Attacco suicida ieri alla sede di Save the Children di Jalalabad, Afghanistan. Alle nove ora locale, all’alba in Italia, un gruppo armato ha attaccato la sede dell’ong: dalle prime ricostruzioni, un primo attentatore si è fatto esplodere all’interno di un’auto di fronte all’interno dell’edificio. A quel punto altri uomini armati hanno fatto irruzione nel compound inziando a sparare. Alcuni di loro sono rimasti uccisi dalla reazione delle forze di sicurezza, altri si sarebbero asserragliati all’interno dell’edificio. Nel tardo pomeriggio le notizie ufficiali: dopo scontri a fuoco durati circa dieci ore, l’emergenza è conclusa. Il computo delle vittime è di sei morti (cinque sarebbero gli attentatori) e ventiquattro feriti. Oltre quaranta gli ostaggi liberati dalle forze speciali afghane. La rivendicazione è arrivata in serata: l’attentato sarebbe stato organizzato dallo Stato Islamico.
Questa la cronaca. Ora un po’ di analisi. La prima riflessione che emerge con forza, ogni volta che arrivano notizie simili dall’Afghanistan, è riferita all’enorme quantità di tempo passato dall’inizio di questa guerra. Era il 2001, all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle, e i talebani – che davano ospitalità ad Osama Bin Laden, che poi fu trovato in Pakistan nel 2011 – furono i primi a cui l’amministrazione USA e i suoi alleati vollero far pagare il conto. Poi venne l’Iraq, con la farsa delle false provette di antrace, e da lì tutta la lunga concatenazione di cause ed effetti che hanno portato alla drammatica e totalmente destabilizzata situazione del Medioriente di oggi.
Ma concentriamo l’attenzione sull’Afghanistan: il modo migliore per rendersi conto di cosa stiamo parlando è dare un’occhiata ai numeri.
L’attuale guerra inizia come detto nel 2001, il 7 ottobre, con l’operazione “Enduring Freedom” poi diventata ISAF (International Security Assistance Force) sotto l’egida della NATO, e poi ancora trasformatasi nel 2015 in “Resolute Support”, Sostegno Risoluto, anche questa volta sotto l’ombrello NATO. Nomi diversi per la stessa cosa: grande dispendio di soldi pubblici in spese militari, e migliaia di morti, molti dei quali civili.
Un rapporto del 2017, redatto dall’osservatorio MIL€X, aiuta a comprendere l’entità del fallimento economico, militare, politico, sociale ed umanitario. Nell’ordine che preferite.
900 miliardi di dollari il costo della guerra, di cui 7,5 quelli spesi dall’Italia in questi anni. 7,5 miliardi spesi a fronte di 260 milioni investiti in cooperazione civile.
Il report si fa osceno quando inizia a parlare di vittime: almeno 140 mila morti a partire dal 2001, equamente suddivisi tra talebani, membri delle forze di sicurezza afghane e civili. Nello specifico, sono almeno 26000 i civili uccisi dal 2001 al 2014 (nel corso di Enduring Freedom e missione ISAF), a cui vanno aggiunti altri 9000 morti dal 2015 ad oggi.
3500 i militari NATO morti, 1700 contractors e circa 300 cooperanti. Un bagno di sangue inutile e costosissimo. Inutile perché, sempre secondo il report di MIL€X, i risultati ottenuti sono ridicoli: lieve calo del tasso di analfabetismo (dal 68% del 2001 al 62% nel 2017), modestissimo miglioramento della condizione femminile – ma solo se parliamo delle principali aree urbane – , e comunque questi sono risultati attribuibili alle ONG, non certo alla NATO. l’Afganistan ha uno dei tassi più elevati al mondo di mortalità infantile (circa il 113 per 1000 di decessi entro il primo anno di vita ), tra le più basse aspettative di vita del pianeta (51 anni, terzultimo in questa graduatoria) ed è ancora uno dei Paesi più poveri del mondo (207° su 230 per ricchezza procapite ). Dal punto di vista politico, il regime alla guida del paese è tra i più inefficienti e corrotti al mondo ed è lontanissimo dagli standard minimi di uno Stato di diritto democratico: censura, repressione del dissenso e tortura sono la norma”. Dopo i Siriani, gli Afghani sono i più numerosi a richiedere diritto di asilo all’estero.
In realtà non servirebbero nemmeno questi dati, che è sempre utile tenere a mente, per comprendere l’entità del disastro che gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno creato in Afghanistan (come in Libia, in Iraq, in Siria). Basta affidarsi alle notizie di cronaca di guerra, come quella di ieri. Sono il segno più evidente e tangibile del livello di instabilità in cui versa un paese che, come paese membro della NATO, contribuiamo a tenere in stato di guerra da quasi diciassette anni. Pagando pure di tasca nostra (e per nostra si intende dei contribuenti).
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