Poi non dite che nessuno vi informa sul mondo al di là del nostro cortile… Sulle elezioni presidenziali in Iran, dopo l’intervista ad Alberto Negri (IlSole24Ore), Radio Città Aperta ha sentito Enrico Campofreda – tra i principali collaboratori del nostro giornale – appena rientrato da un lungo soggiorno di ricerca nell’antica Persia.
Ciao Enrico. Parliamo di elezioni in Iran. Oggi il popolo iraniano viene chiamato ad eleggere il nuovo presidente, un passaggio importante per le implicazioni che la leadership iraniana ha sulla politica internazionale. Anche se forse pesano più le dinamiche interne sull'esito di queste elezioni, come spesso succede. Tu sei stato recentemente in Iran, oltre ad essere un analista che si occupa di Medioriente da tanto tempo… A che punto delle vicende iraniane arrivano e che effetti possono avere, soprattutto nelle dinamiche di politica internazionale?
Sembra che ci si avvicini a queste elezioni come una scadenza naturale, non con quella tensione che aveva caratterizzato la tornata elettorale di 4 anni fa, quando la minaccia di astensionismo da parte di quella componente riformista che è comunque presente nel paese e ha dei punti di riferimento sia tra gli ayatollah, sia tra i politici, anche se caduta, abbastanza ai margini, ha poi deciso di appoggiare Rohani, nella speranza di un qualche cambiamento. Il problema attuale è che Rohani sembra aver disatteso delle speranze che oggettivamente non poteva mantenere, in quanto non è né un radicale, anzi un ayatollah piuttosto moderato, un pragmatico, come è stato definito dagli analisti, che ha portato a casa un risultato molto importante: quello dell'accordo sul nucleare, attorno a cui ha ruotato la sua campagna elettorale. Dall'altra parte, però, ha a che fare con dei problemi economici non indifferenti, anche perché il gioco cui l'Iran è tuttora sottoposto da parte delle potenze mondiali e anche di quelle regionali – ma qui l'aspetto riguarda più questioni geopolitiche, parlo del gioco economico – ancora non ha liberato tutta una serie di possibilità economiche. Si parla di investimenti, e anche l'Italia è stata coinvolta nei progetti di investimento, però questi stentano a partire; quindi, tutte le promesse relative ai posti di lavoro, che ogni politico in ogni latitudine del mondo fa, poi non sono stati consequenziali. E' questa, quindi, che era una carta a favore di Rohani nel periodo della campagna elettorale, è stato invece contestata dai suoi avversari. In primo luogo dal laico Qalibaf, sindaco di Teheran, e poi dall'attuale contendente, l'ayatollah conservatore Raisi. Di fatto, dei 1600 candidati proposti ad aprile – che è un po' in sostanza un teatrino, i contestatori del sistema iraniano dicono che è uno dei meccanismi di falsa democrazia, ma che invece può essere letta anche all'inverso: i cittadini che hanno delle qualità possono proporsi però si tratta per l'appunto di una mossa, se vogliamo, populista – quelli che arrivano al traguardo sono politici di professione e soprattutto chi ha dietro delle strutture politiche, economiche, clericali. Quindi ci siamo trovati di fronte ai sei candidati che sono poi diventati quattro, perché recentemente sia Qalibaf, che ha riconfermato il suo ritiro – si era ritirato anche qualche tempo prima, ma poi aveva rilanciato la candidatura – sia Jahangiri, un ex vicepresidente all'epoca di Rafsanjani si sono ritirati. Quindi Rohani sul fronte dei pragmatici, e Raisi su quello conservatore, sono i due contendenti di fatto in questa fase. Per questo, dal mio punto di vista, anche recentemente ho scritto che quello che è il sicuro vincitore di queste elezioni è il tanto dibattuto e discusso “governo del giureconsulto”, quel sistema che l'ayatollah Khomeini – il padre della rivoluzione iraniana – ha voluto sin da quando ha preso il potere; che ha avuto e tuttora ha una struttura giuridica che condiziona la politica, che garantisce al clero una pesante presenza su quella che è la vita politica e giuridica del paese, attraverso la figura della guida suprema e attraverso l’”assemblea degli esperti”; gli 86 membri; che sono ayatollah, grandi ayatollah e che poi giudicano e valutano le leggi… Quindi un primo punto da stabilire è che la struttura clericale ha tuttora la meglio e gli 80 milioni di iraniani – naturalmente non tutti votanti, ci sono i bambini, chi andrà alle urne, saranno intorno ai 55-60 milioni di persone – hanno a che fare con questo elemento. Che pure, anche non recentissimamente, intorno al 2006-2007, in epoca di presidenza di Ahmadinejad, aveva avuto una contestazione dall’interno da parte del cosiddetto “partito dei pasdaran”.
