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Crisi sociale e proteste nella Guyana Francese

Il mese scorso, una Francia immersa nella campagna elettorale per le presidenziali è stata scossa da una voce proveniente dall'ultima colonia sudamericana: «Nou gon ke sa!», «Ne abbiamo abbastanza!» urlano, nella lingua creola, migliaia di persone nella Guyana Francese, mentre bloccano le vie d'accesso ai suoi punti economici più importanti. Solo così, toccando il profitto coloniale, possono ottenere l'attenzione di uno Stato che pensa a questo Paese unicamente nell'interesse dei propri capitalisti.

 

I paria della Repubblica

Il poeta guyanese Leon Gontran Damas – con Césaire e Senghor uno dei massimi esponenti del movimento della Négritude – in uno dei suoi versi definì il suo Paese natale come «la terra dei Paria». Espressione retorica ma veritiera, per descrivere una Regione storicamente relegata, dal colonialismo, al gradino più basso dell'Impero e della Repubblica Francese. I francesi riuscirono a consolidare il proprio dominio soltanto nel 1677, dopo una contesa con inglesi e olandesi, per farne un avamposto a protezione dei propri possedimenti antillani, punta del commercio triangolare atlantico. L'assenza di ogni fine produttivo ha fatto sì che la Guyana diventasse nota come l'énfer vert (Inferno Verde), in cui ogni tentativo di costituire delle piantagioni profittevoli era destinato a fallire, date le ragioni geografiche (l'ampia estensione di foreste), economiche (l'alto costo della navigazione e degli schiavi) e il disinteresse della Madrepatria per lo sfruttamento del territorio. Perciò ci fu un lungo secolo di stagnazione – escludendo le piantagioni di cacao e caffè introdotte dai gesuiti, la cui espulsione fu seguita da una massiccia fuga di neri – interrotto nel 1763, quando la sconfitta della Francia nella Guerra dei Sette Anni – con la conseguente perdita di buona parte delle colonie – spinse Luigi XV al tentativo di valorizzare questo dominio, sempre in funzione delle Antille, cui bisognava garantire una fonte sicura di beni di sussistenza. Tuttavia, la spedizione inviata a Kourou finì tragicamente: moriranno in breve tempo circa 6000 persone, su 10000, tra malattie e stenti.

Sotto Luigi XVI fu elaborato – e mai attuato – un progetto di bonifica per la coltivazione delle terre «basse», sul modello coloniale olandese in Suriname. Tra la Rivoluzione Francese e la prima metà del XIX secolo, l'economia guyanese sarà sconvolta da diversi eventi: la prima abolizione (1794) e poi restaurazione (1802) della schiavitù, l'imposizione del blocco continentale inglese, l'occupazione da parte di portoghesi e britannici sino al 1817. L'ultimo progetto fallito di colonizzazione, nell'epoca dello schiavismo, fu quello di Mana (1820-1846), su iniziativa dalla religiosa abolizionista Anne-Marie Javouhey, che con 19000 persone – di cui 13000 neri – mise su coltivazioni di manioca, riso e banane.

L'abolizione definitiva della schiavitù (1848) portò all'abbandono delle piantagioni e dei lavori di drenaggio del terreno. Nel 1852, Napoleone III tentò di ovviare al problema di manodopera con la creazione del celebre bagno penale, utilizzando il lavoro forzato dei prigionieri. Nel 1855, con la scoperta di una miniera d'oro nell'affluente dell'Approvague, iniziò una nuova fase della storia della colonia, caratterizzata dall'estrazione dell'oro. Lo sfruttamento delle risorse aurifere rappresentò il modo in cui la Guyana fu integrata nel capitalismo imperialista dell'ultimo quarto del XIX secolo, con importanti effetti distorsivi: i settori agricolo e artigianale furono quasi completamente abbandonati in favore del solo sfruttamento minerario, da cui dipendevano almeno 4/5 dell'export, generando un fortissimo deficit commerciale; la mancata politica di diversificazione della ricchezza generata non permise di porre le basi per lo sviluppo endogeno – anche se migliorarono le condizioni di vita della popolazione e nacque la prima borghesia creola – favorendo innanzitutto i commercianti intermediari della metropoli.

