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Puigdemont si rifugia in Belgio. Podemos commissaria Podem

Il President della Generalitat, destituito venerdì dal governo centrale spagnolo, si trova già in Belgio insieme ad almeno cinque dei suoi ministri, ufficialmente per incontrare alcuni esponenti nazionalisti fiamminghi. Puigdemont avrebbe preso la decisione di rifugiarsi in Belgio su consiglio di una equipe giuridica che gli raccomanda di rimanere a Bruxelles.

L’eventuale emissione di un ordine di cattura europeo da parte della magistratura e del governo di Madrid obbligherebbero il governo e la magistratura belga a vagliare l’opportunità della concessione dell’asilo politico al President e ai suoi consellers. Ieri il ministro belga all’Immigrazione ed esponente dell’Alleanza Neo-Fiamminga (centro-destra e indipendentista), Theo Francken, aveva annunciato la disponibilità a concedere l’asilo politico a Puigdemont, provocando la smentita da parte del primo ministro Charles Michel.

Proprio questa mattina il procuratore generale spagnolo José Manuel Maza ha chiesto l’incriminazione per il presidente catalano destituito con l’accusa di ribellione, sedizione e malversazione. Denunciati anche i ministri del suo governo per aver permesso la dichiarazione d’indipendenza, inclusa l’ex presidente della Camera Carme Forcadell e i membri dell’ufficio di Presidenza, anche loro sono sotto accusa per sedizione e ribellione. In tutto nel mirino dei magistrati di Madrid sono finiti 14 membri del Govern – compreso il Ministro dell’Impresa Vila che si era dimesso alla vigilia della dichiarazione d’indipendenza non essendo d’accordo – e sei parlamentari. Qualora non si dovessero presentare dinanzi ai giudici, la misura che le autorità di polizia spagnole sono autorizzate a prendere nei confronti dei vertici catalani incriminati è la “detenzione immediata”, e in caso di condanna rischiano dai 15 ai 30 anni di reclusione. Il magistrato di turno dell’Audiencia Nacional (il vecchio Tribunal de Orden Publico di franchista memoria) deciderà nei prossimi giorni se accogliere o meno la richiesta del Procuratore che ha anche chiesto di sequestrare, in via cautelare, beni pari a un valore di 6,2 milioni di euro.

Intanto in queste ore tutti i riflettori sono puntati su Podemos. La formazione, che mantiene sulla rivendicazione nazionale catalana una posizione ambigua e di fatto ininfluente – riconosce teoricamente il diritto all’autodeterminazione del popolo catalano, a patto però che quest’ultimo non voglia esercitarlo veramente – rischia seriamente di essere dinamitata dall’evoluzione degli eventi, incapace com’è di prendere una posizione realmente spendibile nel conflitto scatenato dalla proclamazione d’indipendenza da parte del Parlament di Barcellona e dall’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione da parte del governo Rajoy.

Già nei mesi scorsi era apparso chiaro che alla posizione anti-indipendentista della direzione statale di Podemos non corrispondeva l’orientamento di una delle sue due derivazioni catalane. Podem aveva già rifiutato di sciogliersi, come ordinato da Pablo Iglesias, all’interno di Catalunya En Comù, la nuova formazione formata dagli altri referenti catalani di Podemos – Colau e Domenech – e rispetto alla convocazione del referendum indipendentista del 1 ottobre aveva manifestato un atteggiamento critico ma collaborativo con il fronte catalanista, contrariando lo stato maggiore statale del partito.

A scatenare l’ennesima crisi era stato nei giorni scorsi Albano Dante Fachin, segretario di Podem, che aveva dichiarato di considerare inopportuno presentare liste della formazione alle elezioni regionali del 21 dicembre, convocate d’imperio dal governo spagnolo dopo la destituzione del governo e lo scioglimento del parlamento catalano in seguito al commissariamento della Generalitat de Catalunya da parte di Madrid. “Sarebbe un tradimento dello spirito del primo ottobre” e “Non riesco a pensare alle elezioni del 21 dicembre come ad elezioni normali nel momento in cui Sanchez e Cuixart sono ancora in carcere” aveva chiarito Dante Fachin, aggiungendo: “Candidarsi significherebbe accettare in pieno l’articolo 155. Dobbiamo essere all’altezza dell’unità popolare del primo ottobre”. Prima ancora correvano voci che tre deputati di Podem, integrati nel gruppo ‘Catalunya Si Que es Pot’ insieme agli eletti dei partiti di centro-sinistra Catalunya En Comù, ICV, EUiA ed Equo, fossero disponibili a votare venerdì scorso a favore dell’indipendenza. Decisione poi rientrata ma che ha chiarito la distanza siderale tra questa formazione, sempre più vicina alla Cup, e la casa madre spagnola.

Il crescente distanziamento di Podem da Podemos ha irritato Iglesias e compagni a tal punto che ieri sera il partito spagnolo ha annunciato la decisione di commissariare la formazione catalana. Una mossa, quella del ‘Consiglio Cittadino Statale di Podemos’, che ha scatenato le critiche di chi fa notare come Podemos si stia comportando con i suoi alleati catalani esattamente come lo Stato Spagnolo si comporta con la Repubblica appena proclamata a Barcellona, utilizzando la forza invece della ragione, incapace evidentemente di convincere i suoi della giustezza del proprio punto di vista.

