba delle Kraijne si sollevò contro il Governo croato e nell'aprile del 1991 dichiarò l'indipendenza da Zagabria dando vita ad una repubblica; questa mantenne l'indipendenza per più di quattro anni, ma il 4 agosto 1995 le truppe croate, grazie all'assistenza e alla copertura aerea fornita dall'aviazione della NATO, entrarono nei territori serbi. L'operazione prevedeva la completa pulizia etnica della popolazione serba: più di mille persone furono trucidate sul posto e altre centinaia di migliaia furono costrette ad abbandonare le loro case che per lo più vennero distrutte per impedire il ritorno o future rivendicazioni. In Europa questa pagina della nostra storia è stata rimossa perché ci inchioda a terribili responsabilità, ma in altre parti del mondo se la ricordano molto bene.
Il popolo del Donbass sa che se Kiev riuscisse a rimettere le mani su queste terre per loro significherebbe o la morte o la deportazione, quindi molti preferiscono "la certezza di una piccola vittoria" a "la prospettiva di una grande vittoria".
Dopo la prima telefonata tra Trump e Poroshenko (4 febbraio 2017) è addirittura aumentato il clima di confusione. Nella stringata nota ufficiale che la Casa Bianca ha diramato dopo la conversazione, si afferma che gli USA lavoreranno con "Ucraina, Russia e tutte le altre parti coinvolte per aiutarli a ripristinare la pace lungo il confine". I media ucraini sostengono che questa frase sia un nullaosta all'invasione del Donbass e fanno pressioni in tal senso su Governo e forze armate. Al contrario nelle Repubbliche Popolari del Donbass quella frase si legge come una disponibilità degli USA a riprendere i colloqui per rilanciare gli accordi di Minsk. Questa seconda interpretazione sarebbe anche avvalorata dal fatto che potrebbe contenere la disponibilità a risolvere il punto 9 dell'accordo (controllo ucraino delle frontiere), il più contestato dalla popolazione del Donbass che teme la presenza di truppe ucraine sul proprio territorio.
L'Europa invece non sta facendo nulla, aspetta che USA e Russia trovino un'intesa, vive da spettatore una vicenda che la dovrebbe vedere protagonista. Sarebbe anche nell'interesse dell'Europa di trovare al più presto una soluzione diplomatica al conflitto, il modo più semplice è proprio ripartire dall'accordo di Minsk che vede tra i firmatari due importanti stati europei.
Per questo, nonostante il costo, in tanti optano per la sicurezza offerta da una pace immediata e "Minsk II" può essere la risposta.
Gli spiragli di pace ci sono, ma il tempo a disposizione non è infinito. La pace è quotidianamente minata dagli attacchi ucraini e presto la situazione potrebbe precipitare. Chi vuole davvero la pace si deve attivare subito.
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