Nel 1950 l'attività di estrazione cessò; nello stesso periodo viene chiuso definitivamente il bagno penale della Caienna. Inizia la terza fase della storia guyanese, con la fine della condizione formale di colonia in favore della «dipartimentalizzazione», a seguito della Legge del 1946 che istituisce i Dipartimenti d'Oltremare in Guyana, Martinica, Guadalupa e Riunione. Questa nuova forma istituzionale fu salutata come il raggiungimento dell'uguaglianza con la metropoli, lungo un processo iniziato con l'abolizione della schiavitù (Broz, 2010). La sociologa Marie José Jolivet (1982) ha illustrato molto bene gli effetti dell'assimilazionismo francese – «idéologie du progrés» – sul colonizzato creolo guyanese. L'istituzione scolastica e il consumismo sono i due veicoli di questa adesione ideale alla Francia, declinata in modo diverso a seconda dell'appartenenza di classe: dal sottoproletariato sino alla borghesia. Per la fascia più povera dei creoli, l'integrazione nella Repubblica è agognata in quanto ricondotta al soddisfacimento delle necessità materiali, con l'accesso alla società dei consumi e alla proprietà della casa; per la classe media – lavoratori autonomi e impiegati pubblici – come per la borghesia – estrattori, professioni liberali, alti esponenti di dell'amministrazione pubblica – l'appartenenza alla Nazione Francese è connessa all'affermazione professionale, per cui è ritenuta necessaria la legittimazione dei Bianchi.

Il simbolo della modernizzazione francese, oggi, è il Centro Spaziale costruito a Kourou nel 1966; questo polo altamente tecnologico è l'ultima destinazione d'uso che la Francia ha scelto per la Guyana, in cui lo sviluppo di altri settori è possibile solo nella misura in cui non pone in discussione la sua condizione periferica.

 

Alta tecnologia e bidonville: la situazione socioeconomica della Guyana

Nella classifica delle regioni dell'Unione Europea per indice di competitività 2016, pubblicata lo scorso febbraio (http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/work/rci2016_scorecards.pdf), la Guyana Francese si trova all'ultimo posto (263° con -1.49). Ciò significa che si tratta di uno dei peggiori contesti sociali, politici, economici comunitari in cui sarebbe conveniente avviare un'attività imprenditoriale o effettuare un investimento. La traiettoria storica su illustrata è già piuttosto eloquente sulle ragioni del sottosviluppo contemporaneo, in particolare su quanto sia stato impossibile cogliere le opportunità della rivoluzione industriale; poco è stato fatto, negli ultimi settant'anni, per cambiare la condizione strutturale della sua economia.

«Non possiamo continuare a lanciare razzi dal fondo di una bidonville» affermava nel 1985 l'allora Presidente François Mitterrand. Trent'anni dopo, il Centro Spaziale Guyanese continua ad essere emblema di modernizzazione coloniale comparabile – per spreco, disincentivi e narrazione propagandistica a sua legittimazione – ad una consistente occupazione militare come quella che affligge Guam, Hawaii, Okinawa. Per questo non sorprende che la società civile guyanese l'abbia identificato come bersaglio principale della propria rivendicazione attuale, vedendo in esso le contraddizioni del proprio Paese, la prova del disinteresse del governo centrale e di una diseguaglianza non più tollerabile.

Un manifestante, intervistato da un giornale francese (http://www.lavoixdunord.fr/143204/article/2017-04-04/guyane-kourou-la-fusee-decolle-mais-n-pas-de-lumiere), ha affermato: «i razzi decollano ma da noi manca la luce!». Non si tratta di una percezione del popolino. Mentre l'Arianespace – l'azienda che con l'ESA e il Centre National d'Études Spatiales, gestisce il polo spaziale – ha realizzato un giro d'affari pari a 1.4 miliardi di euro nel 2015, in Guyana continuano ad esserci numerose famiglie in abitazioni prive di elettricità (13%), acqua potabile (20%), bagni e docce interne (28%), raccordo con un sistema di fognatura (63%) – (IEDOM, 2010). Inoltre, si riscontra una situazione sanitaria ed educativa scadente: ci sono solamente 51 medici ogni 100000 abitanti (contro la media francese di 103), un alto tasso di non diplomati (50% contro il 17% in Francia) e basso tasso di laureati (15.2% lauree, contro il 26%), alto tasso di dispersione universitaria (20%).

L'attività aerospaziale è la ragione più rilevante della stretta che la Repubblica tiene sulla sua enclave in America Latina; oltre a ciò, essa è anche un mercato di sbocco importante per le imprese francesi (40% import dalla Francia, 300-550 mln dal 1995 al 2015; 13% dalle Antille, in cui il dominio economico è comunque di coloni bianchi). La sua funzione di luogo di consumo è alimentata anche dalla dimensione pletorica del settore pubblico – con impieghi e trasferimenti (40% PIL, secondo la stima di Oliver Sudrie, economista del Cemotev, specializzato nei Territori d'Oltremare http://www.liberation.fr/futurs/2017/04/07/la-guyane-malade-economique_1560987), senza dimenticare anche gli importanti contributi europei giunti tramite i vari fondi volti a realizzare gli obiettivi di convergenza (511.3 mln 2007-2013; 620.5 mln 2014-2020) – che con la sua funzione assistenziale, cresciuta notevolmente durante gli ultimi settant'anni, è un ottimo palliativo per un'economia condizionata da un alto livello di insicurezza e sottosviluppo.

