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Petro Porošenko “legalizza” l’aggressione al Donbass

Nel tardo pomeriggio di martedì 20 febbraio, forze ucraine hanno attaccato l’area di Kalinovo, nella Repubblica popolare di Lugansk, con l’impiego di mortai pesanti da 120 mm e artiglieria da 152 mm. Anche il portavoce delle milizie della Repubblica popolare di Donetsk, Danil Bezsonov ha dato notizia, martedì, di numerose violazioni del cessate il fuoco da parte delle truppe ucraine, mentre sembra che i comandi dell’esercito denuncino i sempre più frequenti atti di insubordinazione dei battaglioni neonazisti, in testa Pravyj Sektor. Secondo Bezsonov, tali formazioni abbandonano spesso il fronte per concentrarsi a Kiev, dove si stanno intensificando le manifestazioni contro Petro Porošenko.

Forse anche per questo, il presidente golpista ha firmato martedì, in diretta televisiva, l’annunciata legge “Sulle caratteristiche della politica statale per assicurare la sovranità dell’Ucraina sui territori temporaneamente occupati delle regioni di Donetsk e Lugansk”: la cosiddetta “legge sul reintegro” del Donbass che, in pratica, annulla totalmente gli accordi di Minsk e dà disco verde a un attacco in grande stile da parte ucraina.

L’atto serve a Porošenko anche per tentare di recuperare un po’ di posizioni sul fronte interno. Le notizie dei giorni scorsi indicano infatti una Kiev in preda alle proteste – non necessariamente di segno progressivo – contro i vertici statali: sputi e urla martedì contro il “boldriniano” speaker della Rada, Andrej Parubij e il presidente del consiglio Vladimir Grojsman, mostratisi in piazza nell’anniversario dei morti di Majdan; proteste e manifestazioni anche di reparti della polizia. Mentre i giovani “patrioti nazisti” parlano candidamente, di fronte alle telecamere, della prossima “eliminazione fisica” degli abitanti del Donbass, non appena questo sarà riconquistato: “là non ci sono ucraini e quando i nostri carri armati entreranno a Donetsk, coloro che là vivono saranno eliminati”.

Lo stesso Ministro degli esteri golpista, Pavel Klimkin, che nei giorni scorsi, alla conferenza sulla “sicurezza” di Monaco, si era incontrato con l’omologo russo Sergej Lavrov, senza venire a capo di nulla, sembra convinto che Kiev tornerà in possesso del Donbass. Ha scritto infatti martedì su twitter che “per il Donbass sotto occupazione ci sono solo due strade: o l’eurointegrazione, o l’amministrazione russa d’occupazione. Sono sicuro” ha detto, “che con elezioni libere e oneste, i cittadini sceglieranno la prima strada”.

I diretti interessati commentano un po’ diversamente la firma della “legge sul reintegro” da parte di Porošenko. Il Ministro degli esteri della DNR, Vladislav Dejnego, giudica la legge “un tentativo molto tardivo di legalizzare la violenza e l’impiego di esercito e armi contro gli abitanti del Donbass. Essa non salverà  Porošenko e Turčinov dalla punizione per aver violato le leggi del loro stesso paese. E non salverà nemmeno un paese che legalizza la guerra contro la popolazione civile. L’adozione di tale legge non è che l’ennesima spirale della politica distruttiva di Kiev nei confronti degli abitanti del Donbass”.

Di fatto, la legge concede al presidente la facoltà di utilizzare l’esercito in qualunque regione del paese (segnali di forte malcontento, contro l’accentramento nazionalista di Kiev, sono da tempo evidenti anche nelle regioni occidentali abitate da forti minoranze ungheresi, polacche, rumene) senza la sanzione della Rada e annulla di fatto le intese di Minsk, quantunque Porošenko sostenga il contrario. Essa, afferma il primo golpista, “richiede una ulteriore assicurazione legislativa per le azioni delle forze ucraine e degli altri reparti armati”. Ma, nota Russkaja Vesna, nella redazione finale, questa non fa alcun accenno al “Minsk-2”; anzi, gli accordi di Minsk, ratificati dalla risoluzione 2202 dell’ONU, parlano di dialogo tra Kiev, LNR e DNR, con Mosca, Parigi e Berlino quali garanti, mentre nella legge ora varata, i territori del Donbass sono definiti “sotto occupazione”, la Russia “paese aggressore” e si parla di “respingere l’aggressione armata della Russia”, tirando persino in ballo l’articolo 51 dello statuto ONU sul diritto all’autodifesa.

Il plenipotenziario della DNR ai colloqui di Minsk, Denis Pušilin ha detto che la “legge sul reintegro” è stata adottata “in violazione della legislazione ucraina e delle convenzioni internazionali e costituisce un modo per legalizzare tardivamente tutta la violenza cui così spavaldamente si ricorre contro i cittadini delle Repubbliche. E’ la possibilità di utilizzare l’esercito contro gli abitanti del Donbass”.

Il rappresentante russo presso la OSCE, Aleksandr Lukaševič ha dichiarato che la “legge sul reintegro” rappresenta “il logico proseguimento della politica di Kiev per l’escalation della tensione nel sudest del paese; conferma la volontà di una soluzione armata del conflitto interno all’Ucraina”, contraddice la stessa firma apposta a suo tempo da Porošenko in calce agli accordi di Minsk e “assicura il sostegno statale ai crimini delle Forze armate ucraine e dei nazionalisti radicali”.

Operativamente, se finora la situazione era demandata al controllo dei Servizi di sicurezza, ora passerà nelle mani di un Comando operativo unificato delle forze armate e, quindi, di Petro Porošenko. Non a caso, il presidente golpista ha anche incaricato il Ministro della difesa Stepan Poltorak e il Capo di stato maggiore Viktor Muženko di mettere a punto, entro il 1 aprile, un nuovo piano di operazioni nel sudest dell’Ucraina.

Dopo la magra figura fatta a Monaco, allorché ha parlato di fronte a un auditorio mezzo vuoto, sventolando la bandiera della UE – e, a detta di osservatori attenti, ancor meno sobrio del solito – evidentemente Petro Porošenko ha tutta l’intenzione di stringere i tempi della soluzione di forza. La disponibilità espressa, proprio durante la Conferenza internazionale in Baviera, da parte di Bielorussia, Finlandia e Svezia, a inviare propri caschi blu nel previsto contingente ONU in Donbass, lungo la linea del fronte tra milizie popolari e forze ucraine, rischia di annullare le pretese di Kiev di portare le proprie truppe fino al confine con la Russia.

Difficilmente le milizie popolari aspetteranno immobili le mosse dei nazisti ucraini.

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