Nel corso di questi sette anni di guerra sul territorio siriano, Israele aveva impunemente colpito in Siria e Libano quelle che aveva denunciato come “minacce anche solo potenzialmente rivolte contro il suo territorio”. In realtà per il diritto internazionale i raid aerei israeliani sulla Siria vanno considerati violazioni della sovranità e veri e propri atti di aggressione.
Da quando è iniziata la guerra civile siriana, nel 2011, i raid dell’aviazione di Tel Aviv sono stati almeno un centinaio colpendo basi siriane e armi destinate dall’Iran al movimento Hezbollah libanese.
In questi anni, come noto, Israele ha sostenuto i ribelli anti-Assad, anche di ispirazione jihadista, arrivando a soccorrerne alcuni che avevano sconfinato, feriti, sulle alture del Golan (occupate dal 1967) per sfuggire alle truppe siriane.
Israele si arroga da tempo il diritto di colpire in Siria obiettivi che considera legittimi poiché destinati a fornire capacità offensive ai suoi nemici Hezbollah e iraniani anche se lo stesso governo israeliano ha ammesso, per bocca del ministro Naftali Bennet, che “l’Iran non ha alcuna divisione, brigata o battaglione in Siria, in nessuna delle aree rilevanti e la sua presenza militare è contenuta”.
Nei giorni scorsi Israele ha sostenuto di aver inferto un duro colpo alle truppe siriane e iraniane ma osservatori indipendenti certificano che sarebbero stati solo 6 i soldati di siriani rimasti uccisi nei raid che hanno colpito 12 obiettivi in Siria, incluso l’aeroporto militare di al-Taifur (T-4), nei pressi di Palmyra, sede del comando congiunto siriano-iraniano che include anche le milizie scite libanesi Hezbollah e da dove sarebbe decollato il drone iraniano “stealth” (un Saeqeh, copia dello statunitense RQ-170 Sentinel abbattuto dagli iraniani sul proprio territorio nel dicembre) che Israele sostiene di aver abbattuto mentre sorvolava il territorio israeliano. Le incursioni aeree israeliane avrebbero colpito anche l’aeroporto di Khalkhar, vicino ad As-Suwayda, un centinaio di chilometri a sud di Damasco, e un deposito di armi vicino alla stessa capitale.
“Abbiamo inflitto dei duri colpi alle forze iraniane e siriane e continueremo a colpire tutti coloro che tentano di attaccarci” ha avvertito il primo ministro Benjamin Netanyahu. Il generale israeliano Yoel Strick, ha ribadito che Tel Aviv “non permetterà all’Iran di arroccarsi in Siria” aggiungendo che l’Iran “vuole stabilire una base avanzata in Siria con l’obiettivo di colpire Israele”.
Lo scontro che ha portato all’abbattimento di un cacciabombardiere F-16I israeliano ad opera della contraerea siriana, potrebbe indicare il tentativo di israeliano di trovare un “casus belli” per giustificare un suo più pesante intervento nel conflitto siriano.
Israele sostiene di aver abbattuto sul proprio territorio un drone iraniano decollato da una base in Siria e di aver risposto scatenando un’offensiva area di rara intensità, definita dal comando israeliano la più violenta dalle operazioni del 1982 in Libano, che ha preso di mira le installazioni iraniane che gestiscono i droni ma anche le postazioni della difesa aerea siriana.
Damasco e Teheran negano che i propri velivoli teleguidati abbiano sconfinato sul territorio israeliano e affermano che il drone è stato colpito nella provincia di Homs, in Siria.
Secondo Analisi Difesa.it, “Israele quindi non ha mai avuto bisogno di pretesti per colpire con i suoi jet in Siria o per violare lo spazio aereo libanese e proprio per questo la vicenda del drone iraniano potrebbe costituire una forzatura tesa a giustificare un intervento di più ampio respiro nel conflitto siriano o contro le milizie filo-iraniane o gli Hezbollah in Libano”.
Che poi siano le autorità israeliane a lamentare “intrusioni” e violazioni del proprio spazio aereo è paradossale tenuto conto dei loro numerosi raid condotti negli ultimi tempi ma anche in passato in altri paesi del Medio Oriente come Libano e Siria o ancora più lontano in Iraq (nel 1981 il reattore nucleare di Osirak)..
L’impressione di molti osservatori è quindi che il governo di Netanyahu (finito sotto accusa dopo due anni di indagini per corruzione), stia facendo le prove generali per premere sull’acceleratore militare, in sintonia con la ripresa dell’aggressività militare degli Stati Uniti in Siria dove, pochi giorni fa, hanno attaccato con raid aerei le truppe di Assad uccidendo un centinaio di uomini e forse anche numerosi contractor russi che affiancavano le forze siriane.
Secondo Analisi Difesa, questa è ulteriore conferma di come gli interessi di Washington e Gerusalemme non siano affatto rivolti alla sconfitta delle milizie jihadiste quanto a impedire a coloro che sul terreno Assad e i suoi alleati russi e iraniani, cioè quelli che hanno davvero combattuto qaedisti e Isis, possano vincere il conflitto.
Gli sviluppi che potrebbero registrarsi a breve-medio termine vanno quindi da un’intensificazione dei raid aerei israeliani sulla Siria, con un coinvolgimento diretto in quel conflitto, ad azioni “punitive” contro Hezbollah nel Sud del Libano. Al momento l’unico dissuasore del bellicismo israeliano è la Russia Mosca, alleata di Assad, che ha riorganizzato l’intera difesa aerea siriana rendendola più reattiva e pericolosa anche per i jet israeliani che da oltre 35 anni sembravano “invulnerabili”.
Mosca ha dichiarato di essere “profondamente preoccupata” della situazione in Medio Oriente ed ha chiesto alle varie potenze di dare prova di “moderazione” per evitare un’escalation, ribadendo che “è necessario rispettare in modo incondizionato la sovranità e l’integrità territoriale della Siria e degli altri Paesi nella regione”. Un monito a Israele che, pur se espresso con i toni della diplomazia, lascia intendere che la Russia non permetterà a nessuno di rovesciare le sorti del conflitto siriano che il suo intervento ha determinato.
Per dirla con il lucidissimo Alberto Negri: “Chi pensava di essere all’ultimo capitolo della guerra siriana forse era ottimista: la battaglia per la spartizione in zone di influenza è più rischiosa di quanto si potesse pensare. Bomba su bomba la Siria è a pezzi ed è una guerra mondiale a pezzi, come disse il Papa”.
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