Questo è un punto di partenza importante nell’analisi. Tu hai detto una cosa interessante all’inizio: “ci si arriva in modo naturale, senza quella tensione, senza quell’aspettativa un po’ timorosa delle precedenti elezioni”. Forse anche perché tendenzialmente si è persa un po’ quella carica anche mediaticamente un po’ tossica che circolava intorno alla figura di Ahmadinejad. Naturalmente il ruolo internazionale dell’Iran – pensiamo alla crisi siriana, alla concorrenza con le petromonarchie del golfo in ambito petrolifero, il rapporto da stabilire con la presidenza Trump – non è irrilevante… Cosa potrebbe delinearsi, a seconda che vinca un tipo di candidato o un altro?
Certo, non è irrilevante; ed è l’altro tema su cui oggettivamente si misurano questi candidati e le forze che li sostengono. Anche se, per l’appunto, il Rohani di turno non né il Khatami di fine anni ’90, quando il paese si apriva ad una interpretazione diversa di quella che era la stessa politica del clero. Questo presidente è un presidente che viene considerato, secondo determinate categorie che lasciano il tempo che trovano, un “globalista”, un liberista, addirittura più di Rafsanjani. Quindi questa posizione di contrasto, ma non ideologico a priori, con i nemici dell’Iran, probabilmente non la metterà mai in atto; anche se, lo sappiamo, il popolo iraniano è un popolo di grandissima civiltà, orgoglioso, ha una storia recente, con un occhio – e non solo un occhio, ma le mani in pasta – nella geopolitica. Sia per la sua volontà di egemonia regionale, sia per questo scontro che è politico, ma anche culturale e religioso, con dei contendenti. Nel medio oriente sicuramente la dinastia Saud e la Turchia, visti gli effetti dello spostamento della politica erdoganiana verso est. Ora il tema economico è strettamente legato a questo contrasto con l’Arabia Saudita, perché basta rifarsi a quelle che vengono considerati i “doni di Dio”, come vengono chiamati, della terra e del sottoterra iraniano; cioè sia il petrolio e il gas, sia i minerali. Quindi il conflitto e lo scontro con l’Arabia Saudita è diretto. L’Iran è il secondo produttore mondiale di gas e ha avuto – a causa dell’embargo di questi anni – una limitazione nei commerci verso l’Occidente, con un ricarico sui costi che lo stesso Occidente ha dovuto subire, perché il gas iraniano sarebbe costato molto meno di quello russo. Però le situazioni internazionali determinano questi problemi. L’Iran è il secondo produttore di gas e l’Arabia Saudita è il quarto, mi pare, con un rovesciamento rispetto al petrolio, dove l’Iran è al quarto posto e l’Arabia Saudita dopo il Venezuela, secondo le stime che vengono fatte. Quindi il fronte energetico è al centro della strategia economica iraniana verso una liberalizzazione e un’apertura di rapporti economici internazionali. In questi anni di embargo – è il segreto di Pulcinella – l’Iran ha guardato all’estremo oriente, ad alcune potenze come la Cina, come l’India, che sono bisognose, bisognosissime, di energia, e hanno dunque interesse che i canali di approvvigionamento siano i più vari. Quindi, se da una parte l’embargo limitava gli scambi con l’occidente, comunque si aprivano altri canali. Questo tipo di situazione ora è parzialmente superato dalle promesse di investimenti in vari settori: quello dei servizi, dove la tecnologia occidentale può dare un grande contributo. Però tuttora – nel girare fra le città anche d’arte meravigliose dove il turismo si riaffaccia ed è ritornato – ci sono dei problemi ad esempio per pagare gli alberghi con le carte di credito perché le transazioni del sistema bancario, soprattutto verso i piccoli e medi imprenditori, producono dei ritardi e tutta una serie di problemi burocratici, quindi la situazione non è affatto normalizzata. Tutto questo viene rinfacciato dal candidato forte della parte conservatrice, Raisi, alla gestione di Rohani. E questo è un elemento che da un certo punto di vista conterà.
Bene, noi ti ringraziamo. Naturalmente ci hai fornito elementi preziosi di comprensione di quello che è, rimane, un momento importante per gli iraniani e per uno scacchiere più ampio, come ci possiamo bene immaginare. Per il momento grazie e buon lavoro.
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