La risoluzione della direzione di Podemos, con un taglio esclusivamente disciplinare e sanzionatorio, imputa ai cugini catalani ben sei “mancanze gravi” tali da giustificare un commissariamento che potrebbe produrre effetti contrari a quelli sperati, convincendo i militanti catalani a troncare ogni relazione con la casa madre. Afferma innanzitutto il documento approvato ieri: “la direzione di Podem non ha informato la direzione di Podemos su come avrebbero votato (sulla dichiarazione di indipendenza, ndr) i suoi deputati (…) La mancanza di informazione e il comportamento dei nostri deputati hanno generato una situazione di caos e hanno danneggiato il nostro prestigio politico. Questo in contrasto con il comportamento del capogruppo parlamentare di Catalunya Sí Que es Pot e del coordinatore di Catalunya en Comù che invece ci hanno informato per tempo”.

Inoltre, la risoluzione di Podemos segnala: Tre dei quattro deputati di Podem non hanno votato contro una delle risoluzioni che parlava esplicitamente della Costituzione di una nuova Repubblica Catalana (…) Una delle nostre deputate non ha votato contro la Dichiarazione di Indipendenza e ha salutato pubblicamente la “nuova repubblica catalana”.

Inoltre la direzione federale di Podemos denuncia che “la corrente Anticapitalistas, maggioritaria nel Consiglio Cittadino della Catalogna, ha riconosciuto mediante un comunicato pubblica ripreso da tutta la stampa, la “nuova repubblica catalana”, provocando addirittura la presa di distanza da parte di alcune figure rilevanti di questa corrente”.

La quinta ‘mancanza’ sarebbe costituita dalle dichiarazioni di Albano Dante Fachin “nelle quali si segnalava che la partecipazione alle elezioni del prossimo 21 dicembre sarebbe stata una contraddizione e manifestava la sua intenzione di formare un blocco con altre forze politiche (della sinistra indipendentista ndr)”.

Sulla base del fatto che la “direzione di Catalunya en Comù ha già deciso che non si presenterà alle urne insieme ad alcuna forza politica indipendentista” il Consiglio Cittadino Statale di Podemos ha deciso di commissariare la formazione catalana, di sospendere il suo segretario Dante Fachin e di organizzare una consultazione tra i suoi militanti sul da farsi. Il quesito su cui dovranno esprimersi i militanti sarà il seguente: “Sostieni che Podem si presenti alle elezioni in Catalogna in coalizione con Catalunya en Comù e le forze politiche sorelle che non appoggiano né la dichiarazione di indipendenza né l’applicazione dell’articolo 155?”. Un quesito secco, senza alternative.

Per chiarire il clima fratricida che si respira in Catalogna basta citare quanto ha affermato la deputata catalana di Podemos Carolina Bescansa, secondo la quale il suo partito non appoggia l’indipendenza “né unilaterale né bilaterale” della Catalogna, e ha invitato chi invece è d’accordo con la separazione a “cercarsi un altro partito”.

Intanto, come accennato, non solo Podemos si spacca sulla faglia Spagna/Catalogna, ma anche la corrente di sinistra del partito, Anticapitalistas, ha i suoi problemi. Oggi infatti la coordinatrice di Podemos in Andalucia, Teresa Rodriguez, e il sindaco di Cadiz Josè Maria Gonzales, come lei esponente della corrente anticapitalista del movimento viola, hanno preso le distanze dal comunicato emesso ieri dalla sinistra interna.

Anticapitalistas ha affermato che la nuova Repubblica catalana apre un processo costituente “che rompe con il regime del ‘78” e pone questioni e sfide quali integrare i non indipendentisti e soddisfare questioni che vadano al di là di di quella nazionale. Nel documento Anticapitalistas non solo riconosce la Repubblica Catalana ma di fatto aderisce al blocco indipendentista e fa appello a “rigettare l’applicazione dell’articolo 155, animando il partito alla difesa democratica, pacifica e disobbediente della volontà popolare catalana e del suo diritto a decidere”. Per la corrente di sinistra di Podemos, in Catalogna c’è in gioco la “possibilità di costruire una società alternativa alle elites politiche ed economiche” e a conquistare nuovi diritti sociali e democratici per le classi popolari. Ma a Madrid non sono d’accordo.

Oggi, in diverse dichiarazioni, sulle due grane è intervenuto il fondatore, segretario e capo carismatico di Podemos, Pablo Iglesias. Riferendosi ai ‘ribelli’ di Podem ha detto, nel corso di un talk show dell’emittente la Sexta, che “Se ci sono compagni che sono politicamente più vicini a Cup o Erc, penso che dovrebbero percorrere una propria strada.
Stamattina, in occasione della riunione di Rumbo 2020, una sorta di ‘governo ombra’ di Podemos, Iglesias ha criticato fortemente la dichiarazione di Anticapitalistas, sentenziando che “Questa affermazione è politicamente fuori da Podemos” e che “i compagni che ci si riconoscono sono politicamente fuori da Podemos”.

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