Ulteriori dati rendono l'idea delle distorsioni economiche sopra accennate. Il settore spaziale è consistente per PIL generato (16.2%, 2002), occupati (1700 occupati diretti e 7500 indotti), export (83%), entrate fiscali (il 35% delle entrate fiscali dovute all'importazione di beni per via portuale, tra il 15 e il 20% della taxe professionnelle); l'industria (7% PIL) è invece carente, in particolare focalizzata nel manifatturiero (artigianato del legno, in cui operano 215 imprese) mentre la trasformazione delle materie prime agricole – legata alla produzione del rhum – è in crisi a causa della concorrenza della Martinica. Inoltre, un confronto con la realtà simile del Suriname mostra come le risorse guyanesi siano sfruttate al di sotto delle loro possibilità. I valori generati da oro, riso, pesca, legna in Suriname sono molto più alti rispetto alla Guyana: 485 mln di euro contro 50 mln; 145 contro 15 tonnellate; 99 mln contro 15 mln; 200000 metri cubi contro 56000. Il 96% della superficie guyanese è ricoperta da foreste, contro l'86% dell'ex colonia olandese. La debolezza del tessuto produttivo fa sì che la Guyana francese abbia l'imponente deficit commerciale di 1183 mln di euro, oltre ad una massa di lavoratori non utilizzati (22% disoccupazione generale, 46.7% giovanile) e senza contare l'alto tasso di inattività.

Lo sviluppo agricolo è frenato dal fatto che il 90% delle terre guyanesi appartenga al demanio statale; ciò rende impossibile la programmazione di una politica per la sovranità alimentare. Soltanto il 12% dei contadini guyanesi detiene un titolo di proprietà sulla terra che coltiva; per il resto si tratta di concessioni temporanee, enfiteusi e debbio (operazione, applicata in 8000 ha su 30861, che consiste nel bruciare erbe e altre biomasse, per migliorare il terreno poi coltivato per un periodo di 2-3 anni e quindi abbandonato); le pratiche per ottenere una concessione sono tanto diaboliche e complesse da scoraggiare chiunque abbia il proposito di avviare un'azienda agricola, così lo Stato assegna diversi terreni a individui e società private non sempre guidate da intenzioni produttive. Così, in assenza di incentivi per valorizzare la terra, questa viene sfruttata innanzitutto per ragioni di mera sussistenza.

La demografia è un'altra variabile per comprendere la situazione della Guyana. La sua condizione particolare (dipartimento dello Stato francese) fa sì che, relativamente al contesto che la circonda, risulti un paese ricco e appetibile (infatti, il suo PIL pro capite di 15513 euro rientra tra i più alti del Sudamerica, mentre si tratta di meno della metà del PIL pc della Francia), senza dimenticare il fatto che – per lo ius soli – chi nasce in Guyana acquisisce una cittadinanza ambita da chi sogna di emigrare facilmente in Europa. Perciò, dagli anni'70 ad oggi, ha avuto luogo un notevole flusso migratorio – in particolare da Haiti, Suriname e Nord del Brasile ma anche dall'Asia (esistono delle comunità contadine di Hmong giunti dal Laos); la Guyana è così passata da 27000 abitanti (1954) a 220000 (2008), mentre le proiezioni dell'INSEE ritengono che nel 2030 si possano toccare i 420000. Paradossalmente, sebbene lungo la storia guyanese sia stata la carenza di popolazione ad essere considerata un problema – in un territorio grande 83000 km^2 – oggi è il suo aumento a preoccupare, dato che il tasso di crescita della popolazione, superiore a quello del reddito, mina alla base un miglioramento delle condizioni individuali. Malgrado serva un progetto economico volto a sottrarre gli immigrati dall'economia parallela (es. estrazione illegale), attualmente mancano i servizi pubblici necessari per tutta la popolazione (sanità, istruzione, sicurezza). La sociologa Jolivet (1990) e l'antropologa Hidair (2007) hanno scritto approfonditamente sugli effetti della crisi di preminenza del gruppo creolo e la stigmatizzazione xenofoba in atto contro gli immigrati, ritenuti da molti come responsabili del peggioramento delle condizioni sociali ed economiche della Regione.

