Per come è cambiata la legislatura negli ultimi due anni, richi e pericoli sono evidenti. Ma era evidente anche il vantaggio: era ipotizzabile la costruzione di un fronte sociale, in qualche misura anche politico, “indipendente” in modo totale e contrapposto al Pd e gli altri sostenitori del governo “tecnico”. I tempi lunghi della raccolta firme e della votazione effettiva (almeno due anni) non impedivano nel frattempo di lavorare sul piano sociale, sindacale e politico per costruire opposizione immediata.
Ma dall’idea alla realizzazione gli zombi si sono subito levati in piedi. Prima i vendoliani di Sel, che con una zampa si alleano “strategicamente”, senza se e senza ma, con il Pd. Poi i malpancisti dello stesso Pd, come Sergio Cofferati. Poi la variopinta schiera di chi cerca una bandiera simbolica per giustificare la propria inesistenza nella lotta sociale (Alba, Verdi, ecc). Il rischio che noi vediamo è grande: che gli interessi politici sminuzzati dei “cento protagonisti” di comitati e sottocomitati faccimo da velo alla materia scottante del lavoro e dei suoi diritti. Facendo parlare di sé e dimenticare “la cosa”.
L’aggiornamento quotidiano da “il manifesto” offre già qualche squarcio sulla melma montante. Ma sotto, ne siamo certi, macera anche altro.
Loris Campetti
Martedì mattina alla Corte di Cassazione si costituirà ufficialmente il comitato promotore dei due referendum sul lavoro inizialmente presentati dall’Italia dei valori e successivamente aperti a un ampio arco di forze politiche, sociali, sindacali, intellettuali impegnate nella difesa dei diritti e della democrazia. Del comitato faranno parte, insieme a Di Pietro e ad alcuni suoi rappresentanti, giuslavoristi, giuristi, intellettuali (due nomi importanti tra gli altri, Stefano Rodotà e Umberto Romagnoli), dirigenti della Fiom e della Cgil (non solo Gianni Rinaldini, motore della ricomposizione unitaria e coordinatore della minoranza «La Cgil che vogliamo»), di Rifondazione e di Sel, di Alba e non è escluso che del comitato faccia parte anche l’eurodeputato del Pd Sergio Cofferati che milioni di persone identificano con la battaglia in difesa dell’art.18, e che ha già dichiarato al manifesto la sua adesione alla campagna. Da ottobre a dicembre, e cioè nel cuore della campagna elettorale, si svolgerà la raccolta di firme che consentirà – costringerà? – un vastissimo schieramento politico e sociale a lavorare gomito a gomito nei banchetti su un obiettivo comune: il ripristino della democrazia nei luoghi di lavoro.
«Un bellissimo risultato», dice senza mezze parole Massimo Torelli, di Alba. Il comitato esecutivo dell”Alleanza lavoro benicomuni ambiente’ ricorda che nelle motivazioni che l’hanno fatta nascere c’è «l’affermazione di una nuova idea di politica e convivenza civile fondata sulla partecipazione, i diritti sociali e la rimessa in discussione del modello economico e sociale dominante». Aggiunge Alba che «questi referendum su/per il lavoro non fanno che rappresentare una prima importante affermazione e un imprescindibile punto di partenza per il riscatto del nostro paese». Abolire l’art.8 dell’ultima manovra del governo Berlusconi che cancella il contratto collettivo nazionale, fatta propria dal governo Monti che le ha trovato una prima applicazione con il contratto nelle ferrovie di Italo, la società di Montezemolo; abolire le modifiche imposte all’art.18 ancora dal governo Monti, sostenuto da uno schieramento inedito che comprende il Partito democratico. L’esigenza di ricostruire una nuova cultura di sinistra attraverso una pratica che parta dai contenuti: Alba lavora alla «costruzione di una grande risposta di popolo» capace «di riaprire il campo al futuro e alla speranza, dando voce all’indignazione diffusa e al radicale desiderio di cambiamento». Che oggi ha un primo strumento di lavoro: «Una grande campagna referendaria unitaria per la riappropriazione dei diritti sul lavoro e sulla democrazia». Siccome da cosa nasce cosa, per l’esecutivo di Alba c’è un altro aspetto che meriterebbe un altrettanto vasto e rappresentativo schieramento per avviare una campagna «che colpisca il secondo pilastro dell’azione del governo Monti: il fiscal compact, quel meccanismo con il quale si impongono tagli al welfare e svendita del patrimonio pubblico». Il segretario del Prc, invece, punta il dito sulla riforma delle pensioni imposto di Fornero.
Forse, però, per evitare di disperdersi in mille rivoli, conviene intanto concentrarsi sui due referendum già depositati, anche se è ovvio che sotto accusa è l’intera politica economica italiana ed europea, imposta dalla troika ai governi, che agita gli spread per modificare i rapporti di potere nella società, cancellando diritti fondamentali, privatizzando, presentando ai più deboli il conto dei guasti prodotti dalle ricette liberiste. Riducendo la politica stessa ad ancella del capitale finanziario. È l’esigenza di riportare al centro del confronto politico e dei programmi la difesa della quantità e della qualità del lavoro che ha consentito la formazione di un comitato referendario così ampio. Al punto che anche le ossessioni identitarie, per una volta, non hanno prevalso lasciando il posto a una battaglia sui contenuti. Un modo diverso da quello prevalente per costruire le alleanze.
da “il manifesto”
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