I prigionieri politici palestinesi cominceranno uno sciopero della fame ad oltranza dal prossimo 17 Aprile, giornata commemorativa del “prigioniero politico palestinese”. L’inizio della campagna ufficializzerà ciò che ormai avviene da diverso tempo nelle carceri israeliane: le proteste dei detenuti palestinesi e gli scioperi della fame di diversi prigionieri. Una campagna di massa, come quelle del 2012 e del 2014, che obbligò il governo israeliano a trattare con i prigionieri e che portò alla sospensione della detenzione amministrativa da parte di Tel Aviv: accordo, però, durato soltanto pochi mesi nel 2015.
Attraverso un comunicato, lo scorso 24 Marzo, i prigionieri politici di Fatah hanno indetto uno sciopero della fame ad oltranza per “protestare contro le brutali e disumane condizioni all’interno delle carceri israeliane”. Il leader della protesta e portavoce sarà Marwan Barghouti, esponente di quella parte di Fatah contraria alla linea politica del presidente Abu Mazen e favorevole all’interruzione degli accordi di cooperazione e sicurezza con Tel Aviv. Accordi che hanno portato, in questi ultimi mesi, all’incarcerazione di centinaia di palestinesi e all’omicidio di esponenti, come l’attivista e intellettuale Basil Al Araj: assassinato dai soldati israeliani con la complicità delle forze di sicurezza palestinesi.
Un esponente di Fatah, Muhammad Habbad, ha dichiarato che l’adesione allo sciopero da parte di tutte le forze politiche è “un’occasione storica” per i prigionieri politici. Numerosi detenuti di Hamas, del FPLP e del Jihad Islamico hanno aderito all’iniziativa. Le adesioni sono state spontanee visto che sia Hamas che il FPLP non hanno ufficialmente preso parte alla protesta. In un comunicato il FPLP, pur solidarizzando con Barghouti, ha respinto la proposta poiché “l’iniziativa non è stata concordata ufficialmente e non è stata presentata come una protesta di tutte le forze politiche palestinesi”. Lo stesso segretario del Fronte Popolare, Ahmad Sa’adat (detenuto da diversi anni), non ha assunto una “posizione ufficiale” di sostegno anche se ha sollecitato nel prossimo futuro “un maggiore coordinamento per una lotta che dovrebbe essere di tutti i palestinesi per tutti i prigionieri politici”.
Le principali rivendicazioni della protesta riguardano le visite ai detenuti, la salute dei prigionieri e la tutela delle donne incarcerate. Per le visite, ad esempio, i prigionieri richiedono il ritorno della seconda visita mensile, sospesa in questi anni, una durata dei colloqui che passi da 45 a 90 minuti e minori restrizioni per le visite dei parenti fino al secondo grado. Molto più preoccupante è la questione delle condizioni sanitarie. I detenuti, infatti, chiedono un miglioramento complessivo dei servizi sanitari del “Ramleh Prison Hospital” che sono considerati “pessimi” in confronto agli standard di Tel Aviv. Viene, inoltre, richiesto l’accesso di dottori per visite mediche specialistiche all’interno delle strutture detentive nei confronti dei malati gravi o dei disabili e l’abolizione dei costi delle cure a carico dei prigionieri. Per le donne incarcerate viene, infine, invocata l’eliminazione di atteggiamenti “provocatori e umilianti”da parte delle IPS (Servizio Penitenziario Israeliano) o le restrizioni per le visite dei figli delle detenute.
Un ultimo “punto” centrale della protesta riguarda l’utilizzo della “detenzione amministrativa”. Questo tipo di detenzione è uno strumento repressivo da sempre utilizzato dall’occupazione israeliana per imprigionare arbitrariamente i palestinesi. Attraverso il suo utilizzo, infatti, l’esercito di Tel Aviv imprigiona i palestinesi senza accuse né processo per periodi da uno a sei mesi, rinnovabili senza limiti di reiterazione. Ai detenuti amministrativi (oltre 500 nell’ultimo anno) può essere impedito di vedere un avvocato fino a 90 giorni ed i detenuti non vengono informati o formalmente incolpati sui relativi capi di accusa.
Secondo l’associazione palestinese per i diritti dei prigionieri politici, Addameer, i numeri delle incarcerazioni e della repressione sono sempre più preoccupanti: 6500 i detenuti nelle carceri, 61 donne di cui 12 minorenni, 300 ragazzi e adolescenti e 24 giornalisti. Addameer, infine, chiama “ad una mobilitazione internazionale di solidarietà a fianco dei prigionieri politici palestinesi per il 17 Aprile” visto che questa è “un’occasione per ricordare la “questione palestinese” ormai tristemente accantonata in questi anni.
Stefano Mauro
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