 

Il Collettivo Pou Lagwyann Dékolé

La Guyana non è certo nuova alle dimostrazioni popolari e allo scontro con lo Stato. Nel giugno 1962, sindacati e partiti della Sinistra manifestarono contro l'installazione di una base della Legione Straniera e in favore dell'autonomia regionale; nel 1974 fu proclamato uno sciopero generale dopo l'arresto di tredici militanti anticolonialisti; negli anni'80 il conflitto sociale e nazionale con lo Stato francese ebbe una fase armata, con il Front National de Liberation de la Guyane; nel 1992 ci fu uno sciopero generale di sei giorni; nel novembre 1996 una grande manifestazione per chiese la scolarizzazione di tutti i bambini e la creazione di un proprio rettorato scolastico, il quale fu ottenuto l'anno successivo con la nascita dell'Academie de la Guyane, finalmente indipendente dalle Antille; nel novembre 2013 si ebbe una protesta analoga, con grande partecipazione studentesca, in favore di un ateneo della Guyana autonomo dalle Antille, nelle quali – sino al 2014 – aveva sede la quasi totalità delle direzioni delle facoltà guyanesi. Tuttavia, la mobilitazione attuale, secondo l'antropologa Isabelle Hidair, si distingue nettamente per partecipazione e coinvolgimento della società guyanese, oltre che una maggiore autonomia dai partiti politici (http://la1ere.francetvinfo.fr/crise-guyane-nous-assistons-mouvement-inedit-anthropologue-isabelle-hidair-krivsky-460305.html).

«Pou lagwyanne Dékolé» – il cui nome è un chiaro rimando all'attività spaziale, «Perché la Guyana decolli» – è un «collettivo» composto principalmente da: il sindacato maggioritario Union des Travailleurs Guyanais; il gruppo dei 500 Fréres contre la Délinquance, nato con il fine di contrastare la criminalità dilagante; 37 sindacati di tutti i settori lavorativi; esponenti della società civile. Ufficialmente, si tratterebbe di un totale di 40000 persone militanti, riunite per dare voce ai guyanesi sensibili alle tematiche di sicurezza, sanità, alloggio, fondo agricolo; l'obiettivo è quello di opporsi alla condizione precaria della Guyana, mediante l'elaborazione di proposte risolutive di breve, medio e lungo periodo.

Le domande portate sono rappresentative della società creola e delle comunità autoctone-amerinde – riassunte nelle «rivendicazioni generali»: patto di sviluppo e progetto per la Guyana, proposto da Hollande nel 2013 e mai attuato; ripiano dei debiti degli enti locali; costruzione di strade e strutture aeroportuali; vera governance delle risorse locali; misure contro il carovita; creazione di centri ospedalieri, di cui uno universitario e un istituto formativo per infermieri; saldo dallo Stato della tassa sul fondo non edificato; una reale continuità territoriale sui servizi di telecomunicazione, trasporti, internet; estensione eccezionale dell'indennità geografica applicata solo a funzionari e magistrati; applicazione di una legge efficace sulla cittadinanza francese.

Nel dettaglio, ci sono le richieste particolari dei vari soggetti coinvolti nella protesta. Tra queste, il GRAFOGUY (il raggrupamento delle associazioni fondiarie) domanda la cessione della totalità del fondo agricolo statale alle istituzioni pubbliche locali e ai singoli cittadini guyanesi che richiedono terra; i comuni interni (ad esempio, Maripausola), accessibili solo per via fluviale e aerea, chiedono un collegamento stradale con il resto della regione; le associazioni del mondo dell'istruzione chiedono finanziamenti per la costruzione di 5 licei, 2 poli universitari, 10 college, 500 nuove classi elementari. Le rappresentanze delle comunità autoctone vorrebbero: la proprietà di 400000 ha di terra esentasse, al fine di proteggere il territorio da speculazioni e occupazioni illegali; l'insegnamento di lingua e cultura indie in scuola e università; la creazione di nuove scuole e ristrutturazione di quelle esistenti; il diritto di veto su progetti di estrazione aurifera; il contrasto all'estrazione illegale; istituzione di una giornata dei popoli indigeni. Le organizzazioni ambientaliste richiedono: la protezione della biodiversità guyanese, tramite l'istituzione del marchio «Amazonie Européenne; progetti di educazione ambientale contro estrazione e pesca illegali; opposizione ai grandi progetti di estrazione aurifera e petrolifera.

