Intervista a Chiara Cruciati. Siamo in collegamento con Chiara Cruciati, giornalista di Nena News e de il Manifesto.
Ciao, buongiorno a tutti.
L’argomento del giorno che vogliamo approfondire è la liberazione di Mosul da parte dell’esercito iracheno. Se vuoi darci una panoramica sia di ciò che è successo ma, soprattutto, anche degli scenari futuri.
Mosul è stata ufficialmente liberata. Due giorni fa il premier iracheno Haider al-Abadi, in un tweet ha ufficializzato la liberazione della città, anche se ancora ci sono degli scontri sporadici con alcuni miliziani dell’Isis che sono ancora presenti, ma si parla di numeri molto piccoli, qualche decina. Quindi possiamo dire che la città è stata effettivamente liberata dopo 3 anni di occupazione islamista. La situazione è drammatica. Le organizzazioni internazionali che sono presenti hanno parlato di una vera e propria catastrofe umanitaria sia per il livello di distruzione della città, che è praticamente ridotta in macerie, non c’è un edificio che sia rimasto in piedi o che non sia rimasto danneggiato. Si parla di 900 mila sfollati da ottobre, da quando è iniziata la controffensiva del governo di Bagdad, che si aggiungono al milione e mezzo, più o meno, di persone che erano fuggite quando l’Isis occupò la città. Poi c’è un numero indefinito di morti civili, non se ne conosce il numero esatto. Oggi l’Ong Erwos, che monitora un po’ le vittime civili, soprattutto tra Iraq e Siria, parla di almeno 3.700 civili uccisi durante la battaglia ma è difficile dare numeri più precisi. Le forze governative man mano che sono avanzate dentro la città vecchia hanno liberato i civili trovandoli in condizioni pessime. Disidratati, denutriti e, soprattutto, traumatizzati. La situazione è veramente molto drammatica. Se la vittoria deve essere salutata come tale, perché effettivamente la città è stata liberata, si apre adesso una sfida politica molto ampia per il governo iracheno che si trova di fronte anche ad accuse da parte di Amnesty International che ha pubblicato un rapporto proprio questa mattina in cui accusa le forze governative, ma anche gli Stati Uniti che hanno appoggiato l’avanzata via caccia, di aver commesso una serie di violazione dei diritti umani dei civili che erano intrappolati in città vecchia quasi a fare da scudo umano all’Isis. Quindi la situazione è molto delicata e quella che si apre adesso è un contenzioso ancora più ampio, quindi quello che di certo possiamo dire è che la liberazione di Mosul non significa la riunificazione dell’Iraq, la soluzione di tutti i problemi, ma probabilmente porterà a dover affrontare divisioni, fratture interne che sono stati in questi anni messe da parte in nome della lotta allo stato islamico.
Chiara, proprio da questo punto di vista, quali sono le mosse per fare in modo che la vittoria di Mosul non sia in realtà una vittoria effimera, che basi bisogna gettare per quello che, di fatto, non è assolutamente un punto di arrivo ma anzi, è un punto di partenza per un nuovo processo.
