Il Regno Unito ha bisogno di un Governo, altrimenti il processo di Brexit è a rischio. Theresa May, alle strette cede al ricatto, incrinando il fronte interno.
Selezione di notizie dai giornali inglesi. Traduzione e cura di Francesco Spataro
Sembrano terminati i colloqui fra il Primo Ministro britannico Theresa May ed Arlene Foster, la leader del DUP – Partito Democratico Unionista – la formazione conservatrice nord-irlandese (molto arretrata sui diritti civili e con una visione negazionista riguardo il riscaldamento del pianeta), che paradossalmente ha in mano il destino della credibilità politica del Regno Unito.
Dopo alcuni faccia a faccia ed un incontro al n°10 di Downing Street, la Foster avrebbe accettato dal Primo Ministro britannico, un taglio della corporation tax, l’imposta inglese sulle società ed un “contributo” variabile fra 750 milioni e 2 miliardi di sterline, sotto forma di investimenti, per metà nella sanità, e per l’altra metà in infrastrutture. Notizie dell’ultima ora danno per certo un miliardo di sterline per le infrastrutture, mentre per la sanità l’Irlanda del Nord dovrà accontentarsi di 300 milioni. Questo in cambio della propria adesione alla formazione di un governo con la premier May.
Ma entriamo nello specifico: il governo da due settimane è come non mai “appeso” – secondo l’espressione che utilizzano gli inglesi in questi casi – agli esiti di questi colloqui, ma la decisione ultima di stanziare questo denaro dovrà passare per le “forche caudine” di una regola che pochi conoscono: la Barnett Formula. Un meccanismo concepito dal Tesoro inglese nel lontano 1978, ma che è balzato agli occhi dell’opinione pubblica soltanto tre anni fa, durante il referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito. In termini semplici il sistema, con una formula matematica un po’ articolata, controlla che i livelli di spesa per i servizi pubblici assegnati all’Inghilterra siano congrui anche per gli altri paesi che compongono il Regno Unito, ossia Scozia, Galles ed Irlanda del Nord. Sembra un problema da nulla, poco più che un calcolo matematico, ma invece sta trasformandosi in un enorme boomerang politico a tutti gli effetti.
Ian Blackford, infatti, il leader del SNP (Partito Nazionale Scozzese), formazione politica di orientamento socialdemocratico, non ha lasciato tempo in mezzo ed ha sollevato il problema in Parlamento, chiedendo l’aiuto degli altri partiti scozzesi, riscaldando anche gli animi dei gallesi. Tutto questo ha messo in forte imbarazzo la premier May, che però potrebbe ricorrere ad un escamotage: le risorse potrebbero essere distribuite sotto forma di “grants”, concessioni o meglio dire donazioni; in questo caso il Parlamento non sarebbe obbligato ad una revisione della spesa pubblica.
Ma il problema non è solo questo, perché il Primo Ministro ha interagito anche con altri partiti Nordirlandesi, complicando alquanto la situazione nell’area; sembra scongiurato lo spettro di nuove elezioni, o l’imposizione della direct rule*, ma le tensioni non paiono distendersi.
Il processo di pace in Irlanda, secondo quanto affermato dal leader dell’IRA, Sean Fein, potrebbe infatti essere messo in discussione se il DUP continuasse a puntellare il governo britannico.
Non va meglio sul fronte della Brexit dove, questo cedimento nei confronti delle pressioni di un altro paese potrebbe essere vista come un segnale di debolezza del Regno Unito. In parole povere, i leaders UE potrebbero pensare che basta una piccola sollecitazione perché il Primo Ministro stacchi un assegno, pur di non far cadere il proprio Governo.
La sinistra laburista di Jeremy Corbin attende l’evoluzione dei fatti. Secondo un proverbio cinese “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”
* La direct rule è una norma istituita anni fa e che dà mandato al Parlamento di Westminster di gestire alcune politiche al posto di quello irlandese di Stormont. Il governo inglese è ricorso poche volte, negli ultimi anni, a questo istituto. In via eccezionale lo utilizzò senza soluzione di continuità durante il periodo più caldo dei Troubles in Irlanda, dal 30 marzo 1972, dopo il Bloody Sunday, fino al 1998. Negli ultimi anni, è stato utilizzato raramente.
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