La modalità di protesta è consistita nella creazione di blocchi strategici di tutte le strade che portano alle zone di rilevante interesse economico (CSG, porto commerciale, aeroporto, l'area di Cayenne). In più, tali barriere sono diventate luoghi di grande partecipazione popolare, sedi di dibattiti, discorsi, pranzi, concerti di artisti locali. La protesta ha avuto una grande visibilità mediatica: Radio Peyi è diventata una sorta di canale ufficiale del movimento; Guyane 1ere, la sezione regionale della tv di Stato, ha dato quotidiano spazio ai portavoce del collettivo; la rete social (facebook) ha permesso non solo una comunicazione veloce tra i guyanesi ma anche di informare il resto del mondo.

La classe politica locale – governo della CTG e parlamentari guyanesi – oltre a non essere mai stata oggetto di attacchi espliciti, ha sempre sostenuto la mobilitazione. Infatti, l'elenco delle misure immediate (2.1 miliardi), presentate al governo francese il 4 aprile scorso, contiene la firma non solo dei rappresentanti del movimento di protesta ma anche del presidente della Guyana e dei senatori e deputati guyanesi a Parigi.

Il messaggio anticolonialista non è mai emerso esplicitamente, anzi le misure suddette sono state motivate in quanto «necessarie a costruire una società repubblicana, fraterna, giusta»; nonostante questo aspetto – il quale non è che una dimostrazione del protagonismo della società civile, rispetto a organizzazioni politiche e sindacali militanti e ideologizzate – non mancano i richiami a legami storici e identitari. In particolare, è stata rivendicata la continuità dell'attuale elaborazione con i documenti elaborati durante precedenti mobilitazioni (come il «Documento orientativo di un Patto per lo Sviluppo della Guyana», scritto dagli Stati Generali della Guyana 1997, a seguito dei fatti del '96, nel cui preambolo si indicò come l'appartenenza guyanese alla Francia, pur non messa in discussione nell'immediato, non possa neanche essere ammessa come una condizione eterna data la sua origine colonialista e la resistenza dell'identità guyanese anche dopo il 1946). Aspetti evidenti della connotazione culturale della protesta sono: l'uso della lingua creola negli slogan e nei canti; la presenza di costumi e musiche degli amerindi; il richiamo all'identità africana, dovuta al fatto che circa metà della popolazione discende dagli schiavi (durante l'occupazione del Centro Spaziale, in una rotonda di fronte a questo, è stato posto un monumento a forma di pugno chiuso, motivato come un'ispirazione a Nelson Mandela e alle Black Panthers – http://www.lemonde.fr/politique/article/2017/04/05/a-kourou-les-grevistes-occupent-la-base-spatiale_5106275_823448.html); la notevole diffusione della bandiera nazionalista (giallo-verde con stella rossa).

 

Cronaca della mobilitazione permanente

La crescita della criminalità ha fatto da detonatore della mobilitazione, su cui poi si sono innestate tutte le altre domande della questione guyanese. L'Agence France Press ha riportato i dati sulla ormai ingestibile situazione: nel 2016 si sono contati 6500 estrattori illegali (da 3 a 6 tonnellate d'oro estratte abusivamente); 17.2 omicidi ogni 100000 abitanti (la media francese è di 1.2); dal 2014 al 2016 i furti sono cresciuti da 1694 a 2338. A febbraio – a seguito dell'ennesimo omicidio compiuto in un quartiere popolare, in cui un ragazzo è rimasto ucciso nel tentativo di difendersi da un furto – sono nati i 500 Fréres (Fratelli) contro la Delinquenza, con il fine di sensibilizzare il governo francese sul problema della sicurezza; pur professandosi non violenti, la loro stazza e l'uso del passamontagna ne danno l'apparenza suggestiva di un gruppo armato. Il 17 marzo si sono presentati nel Palazzo della Collettività Territoriale Guyanese – dove era in corso una conferenza internazionale sulla protezione dell'ecologia marina – per dialogare con il Ministro dell'Ambiente Segoléne Royal; i 500F le chiedono di far presente al governo le proprie richieste: perseguire le occupazioni abusive, un nuovo squadrone permanente di gendarmi mobili, il rimpatrio di tutti i detenuti stranieri.

Il 20 marzo questo gruppo si unisce alla sezione dei lavoratori del EDF – la compagnia energetica di Stato, dell'Union du Travail Guyanaise – e al collettivo dei «Toukans» con il proposito di creare dei blocchi stradali come strumento di pressione verso il governo di Cazeneuve. Il 23, venti blocchi paralizzano le attività economiche, provocando anche il rinvio del lancio del razzo Ariane 6; scuole e uffici pubblici sono costretti alla sospensione del proprio lavoro.