La questione centrale è politica, ovvero evitare la frammentazione del paese. Ci sono forze in campo, a partire dagli Stati uniti, che ormai dal 2003, non l’hanno mai nascosto, puntano ad una divisione amministrativa dell’Iraq a seconda delle etnie e confessioni, quindi creare una sorta di stati federali sunnita, sciita, curdo e così via … Cosa che non viene condivisa, almeno ufficialmente, dal governo iracheno. Il problema centrale è quello delle minoranze, a partire da quella sunnita che è sicuramente la più consistente. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati, dopo che è caduto Saddam, da un‘esclusione voluta, da parte del governo sciita, della comunità sunnita e questo, per chi se lo ricorda, ha portato negli anni passati a delle vere e proprie rivolte, delle sollevazioni contro il governo centrale e ha anche portato, in qualche modo, ad una non resistenza quando l’Isis ha occupato le comunità sunnite. Non soltanto Musul ma anche Ramadi, Fallujah e tutta la provincia dell’Anbar, perché veniva visto come un soggetto che poteva sostenere la lotta contro il governo sciita. Quindi quello che adesso Bagdad dovrebbe fare è mettere in piedi una piattaforma politica di inclusione e anche economica e sociale. Qui si parla di comunità che sono state completamente devastate, che vanno innanzitutto ricostruite. Ma vanno ricostruite coinvolgendo la popolazione. Da questo punto di vista i segnali non sono molto buoni perché quando parliamo di Ramadi o Fallujah, che sono state liberate ormai un anno fa, lì non c’è stato ancora nessun tipo di intervento. La ricostruzione va a rilento e, soprattutto, non c’è stato un intervento politico e sociale di ricostituzione proprio del tessuto sociale iracheno. E questo non fa ben sperare per il futuro. Sicuramente Mosul, a livello anche simbolico, ha un altro significato ma la cosa che va fatto nell’immediato è, appunto, includere la comunità sunnita nella ricostruzione e nel futuro politico dell’Iraq. Questa sicuramente è una sfida molto importante. Solo per citare una cosa: il governo iracheno ha deciso che a settembre si faranno le elezioni amministrative e sembra una follia in una situazione del genere, con metà paese sfollato e le città completamente distrutte. Quindi questo fa pensare che non ci sia ancora un’idea molto chiara del futuro del paese.
A proposito dell’Isis, pensando alle cause che hanno fatto sorgere, anni or sono, lo stato islamico che adesso invece sembra al tramonto e si sono levati canti di vittoria però, come dicevamo pocanzi, sono una vittoria che però è molto incerta … Secondo te, secondo la tua analisi, che fine farà l’Isis? Possiamo dichiararlo prossimo alla sconfitta? E soprattutto non solo l’Isis come ente, ma anche i germi che hanno portato, in un certo senso, alla creazione dell’Isis …?
Purtroppo la ripresa di Mosul e quella, probabilmente prossima di Acca, non segneranno la sconfitta dello stato islamico. Come le sconfitte precedenti non avevano segnato la fine del Al Qaeda. A livello proprio territoriale l’Isis controlla ancora alcune aree in Iraq e, ovviamente in Siria. Ha sicuramente perso quello che era la sua caratteristica, ossia l’entità statuale, farsi stato, questa cosa ormai non sta più esistendo, si sta sgretolando. L’Isis come soggetto capace di convogliare interesse da parte di nuovi adepti, ma anche come soggetto in grado di fare una propaganda tale da poter infilarsi all’interno delle crepe, delle fratture degli stati mediorientali, soprattutto quelli quasi falliti, come l’Iraq, come la Siria, non viene meno. Probabilmente l’Isis, l’ha già dimostrato in questi mesi, cambierà strategia, lo sta già facendo. Non più operando attraverso occupazioni di territori ampi come abbiamo visto in q uesti tre anni ma attraverso una destabilizzazione interna di questi paesi, quindi gli attacchi dello stato islamico, veri e propri assalti organizzati oppure attacchi con i kamikaze non sono mai venuti meno, e hanno sempre colpito zone che si immaginavano essere più sicure, perché non erano quelle occupate. Parlo dell’Iraq di Bagdad, della capitale, ma anche di altri paesi, l’Iran da ultimo. Quindi la capacità propulsiva dello stato islamico non viene meno perché sa muoversi all’interno di un vuoto ideologico e politico che riguarda molte comunità arabe. Ovviamente gli adepti, i miliziani dell’Isis, sono una minoranza delle minoranze all’interno della popolazione del medio oriente, questo va sottolineato, ma è in grado di presentarsi come una ideologia alternativa, diversa, in grado di dare anche una sorta di identità. Questo non viene meno perché? Perché non viene meno il vuoto politico che caratterizza molti dei paesi interessati.
Chiara, grazie mille per la tua analisi, sempre così precisa. L’appuntamento a questo punto è con te mano a mano che si svilupperanno le cose in quell’area del mondo. Teniamoci aggiornati, anzi, ci aggiornerai tu per seguirne gli sviluppi. Per il momento grazie mille.
Grazie a voi.
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