Il Ministro per l'Oltremare, la riunionese Ericka Bareigts, propone una discussione a Parigi sui problemi immediati della Guyana, intorno al patto promesso da Hollande nel 2013; intanto, invia in Guyana una missione di funzionari interministeriali – guidata dall'ex prefetto Jean François Cordet – perché svolga un dialogo preliminare, promettendo subito 60 milioni per un nuovo ospedale a Cayenne e uno squadrone di gendarmeria mobile aggiuntivo. Il movimento dei blocchi rifiuta sia l'ipotesi di andare a Parigi che l'incontro con i suoi emissari da lì giunti; pretende, invece, che il governo francese si rechi direttamente nel capoluogo per parlare direttamente con i manifestanti. Per inasprire la protesta, l'UTG proclama uno sciopero generale, da iniziare il 27 marzo sino a data indeterminata. Grazie all'intercessione del Presidente della Collettività Territoriale Guyanese – il socialista autonomista Rodolphe Alexandre – il primo ministro Cazeneuve annuncia la sua decisione di inviare direttamente dei propri ministri in Guyana, ufficializzando anche la costruzione di un centro penitenziario e di un tribunale nella città di Saint Laurent du Maroni.

Il 28 marzo il Collettivo Pou Lagwyann Dékolé rende note le proprie rivendicazioni generali e settoriali, in un documento di 280 pagine che consegnerà ai rappresentanti governativi. Dal 29 marzo al 1 aprile, il ministro per l'Oltremare e il ministro dell'Interno Matthias Fekl rimangono nella regione sudamericana, a colloquio con i rappresentanti della società in rivolta. L'esordio è teatrale: la Bareigts – dal balcone della Prefettura di Cayenne – si rivolge alla folla per chiedere scusa, a nome proprio e del governo, per i decenni di disattenzione da parte dello Stato francese, promettendo un'inversione di rotta (http://www.lemonde.fr/societe/video/2017/03/31/ericka-bareigts-je-presente-mes-excuses-au-peuple-guyanais_5103705_3224.html); questa sarà esplicitata dai due siglando degli accordi con singoli comparti sociali e proponendo vari progetti dal valore complessivo di 1.085 miliardi di euro.

Il 2 aprile il Collettivo decide di bocciare il documento governativo, giudicandolo insoddisfacente riguardo le questioni sanitaria, educativa e fondiaria, malgrado abbia accolto con favore alcuni provvedimenti su economia (istituzione zona franca sociale e fiscale decennale, per tutte le imprese con al massimo 50 assunti) e sicurezza (squadrone di gendarmeria mobile, costruzione di un tribunale e un carcere a St.Laurent de Maroni, etc.). Si decide dunque di presentare delle richieste aggiuntive pari a 2.1 miliardi di euro ripartite nei seguenti settori: cultura, economia, educazione-formazione, energia, ambiente, finanze locali, sanità; inoltre, per la prima volta, compare una domanda di tipo istituzionale con la richiesta di un nuovo statuto particolare di autonomia per la Guyana.

Il primo ministro rifiuterà queste ulteriori richieste definite come non realistiche, richiamandosi poi alla propria responsabilità civica: non intende far gravare un accordo del genere sulla nuova presidenza francese, a cui si dovrebbe rimandare la soluzione della vertenza. Di fronte all'intransigenza di Palazzo Matignon, la protesta si radicalizza. I 500F proclamano la «ville morte», imponendo la chiusura di tutti i negozi di Cayenne attraverso un servizio di vigilanza lungo le strade della città.

Il 4 aprile, al termine di un'imponente manifestazione, viene occupato il Centro Spaziale; i rappresentanti del movimento incontrano il suo direttore, per chiedergli di parlare all'esecutivo di Parigi: se le proposte del Collettivo non saranno accolte il polo dell'ESA rimarrà bloccato. Il giorno dopo, il Consiglio dei Ministri approverà il proprio piano di 1.085 miliardi per la Guyana. Con la radicalizzazione della lotta e le parziali soddisfazioni delle richieste, innanzitutto a favore degli imprenditori, cominciano le prime defezioni: il Medef guyanese – la sezione locale della Confindustria francese – sazia per aver ottenuto riduzioni di tasse e del costo del lavoro, chiede la fine della protesta.

Il 7 una manifestazione di fronte alla Prefettura, nel capoluogo, culmina in uno scontro con la polizia; rimangono feriti alcuni poliziotti, fra cui lo stesso commissario. Emergono divisioni interne al Collettivo, tra chi vorrebbe smantellare i blocchi e chi inasprirli ulteriormente; in questo contesto si registrano altre dissociazioni ed esce persino allo scoperto chi raccoglie le firme per la fine della mobilitazione. Il 9 – giorno per cui era stata disposta un'apertura provvisoria dei blocchi – si tiene una manifestazione, con 2000 persone, a sostegno delle ragioni della mobilitazione permanente. Il blocco generale previsto per il 10 aprile viene infine revocato, a seguito dei malumori emersi contro un inasprimento della battaglia. Due giorni dopo si terrà, a Kourou, una dimostrazione di piccoli imprenditori e lavoratori del settore pubblico: vogliono ottenere il ripristino della circolazione stradale e delle attività lavorative.

La terza settimana di mobilitazione inizia con le dichiarazioni del presidente della Collettività Territoriale, Rodolphe Alexander, che domanda la sospensione dei blocchi sino all'elezione delle nuove cariche statali; il deputato Gabriel Serville (PSG) e il senatore Antoine Karam (PS), invece, rifiutano un colloquio con Hollande, sostenendo l'oltranzismo del Collettivo.

Da giovedì 13 a lunedì 17 le barriere vengono aperte, sebbene l'accesso al centro spaziale rimanga comunque impedito; con questo gesto il Collettivo annuncia la necessità di una nuova fase della protesta, di cui l'elaborazione di un proprio organigramma può essere vista una concreta manifestazione: si va verso una maggiore strutturazione.

Martedì 18 i blocchi vengono ripresi: la fase nuova di mobilitazione inizierà, si dice, solo una volta soddisfatte richieste considerate inderogabili: firma del piano di 2.1 miliardi; cessione totale del fondo agricolo alla Collettività Territoriale della Guyana (il governo intende cedere a CTG e comuni solo 250000 ha e 400000 ha ai popoli autoctoni); elaborazione di un progetto di evoluzione statutaria; esclusione di ogni provvedimento penale contro i militanti del movimento; un piano di sviluppo a medio termine per la Guyana.

L'ultima fiammata di intransigenza è durata poco. Venerdì scorso, nella prefettura di Cayenne, i rappresentanti del Collettivo, del governo (il prefetto), l'associazione dei sindaci e i quattro parlamentari della Guyana hanno firmato un accordo in cui l'esecutivo di Parigi, oltre a confermare il progetto precedente, si impegna a prendere in considerazione il piano di 2.1 miliardi aggiuntivi, rimandando a dei futuri Stati Generali della Guyana le discussioni su un nuovo assetto istituzionale per la Regione e sulla cessione totale delle terre statali. Per ora, dunque, i blocchi rimarranno aperti, eccetto quello al centro spaziale data una vertenza locale in corso, a Kourou, per la trasformazione di un centro medico chirurgico in una struttura sanitaria pubblica.

 


Conclusioni

«Il movimento ha manifestato al contempo una domanda di maggiore considerazione da parte della Repubblica e la volontà dei Guyanesi di prendere in mano il loro destino, per raccogliere questa sfida e valorizzare le potenzialità del proprio territorio»

Questa citazione presa dall'Accordo della Guyana, siglato il 21 Aprile scorso, è pienamente rappresentativa delle contraddizioni della mobilitazione guyanese, come delle sue necessarie prospettive future. Infatti, lo sviluppo della Guyana non può che passare attraverso un movimento nazionale, anticolonialista, dunque per la rottura con la Repubblica Francese. La domanda di uno statuto particolare d'autonomia – opzione che era stata rifiutata, con circa il 70% dei voti, in un referendum del 2010 – è il segnale di un processo già in atto: ci si è resi conto che solo tramite un maggior esercizio di propri poteri sia possibile applicare con efficacia una qualsiasi misura economica.

Venerdì scorso si è conclusa soltanto la prima fase della protesta; nei prossimi mesi i guyanesi dovranno confrontarsi con il nuovo presidente e il nuovo esecutivo. I candidati alla Presidenza non hanno brillato particolarmente nelle proposte per la Guyana, al di là di banali promesse di investimenti pubblici (Hamon) o strumentalizzazioni elettorali (Fillon ha accusato la Presidenza Hollande della situazione). L'unica eccezione interessante, tra gli aspiranti capi di Stato più papabili, è stata quella di Melenchon il quale ha parlato dell'Alleanza Bolivariana delle Americhe come di un'opportunità per la Regione, la quale viene comunque sempre inquadrata entro interessi e rapporti internazionali francesi («La Francia è anche un Paese latinoamericano»). Macron, pur essendosi distinto per il suo approccio non centralista nelle periferie delle Antille e della Corsica, per quanto riguarda la Guyana viene ricordato esclusivamente per un'enorme gaffe: l'ha definita un'isola. Il maggiore pericolo è rappresentato da Marine Le Pen, il cui partito può inserirsi nel dibattito politico guyanese con i suoi messaggi xenofobi entro la politica di contrasto all'immigrazione clandestina, problema – come abbiamo visto – molto sentito nella cittadinanza.

Al movimento anticolonialista e socialista – il Mouvement de Décolonisation et d'Èmancipation Sociale – spetta un ruolo cruciale nella risoluzione di tutte le contraddizioni del Collettivo. Oltre quella legata alla permanenza o meno entro la Francia, c'è quella sociale e culturale: la classe imprenditoriale è stata la prima a ritirarsi dalla protesta; gli immigrati, sempre più numerosi (37% della popolazione è straniera, INSEE 2008) rischiano di essere utilizzati strumentalmente dai partiti della Destra francese, secondo dinamiche già viste nei paesi occidentali, al fine di spostare l'attenzione dal colonialismo e la lotta di classe al finto conflitto etnico, contrapponendo i lavoratori creoli agli immigrati, individuati come veri responsabili di povertà e disoccupazione; nell'isola di Mayotte la xenofobia contro gli immigrati dalle vicine isole Comore è già sfociata in atti preoccupanti – definiti addirittura «pogrom» dalla politologa Françoise Verges – al grido di «La Francia ai francesi!», paradossale, considerato che è pronunciato da dei colonizzati neri africani. Una prospettiva politica socialista non solo può tenere distante la maggioranza della popolazione dall'influenza di una borghesia, che – al solito – pensa unicamente ai propri interessi, conciliabili con quelli dello Stato oppressore, ma può costruire un nuovo discorso identitario guyanese, capace di coinvolgere i lavoratori di qualsiasi origine. Il nazionalismo creolo già da tempo ricerca l'integrazione degli amerindi, mentre la rivista ufficiale del MDES, «Rot Kozé», in un suo articolo del 1990 citato da Hidair (2007), denunciò la tendenza a considerare stranieri e ostili dei lavoratori brasiliani, haitiani e surinamensi anziché i colonizzatori europei.

Inoltre, per il movimento d'emancipazione nazionale guyanese, sarà necessario collegarsi strategicamente – pensando all'evoluzione istituzionale – con gli altri anelli deboli della Repubblica, in un movimento volto alla sua definitiva decolonizzazione: Nuova Caledonia (indipendentismo consolidato, gode del regime di autonomia più ampio entro la Francia e nel 2018 voterà sulla propria indipendenza), Antille (specie la Guadalupa, reduce dall'imponente rivolta del 2009 con protagonisti il sindacato anticolonialista UGTG e il movimento contro gli speculatori) e Corsica (in cui si è sviluppato movimento nazionalista di largo consenso, attualmente al governo dell'isola).

 

 

RIFERIMENTI ESSENZIALI

Marie-José Jolivet, «La Quéstion Créole. Essai de sociologie sur la Guyane Française», Èditions de l'Office de la Recherche Scientifique et Technique Outre-Mer (1982). Fondamentale per la ricostruzione della storia economica guyanese del primo paragrafo.

Marie-José Jolivet, «Entre autochtones et immigrants : diversité et logique des positions créoles guyanaises», Etudes Créoles, n°13 (1990).

Isabelle Hidair, «L'immigration étrangére en Guyane, entre stigmatisation et strategie de recuperation», REVUE Asylon(s),N°4, mai 2008

«Resistance et lutte armée aux Antilles-Guyane», Alliance révolutionnaire caraibe (2003)

«Rapport d'activité 2015 de la Guyane», IEDOM 2016 (fonte principale dei dati economici del secondo paragrafo)

«L’habitat dans les outre-mer français: progrès, enjeux, disparités», IEDOM 2010

«French Guiana and Suriname. Better mutual economics knowledge for better cooperation», Insee Antilles-Guyane (2008)

«Le foncier agricole en Guyane», note expresse n°26 IEDOM, Agosto 2005

«Cahier complet de revendications remis le 30.03.17 à la mission ministérielle et aux élus locaux», dal sito ufficiale di Pou Lagwyann Dékolé (nougonkesa.fr), da cui si può accedere agli altri documenti ufficiali del collettivo.

 

La cronaca della mobilitazione è stata ricostruita attraverso gli articoli pubblicati su «Le Monde» – a firma di Laurent Marot, corrispondente da Cayenne – e sul sito di Guyane 1ere.

 

Andria Pili

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